VERTA VALLAYE
Il futuro delle nostre foreste è strettamente legato all'attuazione di politiche ambientali delle quali l'intera Europa necessita, ma che stentano ancora ad essere attuate
GESTIONE DEI BOSCHI IN VALLE D'AOSTA
di Alberto Cerise
LA NUOVA STAGIONE
Uno scorcio autunnale della Val Ferret.Al di là delle buone intenzioni, dei proclami, di leggi applicate solo in parte, sino agli anni sessanta è difficile individuare una vera e propria gestione razionale delle foreste. Basti al riguardo pensare che negli anni cinquanta, dopo i depauperamenti storici e i tagli effettuati nel periodo tra le due guerre, si prelevavano ancora mediamente 100.000 metri cubi di legname l'anno. Fino allora il metodo adottato era quello del diradamento, più o meno intenso, consistente nel prelievo delle piante più grandi, ovvero quelle che avevano raggiunto un non meglio definito diametro di recidibilità, considerato come parametro di "maturità" dell'albero. Era l'applicazione su più larga scala e con maggiore intensità dei piccoli prelievi selettivi che si effettuavano quando il proprietario o il concessionario praticavano per esigenze proprie per lo più di tipo edilizio. Questo modo di procedere, se da una parte non produsse gli effetti del taglio a raso, (sebbene in molti casi l'intensità degli abbattimenti fosse prossimo a questa modalità), dall'altro contribuì a depauperare ulteriormente i boschi, a destrutturarli e a indebolirne gli equilibri.
L'adozione dei piani di assestamento, o piani economici dei beni silvo pastorali degli enti pubblici, già previsti dalla legge forestale del 1923, consentì di individuare la sequenza e le modalità dei tagli consentendo agli enti proprietari entrate costanti, senza più impoverire i soprassuoli forestali , ma favorendo la sua crescita mediante la capitalizzazione di una parte degli incrementi della massa legnosa. Nel contempo i piani indicavano gli interventi selvicolturali e infrastrutturali necessari al miglioramento dei boschi. La centralità di questa pianificazione era rappresentata dai prelievi e quindi rivolta prevalentemente alla funzione produttiva delle foreste. Nell'arco di un tempo ragionevole, questa pianificazione i cui costi erano interamente sostenuti dalla Regione era estesa a tutti i boschi di proprietà comunale e consortile, ponendo in questo modo la Valle d'Aosta all'avanguardia, assieme alle province di Trento e di Bolzano.
L'EVOLUZIONE
Uno scorcio autunnale della Val Ferret.I piani subivano poi un'evoluzione indirizzandosi verso la realizzazione di foreste conformate al modello naturalistico. La prioritaria funzione produttiva era gradualmente convertita a vantaggio della realizzazione di boschi con caratteristiche più prossime a quelle dei soprassuoli naturali. Questo modello era a ragione ritenuto quello più idoneo per consentire alla foresta di assolvere a tutte le funzioni ad essa richiesta. L'obiettivo di questa pianificazione era e resta quello di ottenere foreste meglio differenziate in relazione alla loro vocazione, più sane, a forte capacità autorigenerativa, soprattutto ecologicamente molto efficienti, più naturali. Queste foreste con il tempo producono alberi di grandi dimensioni, di ottimo portamento e quindi in definitiva con una maggiore produzione. L'intervento dell'uomo si trasforma così da manomissione a complemento dell'opera della natura. Questa selvicoltura è la più efficace per ricostituire le foreste eccessivamente sfruttate, assicurare la stabilità dei soprassuoli forestali esclusi dai tagli produttivi, per coniugare altri usi del bosco con la sua integrità. Essa ha imposto, fin dall'inizio della sua applicazione, l'esecuzione di tagli leggeri e che nella migliore delle ipotesi univano il prelievo di modeste quantità di materiale commercializzabile con altri prodotti di scarso valore e indifferenti per l'efficienza dell'ecosistema forestale. Con queste caratteristiche essa risultava essere poco redditizia per l'imprenditoria privata. Ne conseguiva un allontanamento di questa e la penalizzazione delle casse degli enti proprietari.
Con l'avanzare degli anni settanta venivano meno anche quelle operazioni di pulizia dei boschi connaturate con l'esercizio di usi civici o il prelievo delle concessioni di focatico, (cioè del diritto di raccogliere la legna da bruciare), mentre quelle ad uso edile diventavano sempre meno interessanti per l'elevato costo del prelievo.
Per la foresta pubblica occorreva individuare un'alternativa all'abbandono e al degrado.
L'INTERVENTO PUBBLICO
L'Amministrazione regionale ponendo le foreste al centro del sistema ambientale della Valle intraprendeva, in coerenza con gli indirizzi selvicolturali scelti, una costosa e impegnativa azione intesa a prendersi cura direttamente dei boschi pubblici. L'operazione, oltre agli investimenti infrastrutturali necessari all'esecuzione degli interventi e alla protezione delle foreste, esigeva di convertire le maestranze, sino allora impiegate in lavori selvicolturali di bassa specializzazione, in veri e propri operatori forestali specializzati. Fatte le scelte gestionali e pianificati gli interventi, l'attenzione si rivolgeva dunque all'uomo. Con un impegno a tutto campo durato un decennio, a partire dalla seconda metà degli anni settanta, e con l'appoggio di centri formativi di provata esperienza si è pervenuti alla formazione di boscaioli moderni. Operatori capaci di impiegare la tecnologia avanzata, rispettando loro stessi e contestualmente in grado di eseguire tutti i tipi di pratiche forestali, dal taglio e l'esbosco di grandi alberi, ai diradamenti di boschi di qualsiasi età, con scienza delle operazioni e dei loro scopi. Non semplici se pur bravi esecutori di pratiche selvicolturali, ma specialisti capaci di leggere la realtà forestale nella quale agire secondo regole che mettono sullo stesso piano, in quello che potrebbe apparire un eccesso di considerazione, l'uomo e la foresta. In un secondo tempo, con l'obiettivo di disporre di una locale formazione permanente, si sono preparati degli istruttori forestali, costantemente aggiornati. Contestualmente si verticalizzava la preparazione di addetti del Corpo Forestale Valdostano fino a costituire una unità tecnica specializzata. L'esperienza della Valle d'Aosta fu presa a modello da molte altre regioni italiane e la stessa provincia di Trento ne adottò la formula, seppure con adattamenti locali.
Pur in presenza di incentivi interessanti, gli investimenti dei proprietari nei boschi privati è stato e resta modesto e insufficiente. A ciò hanno concorso diversi fattori che vanno dalla difficoltà di trovare manodopera, al costo proibitivo delle imprese forestali, alla bassa redditività e relativa scarsità di materiale sfruttabile (tenuto conto dei condizionamenti imposti dall'applicazione diffusa della selvicoltura naturalistica, ormai saldamente adottata in tutto il territorio e applicata con scrupolo e diligenza).
Prendersi in carico l'intera superficie forestale pubblica, ma intervenendo anche su quella privata nel caso di emergenze sanitarie o di altro genere, ha necessariamente imposto delle scelte. La prima è stata quella di individuare e destinare risorse economiche coerenti con le altre componenti del sistema, come quella umana e per certi versi anche quella imprenditoriale. Gli interventi sono stati indirizzati prioritariamente verso la rimozione di ogni focolaio degenerativo, anche su grande scala; il ripristino delle foreste distrutte da incendi o da altre calamità con l'asportazione dei soprassuoli danneggiati; la manutenzione conservativa secondo i principi della selvicoltura naturalistica, operando sui popolamenti prima del verificarsi di loro cedimenti. È una metodologia che massimizza l'efficacia degli interventi, ma che esige un eccellente livello di monitoraggio dei boschi e molta professionalità da parte dei selvicoltori.
In 25 anni sono state investite in favore della copertura boschiva, secondo questa strategia, risorse per circa 300 miliardi di vecchie lire.
L'ATTUALITÀ
L'attuale gestione forestale prosegue sulla strada avviata. Essa ha ulteriormente arricchito e perfezionato gli strumenti programmatici sia per quanto riguarda i boschi pubblici, sia per una pianificazione su base comprensoriale che prescinde dalle divisioni amministrative. Resta prioritario garantire alle foreste la loro capacità di assolvere a tutte le funzioni le quali, come l'esperienza ha dimostrato, possono essere esplicate contemporaneamente ed al massimo grado solo se i boschi sono costantemente curati, e alla condizione di ricercare dei punti di mediazione tra le caratteristiche che essi devono avere in relazione a ciò che si chiede loro, salvaguardando i loro presupposti naturali.
È bene ricordare quanto oggi noi siamo esigenti verso le foreste in fatto di richieste di svolgimento di funzioni e che possiamo riassumere in:
o ecologiche: regimazione delle acque, protezione del suolo, qualità dell'aria, regolazione del clima, conservazione di flora, fauna e altre risorse naturalistiche, conservazione del germoplasma, qualificazione del paesaggio in generale;
o produttive: produzione legnosa, prodotti del sottobosco, pascolo, selvaggina;
o ricreative;
o culturali e sociali.
La massima efficienza protettiva si ottiene con boschi adulti, anche vecchi e molto densi, mentre i più alti livelli di biodiversità si hanno con coperture dalle caratteristiche opposte; la maggiore produzione di ossigeno che si coniuga con la più alta sottrazione di anidride carbonica si ha con boschi ove prevale la componente di piante in crescita, cioè giovani; i boschi di pregio naturalistico sono poco compatibili con esigenze di tipo ricreativo.
L'azione pubblica che comporta impegni notevoli e responsabilità soggettive più consone a strutture private, prosegue il suo impegno a garantire continuità alla copertura forestale, preparare risorse umane capaci di agire con alta professionali in tutte le fasi: conoscitiva, applicativa, esecutiva; provvedere ad una infrastrutturazione efficiente. Questo non solo per assicurare alle future generazioni un patrimonio forestale migliore di quello ereditato, cosa che pare scontata, ma per contribuire al complessivo nuovo ordine ambientale.
IL FUTURO - IL BOSCO PRESIDIO PER L'AMBIENTE
Occorre avere consapevolezza che la funzione ambientale svolta dal bosco e della quale la società ha sempre più bisogno non genera ricchezza monetizzabile e spendibile e la produzione legnosa essendo limitata e condizionata non riesce (e difficilmente potrà farlo in futuro anche a fronte di possibili sviluppi favorevoli) a coprire i costi necessari a mantenere l' efficienza del sistema forestale.
Si pone dunque il problema delle risorse finanziarie necessarie per provvedere a questo obiettivo, partendo dalla constatazione che la foresta rappresenta sempre di più un presidio ambientale capace di dare risposte a minacce che riguardano l'intera collettività umana.
I boschi valdostani producono circa 70 milioni di m3 di ossigeno l'anno e sottraggono quasi un miliardo di m3 di CO2. I benefici di tale bilancio non sono solo a vantaggio della comunità valdostana, come ad esempio gli effetti della funzione protettiva o ricreativa, ma dell'intero sistema ambientale. Partendo da queste considerazioni si deve pervenire alla individuazione delle risorse da destinare in base al loro PA - Prodotto Ambientale - e distribuire gli oneri necessari alla sua formazione tra tutti i soggetti beneficiari.
Tra le esigenze ambientali di cui si avverte la necessità vi è quella di fare ricorso a fonti energetiche rinnovabili. Alcuni fattori favorevoli, tra i quali più efficienti tecnologie nel prelievo e nell'utilizzo energetico di legname di basso pregio, fanno rinascere un nuovo interesse per la funzione produttiva. La quale potrebbe essere ulteriormente valorizzata dal miglioramento della qualità del legname a seguito delle cure culturali eseguite nei boschi. Ma soprattutto sarebbe interessante che a livello europeo si pervenisse alla determinazione di esigere la certificazione ecologica del legname: ossia che per poterl commercializzare si debba certificare che esso proviene dacoltivazioni condotte secondo i principi dello sviluppo sostenibile.
Dal 2° Rapporto sullo stato delle Alpi, prodotto dalla CIPRA, emerge come sia venuto il momento di agire in favore di questo patrimonio così importante per l'intera Europa.
Lo strumento più idoneo è certamente individuabile nell'attuazione del Protocollo sulle foreste montane della Convenzione Alpina, che rappresenta una grande opportunità. Esso contiene gli indirizzi di tipo normativo ed economico per rafforzare le azioni intraprese dai singoli paesi, che così come pure i proprietari si vedrebbero premiati nell'attuazione delle misure previste e dirette a stabilizzare e potenziare la funzionalità ambientale delle foreste.
In ciò troverebbero un sostegno e una maggiore efficacia le misure e gli interventi, già ingenti, oggi a totale carico della Regione, compresi quelli previsti sino al 2006 nel piano di sviluppo rurale.
Il futuro delle nostre foreste è dunque strettamente legato all'attuazione di politiche ambientali di cui l'intera Europa necessita, ma che ancora stenta a mettere in cammino.
È un capitolo che deve essere scritto cogliendo l'occasione dell'anno internazionale delle montagne, le cui foreste sono una delle risorse più strategiche per la qualità della vita e per l'ambiente.

   
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