VERTA VALLAYE
Il vero successo di un'azione rivolta contro la desertificazione in condizioni come la nostra passa attraverso una rivalutazione del suolo, inteso come capitale raro e non riproducibile.
IL DEGRADO DEI TERRENI COLTIVABILI
di Alberto Cerise
DEFINIZIONI
Un esempio dell'azione erosiva dell'acqua sul terreno.La convenzione ONU sulla desertificazione - New York 23/27 giugno 1997 - ne ha dato la seguente definizione, accettata da tutti i paesi: "un processo di degrado dei terreni coltivabili (suoli) in aree aride, semiaride e di quelle asciutte in subumide in conseguenza di numerosi fattori, comprese le variazioni climatiche e le attività umane". La fase finale del processo di desertificazione, indipendentemente dalle cause che lo provocano, non necessariamente è il deserto, ma la perdita di fertilità, sino a soglie situate al di sotto della possibilità di utilizzo per scopi agricoli.
Il suolo, fattore depositario della fertilità, è il frutto secolare dell'interazione tra il clima, il substrato minerale e gli organismi viventi, piante e animali. L'insediamento della vegetazione attiva la pedogenesi, che può essere accelerata e migliorata dalle pratiche agricole. Ma il suolo è un complesso debole, instabile e contrariamente a quanto avviene per la sua laboriosa formazione esso può perdere in fretta le sue proprietà per aridità o eccesso di acqua, ed è facilmente preda dell'erosione idrica o eolica.
La desertificazione, su vasta scala, favorisce altre crisi ambientali come la riduzione della biodiversità, fino alla scomparsa della vita e al riscaldamento del pianeta; essa è poi causa di tensioni tra popoli e dell'esodo di intere popolazioni.
IL PROBLEMA SU SCALA MONDIALE
Il summit di Rio individuò nella lotta alla desertificazione una delle azioni più importanti per il futuro; ma il protocollo per affrontare questa emergenza fu concluso a Parigi solo nel 1994.
Dei 5,3 miliardi di ettari di terre emerse che vengono coltivate, il 69% versa in stato di degrado o è soggetto alla desertificazione, creando condizioni di precarietà per un miliardo di persone in oltre 100 nazioni.
Si stima che ogni anno vadano perdute 24 miliardi di tonnellate di terre coltivate; con un costo valutato in 42 miliardi di dollari, 32 dei quali nei paesi poveri.
L'EUROPA E L'ITALIA
In Europa sono stati individuati oltre 20 milioni di ettari degradati a causa degli scarichi industriali e delle piogge acide; si stima che il 25% delle terre agricole ed il 35% di quelle a pascolo siano a rischio. L'area più esposta è certamente quella mediterranea dove le recenti prolungate siccità, l'erodibilità dei suoli, la frequenza degli incendi boschivi, l'abbandono dell'agricoltura, l'intenso sfruttamento delle riserve idriche delle falde e l'eccessiva antropizzazione delle coste determinano una tropicalizzazione dell'area. In Italia è stato calcolato che il 27% del territorio è interessato da inaridimento oppure coinvolto in fenomeni di erosione e di dissesto idrogeologico, impermeabilizzazione, salinizzazione, inquinamento che ne provocano la diminuzione della produttività.
La Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla siccità e alla desertificazione prevede che gli Stati aderenti si attivino sia con azioni interne agli Stati stessi, sia in collaborazione con altri Stati che hanno territori in eguali condizioni di esposizione (come nel caso dell'area nord-mediterranea) e infine in sinergia con gli interventi nei paesi in via di sviluppo colpiti gravemente dalla desertificazione o esposti all'aumento di questa.
Per quanto riguarda le azioni interne esse vanno da leggi e piani nazionali che riguardano la stabilità dei bacini montani, alla protezione e l'utilizzo delle acque, all'impiego delle biomasse, allo smaltimento dei rifiuti. Sono importanti anche tutte le direttive comunitarie e gli atti conseguenti relativi alla protezione delle foreste e al sostegno e valorizzazione dell'agricoltura.
LA SITUAZIONE IN VALLE D'AOSTA
Nella nostra Regione gli strumenti normativi richiamati sono, in quanto coerenti con la nostra realtà, applicati con diligenza. Nella parte più alta dei nostri bacini la protezione del cotico vegetale avviene nell'ambito della difesa del suolo con interventi specialistici e impegnativi come realizzazione. Nella fascia immediatamente sottostante, incapace di ospitare il bosco e utilizzata a pascolo, la tutela del suolo è connaturata con le buone pratiche della monticazione. Qui la minaccia è quella dell'erosione a seguito dell'abbandono del pascolo. Sovente il ricco cotico erboso si trasforma in un più semplice, ma non per questo meno compatto ed efficiente, rivestimento. In esso la fertilità del suolo resta latente e pronta a ricomparire con la ripresa delle pratiche come la fertirrigazione.
A quote più basse la foresta, che è la più naturale e risolutiva delle antagoniste alla desertificazione, svolge la sua azione di formazione e di trattenimento del suolo. Ogni forma di colonizzazione del bosco su terreni minerali, dissestati, aridi ed esposti agli agenti erosivi è un successo contro il degrado e quindi la desertificazione. Ma quando invece il bosco invade terreni fertili, a seguito dell'abbandono dell'agricoltura, il processo ha due conseguenze tra loro contrapposte.
Da un lato la foresta che s'insedia, sia pure attraverso fasi ecologicamente complesse e qualche volta debilitative dell'intero sistema forestale, rappresenta un presidio contro l'erosione e il dissesto idrogeologico; dall'altro essa costituisce una grave involuzione del sistema territoriale. La continuità della copertura forestale porta ad un paesaggio nordico e cancella quello alpino, fatto di alternanze tra copertura boschiva e prati-pascoli. Il passaggio dal suolo derivato dalla foresta insediata sul terreno minerale al terreno agricolo a seguito del disboscamento rappresenta un'evoluzione e un arricchimento; il processo contrario è un innegabile impoverimento.
Il vero successo di un'azione rivolta contro la desertificazione in condizioni come la nostra passa attraverso una rivalutazione del suolo, inteso come capitale raro e non riproducibile. In altri termini ad esso si dovrebbero riconoscere assieme al valore ecologico anche quello storico e antropologico. Ogni fazzoletto di terra coltivabile infatti custodisce i segreti delle ere geologiche, i resti della presenza di innumerevoli alberi, la vita di miliardi di microrganismi vegetali e animali; ma anche gli esiti di vicende umane e gli sforzi di uomini che con mezzi modesti e con tanta fatica hanno trasformato in agrario l'humus forestale o generato dal terreno minerale suolo fertile. Il quale va protetto come una delle componenti più preziose del nostro territorio.

   
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