ALTA MONTAGNA E PASCOLI
Le mode sportive rivolte ad una continua ricerca dell'estremo e la facilità con cui oggi si può accedere all'alta quota possono mettere in crisi l'integrità del patrimonio delle alte vette?
TURISMO E ALTA MONTAGNA
di Luigi Cortese
Il piccolo Rifugio Charpoua, ai piedi dell'Aiguille Verte e del Dru.Le Alpi sono state la culla di scoperte e esplorazioni epiche al punto di essere all'origine di un termine universale per descrivere l'avventurosa pratica di conquista delle vette: l'alpinismo.
Anche se le imprese di Whymper, De Saussure e degli altri pionieri fanno ormai parte di una storia leggendaria, la spinta a sperimentare emozioni e a vivere situazioni eccezionali non si è mai sopita. I processi che stanno trasformando la montagna, con effetti che rischiano di cancellare culture e tradizioni millenarie, non hanno toccato il fascino dell'alta quota, delle cime, degli spazi deserti dove l'uomo si immerge nella durezza della natura e nella sua incomparabile bellezza.
Questo fascino, che alimenta un'attrazione profonda verso le parti meno accessibili della montagna, è all'origine di nuovi fenomeni che interessano il mondo dell'alta quota, fenomeni cui si associano comportamenti che purtroppo molte volte nulla hanno a che vedere con i nobili codici dell'alpinismo classico. Non si tratta di un approccio passatista, quanto del riconoscere le pulsioni sociali e culturali che stanno alla base dell'attuale frequentazione dell'alta quota; è nei fatti che l'interesse scientifico e il piacere della scoperta non sono più le motivazioni principali che fanno muovere i passi dell'uomo verso le cime delle montagne. Performances sportive, ricerca dell'off limits e presunzione di poter accedere ovunque, fanno delle vette alpine dei luoghi che rischiano di essere banalizzati e che per molti diventano simili a palestre o mete di gite mediocri, rese tali da sistemi di trasporto tecnologicamente avanzati. Su quest'ultima questione non si intende aprire un fronte di ostracismo generalizzato verso funivie ed elicotteri ma soltanto sottolineare la tendenza a rendere l'accesso all'alta montagna troppo facile. Deve, per contro, essere preservata la condizione dell'eccezionalità, il valore di esperienza formidabile che caratterizza l'approccio dell'individuo alla salita verso le vette. Sarebbe facile sostenere questo concetto con argomenti come la sacralità della montagna, con riferimenti alla rappresentazione mitica delle vette, e all'ambizione all'ascesi dell'uomo. Molto più semplicemente, per chi scrive, le vette sono una dimensione di sfida per la società contemporanea.
Un gruppo di escursionisti in cammino verso il Rifugio Bertone.Innanzitutto una sfida ecologica, intesa come verifica della capacità dell'uomo di accettare l'esistenza di territori non accessibili, non abitabili e sfruttabili in permanenza, da considerare idealmente al di là delle "Colonne d'Ercole" di una civiltà onnivora e a tratti ambientalmente insensibile. Si tratta forse di una forzatura rappresentativa, ma le vette delle Alpi sono lì a rammentarci che esistono luoghi di questo pianeta dove l'uomo deve, con umiltà, rinunciare ad insediarsi: le grandi foreste, i deserti, le profondità degli abissi. Questi ambienti sono ancor oggi spazi da esplorare, luoghi dove posare unicamente lo sguardo, dove passare senza prelevare e dove imparare una volta di più a stupirsi.
Le montagne ci sfidano anche sotto il profilo culturale ed esistenziale. Sono il segnale forte, inequivocabile di una società che cade spesso in contraddizione. Una società postindustriale che deve fare i conti con gli errori di uno sviluppo sconsiderato e che non riesce a trovare la strada di un nuovo equilibrio. Una società che, superando i luoghi comuni di un facile ambientalismo, spesso troppo ideologico o troppo vulnerabile ad una logica di catastrofismo legata ai cambiamenti climatici, deve acquisire una coscienza responsabile, ricercare e applicare nuovi modelli di comportamento.
Certamente le temperature medie che aumentano e che rendono sempre più precaria la presenza della neve al suolo, i ghiacciai che arretrano e che, con la stratificazione delle precipitazioni, archiviano le tracce del sempre più consistente inquinamento atmosferico sono un messaggio forte che la società contemporanea deve tradurre in nuove strategie di "sviluppo adattativo".
Tutto questo è ancora più vero per il turismo, suprema conquista di una civiltà ricca di risorse e tecnologie ma talvolta presuntuosa e superficiale. Il turismo può, confrontandosi con l'alta quota, ritrovare il senso della misura e il rispetto dei limiti allo sviluppo. Quanto sia difficile e complesso questo confronto lo si può comprendere da una breve analisi di alcuni fattori.
Il primo è la natura sociologica del turismo contemporaneo. Il turismo offre, a prezzi e condizioni di mercato (quindi a chi può permetterselo), il "mondo in tasca". Il mondo, visto dalle locandine e letto nei cataloghi di molti tour operators è paragonabile ad un grande parco di attrazioni, dove il criterio di scelta è spesso dato dal binomio "alla moda" + costo. Ma senza raggiungere questi eccessi è evidente l'orientamento della promozione turistica a scala mondiale verso tutto quello che può toccare i registri più reconditi delle aspirazioni umane: essere diversi, essere i primi, fare ciò che gli altri non possono fare.
Il secondo fattore è l'enorme forza dei processi economici. La società contemporanea fatica a lasciare beni e valori fuori dalle logiche del mercato. Tutto tende ad essere oggetto di contrattazione tanto che si cerca persino di "quantificare il danno ambientale". Oggi il turismo è innanzitutto un processo economico, retto dalle regole del mercato, della concorrenza, del ciclo di prodotto, del marketing.
Il terzo, ma non ultimo fattore, è costituito dall'immaginario collettivo e dalla psicologia dell'individuo. È evidente che il turismo è sempre meno "scoperta dell'altrove e dell'altro" e sempre di più "ricerca ed affermazione del sé". L'anticipazione immaginifica della vacanza e il successivo racconto della stessa sono molto spesso più importanti del vissuto dell'esperienza stessa. Su questa dinamica si è creato negli ultimi anni un mercato che si alimenta di mode, visioni, rappresentazioni del mondo sempre più distanti dalla realtà.
È da questo punto della riflessione che vogliamo cominciare a parlare di come il turismo interagisce oggi con le montagne, con l'alta quota della Valle d'Aosta.
La prima constatazione che si può fare, aprendo una carta geografica e immaginando di guardare la regione dall'alto, è che l'alta montagna è ancora un territorio selvaggio e quasi totalmente incontaminato. Sono due i punti di attestamento consolidati e massicciamente infrastrutturati: la zona di Punta Helbronner sul Monte Bianco e il Plateau Rosa tra il Cervino ed il gruppo del Rosa. In altre zone i domaines skiables si spingono con qualche impianto a quote elevate ma si tratta di presenze senza dubbio meno significative (Passo dei Salati sempre sul Rosa, La Thuile, Crevacol, ecc.). Per restare ai due casi più emblematici, le ragioni "turistiche" che sostengono questa "salita in alta quota" dell'insediamento tecnologico sono senza dubbio diverse. Nel caso del Monte Bianco siamo in presenza di un "gesto di conquista"; la funivia del Monte Bianco nasce come prodotto internazionale, come attrazione unica in Europa e, per certi versi nel mondo, che sfrutta il valore simbolico del Monte Bianco e che approfitta dell'elevata commerciabilità delle due rinomate stazioni di Chamonix e Courmayeur. Se si ritorna con la mente all'epoca della costruzione, la Funivia del Monte Bianco è stata anche un'eccezionale conquista tecnica, un'opera d'ingegneria che s'iscrive in un periodo di sviluppo delle grandi opere nell'arco alpino (dighe, trafori, ecc.).
Lo sfruttamento del Plateau Rosa è più commerciale e si lega alla disponibilità di un grande ghiacciaio, facilmente accessibile, che garantisce praticamente tutto l'anno la possibilità di sciare (fatta eccezione per i periodi di manutenzione e per quelli condizionati dal vento e dalle perturbazioni). Tuttavia Cervinia e Zermatt si sviluppano in un periodo in cui la neve non mancava neppure a quote più basse; bisogna dunque ricercare le ragioni del loro successo anche nell'eccezionale qualità del contesto e nella presenza della piramide del Cervino, icona storica dell'alpinismo. Oggi, a più di cinquant'anni dalla nascita di questo comprensorio, si registra una nuova fase di sviluppo del domaine skaible in alta quota, questa volta sulla spinta della carenza di neve a media quota.
Sul resto dell'alta montagna della Valle d'Aosta il turismo è presente in modo leggero. Sono i rifugi i principali punti d'interazione tra l'uomo e questo ambiente bellissimo ma per molti versi ostile. Nella maggior parte dei casi si tratta di attestamenti spartani che poco hanno a che vedere con la logica del mercato del turismo. I rifugi realizzati al di sopra dei 3.000 - 3.500 metri sono relativamente poco numerosi e quasi tutti concepiti per rispondere all'esigenze dell'alpinista appassionato. La maggior parte di questi sono localizzati sui massicci del Bianco e del Rosa. La situazione e le condizioni di sfruttamento turistico sono diverse se consideriamo i rifugi collocati nella fascia compresa tra i 2.000 e i 3.000 metri. Qui le strutture sono più numerose e stanno ulteriormente sviluppandosi sotto la pressione di una domanda crescente; si tratta nella maggior parte dei casi di un offerta che cerca di rispondere ad una clientela più esigente in termini di comfort. Gli escursionisti, anche se questa etichetta racchiude una varietà di stili di approccio alla montagna, sono in generale molto attenti alla qualità del cibo, ai servizi e al tipo di pernottamento: è finito il tempo dei grandi stanzoni con camerate uniche dove posare la testa sul cuscino per alcune ore in attesa della scalata. Molti rifugi garantiscono oggi un'accoglienza in quota che nulla ha da invidiare a quella alberghiera.
Se dunque è questa la situazione delle strutture in alta quota resta da vedere come sono evoluti i comportamenti del turista, quali sono le pratiche, le attività che interagiscono con l'ambiente delle vette valdostane.
Abbiamo già detto qualcosa dell'alpinismo; questa pratica è in forte evoluzione con una diminuzione consistente delle "salite" classiche. Per certi versi l'alpinismo si sta specializzando; l'accorciarsi della durata media della vacanza, la ricerca dell'eccezionale e dell'esotico, la facilità degli spostamenti sulle lunghe distanze, stanno penalizzando le Alpi. C'è il rischio, sotto l'effetto della crescente globalizzazione, di considerare le vette dell'arco alpino come une sorta di "alta quota domestica". È talvolta stupefacente apprendere dai mass media che le salite sulle nostre cime più alte sono servite "da allenamento" per prepararsi ad altre performances in altre grandi catene montuose. È una sorta di banalizzazione latente, che può portare a considerare le Alpi come una sorta di grande palestra dove scompaiono il fascino e l'incertezza dell'avventura. A contrastare questo fenomeno resta la solidità dei professionisti della montagna. Guide, personale del soccorso alpino, gestori dei rifugi sono generalmente i portatori di una visione seria e prudente dell'alpinismo, di un approccio basato sul rispetto dell'eccezionale che caratterizza l'alta montagna. Uno spirito che dovrebbe animare anche la moltitudine di praticanti altre discipline, come lo scialpinismo, lo sci fuori pista, l'arrampicata su ghiaccio. Anche in questo caso il gesto sportivo, la bravura tecnica dovrebbero essere accompagnati a una profonda conoscenza dell'ambiente e delle caratteristiche specifiche della montagna, specie quando si opera in alta quota.
In questo momento i numeri della frequentazione sportiva in alta quota sono relativamente bassi e non si può parlare di un fenomeno importante sotto il profilo turistico. Il discorso cambia se si prendono in considerazione i flussi di frequentatori presenti a quote più basse e meno impegnative; qui l'escursionismo sta generando un mercato turistico decisamente importante e in forte crescita, basti pensare che il solo Tour du Mont-Blanc, il più importante itinerario intorno al Massiccio del Bianco, è percorso ogni anno da diverse decine di migliaia di escursionisti.
In conclusione l'alta quota resta per il mercato turistico un prodotto di nicchia, riservato ad appassionati e specialisti. Le vette, le cime maestose che incorniciano le vallate della Regione, restano inaccessibili per molti e diventano un simbolo, uno scenario che rafforza l'immagine di natura incontaminata e selvaggia di questa parte delle Alpi.
Stanno cambiando le modalità attraverso cui la clientela si avvicina a questa dimensione, cresce il bisogno di libertà anche in relazione al sempre più forte stress che caratterizza la vita quotidiana nelle grandi città e nelle zone metropolitane. Lo sviluppo di un turismo durevole nelle zone di alta montagna deve tener conto di tutto ciò: non c'è solo la domanda crescente di svago del grande bacino di potenziale clientela della Pianura Padana; entro il 2050 è previsto che nell'agglomerazione urbana costituita da Annecy, Annemasse e Ginevra abiteranno più di un milione di abitanti e dobbiamo ricordare che questa metropoli dista dalle pendici del Monte Bianco meno di mezz'ora di auto. È bene fin d'ora mettere in campo una strategia di sviluppo del turismo sostenibile per le nostre montagne che eviti di trasformare questo eccezionale patrimonio nel "parco cittadino" di un'Europa sempre più densamente urbanizzata.
   
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