AMBIENTE
La nostra epoca deve basare la gestione dell'ambiente naturale sulla conoscenza, superando l'atteggiamento irrazionale tipico di altri periodi storici.
UOMO, AMBIENTE E FAUNA
di Bruno Bassano
EVOLUZIONE STORICA DEL RAPPORTO UOMO/AMBIENTE
Branco di femmine di cervo.I primi pesanti interventi dell'Uomo sull'ambiente si registrano ai tempi dell'Impero romano. In questo periodo si assiste alla messa a coltura di spazi sempre più grandi, sulla spinta di una grande crescita demografica e questo avviene a scapito soprattutto degli ambienti forestali.
Solo nel basso Medioevo ci si comincia a preoccupare dei rischi di un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, non più avvertite come inesauribili ed eternamente ricostituibili.
Le più importanti modificazioni ambientali si registrano dunque nel passaggio tra tarda antichità e alto medioevo. In questo periodo si rilevano importanti variazioni climatiche e demografiche.
L'aumento della piovosità determina processi di impaludamento, così come lunghi periodi di siccità determinano grandi carestie e cali demografici imponenti.
Si modifica così il rapporto tra uomo/ambiente e fauna.
Gli elementi essenziali che caratterizzano il modo di vedere l'ambiente nel medioevo sono importanti da definire in quanto, per certi versi, ritornano ai giorni nostri. Viene meno innanzi tutto il controllo dell'uomo sull'ambiente e dunque diminuisce anche la capacità di controllo sugli animali; le diminuite disponibilità ambientali comportano una situazione di più diretto antagonismo tra uomo e fauna e aumentano così i motivi di incontroscontro e di sintonia-antagonismo; l'uomo perde così di vista i confini del mondo animale, in un momento in cui la trionfante dottrina cristiana imponeva un pesante antropocentrismo.
Questo modo di vedere il fatto naturale e gli animali che lo compongono ha pesantemente influenzato il nostro attuale atteggiamento, giacché, come di recente scritto in un saggio sui rapporti tra ambiente-fauna e cultura nel medioevo, "l'analisi della natura è soggettiva e la conoscenza che di essa ha la società è funzionale alle utilizzazioni che se ne fanno".
Un esempio eclatante di tale concetto è rappresentato da una specie animale oggi di grande attualità, vista la possibilità di un suo ritorno: il lupo. Il pensiero nei confronti di questo predatore si è di molto evoluto nel passaggio tra l'età classica e il tardo medioevo e, ancora oggi, molti punti di vista di certe componenti della collettività riflettono quel comune modo di vedere medioevale. Nell'età classica il lupo era visto precipuamente come un nemico degli animali domestici e dunque solo indirettamente dell'uomo, al più foriero di presagi infausti, ma in fondo presenza non preoccupante per l'uomo. Questo modo di vedere cambia radicalmente nell'età di mezzo. Il lupo diventa un animale spaventoso, pericolo concreto e temuto dall'uomo, addirittura "divoratore di uomini".
Questa modificazione del concetto di predatore è conseguenza diretta dei cambiamenti intervenuti nel rapporto tra uomo e ambiente.
Cinghiale.A seguito degli eventi prima descritti, ovvero di oggettive difficoltà climatiche ed ambientali, e in conseguenza di una progressiva caduta delle conoscenze, diminuiscono di molto le capacità dell'uomo di dominare la natura, quindi l'animale. L'uomo è come assediato da una natura ostile e si pone sulla difensiva. Dimentica rapidamente i progressi fatti nel campo dell' addomesticamento degli animali selvatici e nelle pratiche colturali e zootecniche. L'allevamento tende a semplificarsi e diviene sempre più spesso brado o in semi libertà, anche nei confronti di specie animali da tempo perfettamente addomesticate. Cresce dunque in modo importante il ruolo della caccia e della conoscenza delle diverse componenti che lo abitano. Si percorre con emozione un sentiero di sera nel bosco, ignorando in larga misura quali specie animali lo abitino e spesso il contatto fortuito col volo improvviso di una civetta è sufficiente per interrompere lo stato di grazia in cui si trova il visitatore e a riportarlo alle originali paure.
Non a caso in tali circostanze si sente la necessità di una presenza soprannaturale che ci conforti e rassereni. Così è stato da sempre e la nostra religione è intervenuta pesantemente a condizionare il rapporto uomo/animale.
Come viene fatto notare dagli storici, il concetto dell'antropocentrismo cristiano cambia sensibilmente tale rapporto e rende la natura subalterna: l'uomo non fa più parte della natura, ma la trascende, la domina in quanto "data in suo potere".
Questo concetto, radicato nella cultura occidentale, secondo alcuni starebbe alla base della crisi ecologica della nostra società.

LA CONSERVAZIONE AMBIENTALE
Maschio di capriolo.Da quanto sopra descritto emerge che, quantomeno negli ambienti montani e alpini, le politiche di conservazione debbano tendere a mantenere il paesaggio delle nostre montagne quale è oggi. Questa preoccupazione inevitabilmente ci porta a considerare un elemento importante: la posizione dell'uomo all'interno di ogni fatto della Natura.
Il paesaggio arcadico, mitico e felice, dei poeti bucolici è frutto di secoli di lavoro e di interventi dell'uomo. Le prassi zootecniche di alpeggio avevano lo scopo di migliorare le capacità produttive dei pascoli attraverso la loro cura: il pascolamento turnato, lo sfalcio, la fertirrigazione e il governo delle acque di scolo. Queste pratiche di fatto aumentavano la diversità vegetale, ovvero il numero di specie foraggiere presenti sui pascoli, consentendo alle specie più pregiate di colonizzare quote e ambienti altrimenti non sopportati. Ad una elevata diversità vegetale corrisponde una rilevante presenza di specie di invertebrati e vertebrati erbivori e a questa corrisponde quella dei consumatori secondari, ovvero dei carnivori predatori.
La scomparsa dell'uomo dalle montagne e la modificazione delle prassi colturali e zootecniche di alpeggio hanno avuto come conseguenze principali la semplificazione della composizione dei pascoli e un aumento della complessità ambientale. Ovvero da un lato le specie vegetali pregiate ed appetite tendono a ridursi e a scomparire, dall'altro aumenta il grado di compenetrazione tra tipologie ambientali diverse. Il pascolo non termina più nettamente nel bosco di lance rado, spesso pascolato, ma al contrario lascia prima il passo a zone in espansione di arbusteto, le quali si continuano poi nel bosco.
Questo stato di cose e il suo mantenimento hanno come conseguenza la retrazione di specie animali ecologicamente più esigenti e l'espansione di quelle più plastiche, che meglio si adattano cioè a ambienti diversi e in evoluzione rapida.
Ecco quanto accade sulle nostre montagne oggi.
L'uomo sfrutta - e modifica - in modo intenso, per ovvie ragioni economiche, solo le frazioni di territorio più facili da raggiungere, mentre il resto dell'ambiente viene lasciato evolvere senza interventi importanti. Ci sono dunque strade, alpeggi con stalle di capienza spesso superiore alle capacità produttive attuali dei pascoli, piste di sci, impianti di risalita alternati a siti di espansione di arbusteti e boschi dove rara o assente è la presenza dell'uomo.
Le specie selvatiche erbivore, che dall'attività di coltivazione dell'uomo traevano importanti risorse trofiche, sia nella forma adulta sia in quella giovanile, oggi sono in netta contrazione, anche nelle aree di protezione assoluta. E' questo il caso ad esempio della lepre variabile e della coturnice, mentre ben poco si conosce sulle densità dei piccoli mammiferi erbivori, le arvicole ad esempio, e di invertebrati.
I pochi studi effettuati testimoniano come alla semplificazione di un ambiente corrisponda sempre quella della fauna che lo abita.
Si espandono invece quelle specie che nel folto degli arbusti e nel chiuso del bosco trovano ricetto ideale e nutrimento: gli ungulati selvatici. Il capriolo, il camoscio, il cervo e il cinghiale.
L'incremento, in alcuni casi esponenziale, di queste specie, a volte favorito dall'intervento umano con continue immissioni, ha creato le condizioni ottimali per il ritorno dei predatori, della lince e del lupo in modo particolare.
Si ripristina dunque la situazione di un tempo: l'uomo, che usa porzioni rilevanti di ambiente soprattutto ai fini venatori e di sfruttamento non agricolo, trae dalla montagna risorse legate in modo prevalente agli animali, domestici e selvatici, e al turismo. Il pascolo spesso è brado, soprattutto degli ovini, e la presenza del pastore in alpeggio saltuaria, spesso occasionale.
Queste sono le condizioni ottimali per un netto conflitto tra due specie con nicchia ecologica simile: il carnivoro predatore e l'uomo.
E' quanto sta accadendo nei settori alpini della Francia meridionale (Parco nazionale del Mercantour), a seguito del ritorno del lupo.
La riflessione conclusiva che scaturisce da questa serie di considerazioni è che l'Uomo, tramite la conoscenza profonda dei fenomeni naturali, deve cercare di evitare, nel confronto con la natura, atteggiamenti tipici di periodi storici oscuri, in cui l'irrazionalità imperversava.
Molte specie animali, dal Medioevo in poi, sono state sterminate in quanto credute responsabili di malefici, disastri, disgrazie e disavventure (il lupo), oppure in quanto ritenute magiche e curative, oltre che ben appetite (lo stambecco).
L'elemento che deve guidare le nostre scelte gestionali è la conoscenza.
Dopo aver capito, per quanto possibile, i meccanismi che governano un evento naturale si può decidere quale scelta gestionale attuare, dalla protezione assoluta al prelievo venatorio razionale e programmato, in modo da rendere possibile, com'è in effetti, la coabitazione tra uomo e fauna, in un ambiente universalmente minacciato, che è comunque nostro fondamentale dovere difendere, continuamente.

   
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