PAESE CHE VAI...
"Possiamo scattare una foto del punto esatto in cui inizia la Sierra Madre orientale, abbandonando orgogliosa pianure e deserti mentre inizia la salita, per poi gettarsi verso il vibrante accoppiamento con la catena occidentale nel Nudo Mixteco. Unite per sempre, le due catene corrono insieme verso l'estinzione finale all'estremo sud del continente, in Cile e in Argentina, dove le Ande sbocciano dalla catena…" Carlos Fuentes
…MONTAGNA CHE TROVI: LA SIERRA MADRE
di Stefania Lusito
I 2.240 metri di altitudine e l'alto tasso di inquinamento atmosferico appesantiscono i passi, l'odore della cipolla dei tacos ti dà il benvenuto ad ogni angolo della strada, la vitalità dei Messicani sembra tutta incanalata nel suonare i clacson delle automobili: arrivare a Città del Messico non è idilliaco, c'è bisogno di tempo per imparare ad apprezzare i forti contrasti di questa terra.
La nostra destinazione è un villaggio, a nord-ovest rispetto alla capitale, sulla Sierra Madre Occidentale. La catena montuosa è una vera e propria barriera tra l'altopiano messicano e le coste del Pacifico, oltre che essere il prolungamento delle Montagne Rocciose degli Stati Uniti.
La strada sterrata che ci permette di arrivare lassù si può percorrere solo da ottobre a maggio, poi inizia il periodo delle piogge e diventa impraticabile.
Il territorio montuoso di questa zona, ma soprattutto le profonde barrancas (dirupi), hanno scoraggiato anche i missionari più agguerriti che hanno evangelizzato buona parte della zona.
L'incontro con la Sierra è stato soprattutto l'incontro con i Wirràrika, una delle 56 etnie presenti in Messico. Ciò che mi aveva spinto fin lì era il desiderio di cogliere l'attuale senso dell'identità sociale, l'insieme delle percezioni che univano i singoli membri nel sentimento di appartenenza al gruppo.
L'arrivo al villaggio - per quanto non inatteso - portò con sé alcune difficoltà: l'autorizzazione ufficiale per il soggiorno era stata richiesta all'autorità politica della comunità indigena, ma occorreva formalmente rinnovarla presentandoci di persona. Gli impedimenti hanno motivo in quanto le terre delle comunità, così isolate e lontane dalle mete abituali, fungono da qualche tempo da basi per i narcotrafficanti colombiani che si stanno impossessando prepotentemente delle terre di questi indios.
Tierra y libertad, fu il motto di Emiliano Zapata, quando nel 1910 diede inizio alla rivoluzione indigena nel sud del paese, mentre Pancho Villa liberava il nord del Messico dalla dittatura; il problema della proprietà della terra però, non è ancora stato risolto in molte comunità indigene.
I Wirràrika si localizzano principalmente nel nord dello stato di Jalisco, mentre una minoranza si trova negli stati di Durango e Nayarit.
La base fondamentale del sistema di organizzazione sociale è la famiglia, estesa e nucleare. I gruppi familiari sono organizzati in ranchos (piccoli insediamenti abitativi per lo più a base familiare), dispersi sul territorio. Ogni agglomerato ha all'interno un suo centro cerimoniale-religioso. Il Consiglio degli anziani è la massima autorità religiosa che regola le pratiche rituali, depositario dei principali valori culturali e tradizionali della comunità.
I Wirràrika vivono soprattutto di agricoltura, grazie alla coltivazione del mais, dei fagioli e della zucca; è anche diffuso l'allevamento di pecore per ottenere la lana. Il modo di praticare l'agricoltura, strettamente legato a tutto il loro modo di vivere, si potrebbe definire autosostenibile: l'equilibrio con la natura è continuamente ricercato e mantenuto attraverso le pratiche rituali. Gli spiriti del mais, del sole, della pioggia e della terra coltivabile sono, secondo le credenze dei Wirràrika, intimamente legati alla vita umana: la sopravvivenza del mais dipende da loro e la loro vita dipende dal mais, così come gli dèi alimentano le persone affinché queste alimentino gli dèi. Gli esseri viventi, che si sostengono a vicenda, sono parti di un tutto armonico, insieme alle forze della natura e alle divinità oggetto di culto.
Esistono degli obblighi sacri per conservare questi legami e parallelamente mantenere la vita sulla terra: la caccia mistica al cervo, la produzione di oggetti votivi, i pellegrinaggi nei luoghi sacri, la cura delle piante; la celebrazione delle numerose cerimonie contribuisce a rendere viva la relazione profonda tra la comunità umana, quella divina e il territorio.
La comunità indigena che ci ha ospitato è quella di Tuxpan de Bolaños, una delle cinque comunità Wirràrika nello stato di Jalisco. Abbiamo abitato per un breve periodo nella casa di Leocadio. Sua moglie Carmelita è una partera (levatrice), depositaria dei saperi e delle pratiche legate alla nascita. La partera gode di grande rispetto all'interno della comunità, in quanto punto di riferimento per le donne incinte, i bambini, le madri. La cucina di Carmelita era sempre in attività - come alcuni vulcani messicani - un andirivieni continuo di persone.
Sono trascorsi sei anni dal soggiorno sulla Sierra. E le sensazioni di quel viaggio, seppure un po' appannate, rimangono ancora vive.
Immergersi in una cultura diversa può attivare processi interiori che sgretolano le proprie sicurezze. Sperimentiamo ogni giorno - ora che persone di culture differenti interagiscono più frequentemente che nel passato - che per incontrarsi occorre depositare il fagotto delle proprie strutture mentali e culturali e astenersi dal giudizio. L'interazione empatica prevede che ci si metta nei panni degli altri, altrimenti non è vera interazione. Può essere un percorso faticoso, a volte senza epilogo, che offre in ogni caso la possibilità di vedere il mondo con altri occhi.
Per comprendersi reciprocamente occorre molto tempo. Senza la curiosità, il dubbio continuo, poi, non esisterebbe la spinta a comprendere. E i malintesi tra persone con culture diverse possono essere comunque uno spazio di relazione. Proprio in questo spazio possono prodursi tolleranza e solidarietà, là dove emerge il senso del limite della natura umana, perché le culture non sono superiori o inferiori le une alle altre, ma nascono dall'adattamento di un gruppo al territorio, si sono date norme e valori per la loro stessa sopravvivenza, hanno dèi e miti per dare un senso alla vita, non sono universi chiusi, ma fluide nel tempo e nello spazio, al pari di organismi viventi.
Come vivente è il pianeta terra, che anche per i Wirrarika è malato: gli squilibri climatici, le carestie e le epidemie, l'inquinamento atmosferico e delle acque, la riduzione della biodiversità, la desertificazione, il sovrappopolamento, l' estinzione di alcune specie animali sono il risultato sia di un rapporto diventato disarmonico con la natura, sia di un dialogo interrotto con gli dèi, sia di relazioni non equilibrate tra gli uomini. Alla base di questo rapporto c'è un'idea molto semplice: se gli esseri umani si prendono cura della natura, la natura, si prenderà cura dell'umanità.
La consapevolezza che esiste una relazione simbiotica tra uomo e ambiente e la visione dell'umanità come un tutto armonico (al pari dei grani di mais della pannocchia), sono alcuni dei messaggi che i Wirràrika vogliono consegnare al mondo occidentale.

   
Pagina a cura dell'Assessorato territorio, ambiente e opere pubbliche © 2024 Regione Autonoma Valle d'Aosta
Condizioni di utilizzo | Crediti | Contatti | Segnala un errore