SISTEMA URBANO
Il governo del territorio presuppone di affrontare a scale diverse temi quali lo sviluppo economico, la mobilità, l'urbanistica, l'ambiente. Con quali strumenti? Con quali attori?
QUALI PIANI PER QUALI TERRITORI?
di Maddalena Micheletto
Nel corso degli ultimi vent'anni, sono numerose le Regioni italiane che hanno modificato la loro legislazione in materia di pianificazione territoriale e di urbanistica. Si è assistito inoltre ad un proliferare di strumenti: piano territoriale, piano paesistico, piano di indirizzi, documento d'inquadramento, piano di coordinamento, piano di settore, piano strategico, piano intercomunale, documento direttore, piano strutturale, piano operativo, progetto urbano… I processi di pianificazione coinvolgono una molteplicità di soggetti istituzionali (Regioni, Province, Consorzi, Comuni) e si concretizzano nella realizzazione di un'altrettanta molteplicità di piani.
Agli occhi del pubblico, questo processo appare particolarmente complesso e può condurre alcuni a mettere in causa l'utilità stessa del piano.
Come si può, in un tale groviglio di strumenti, in un "affollamento" di piani, identificare le differenti scale di governo de territorio e scegliere gli strumenti più appropriati?

Il piano di indirizzi regionale
Le Regioni che hanno approvato una riforma della loro legislazione (quali l'Emilia-Romagna, la Liguria, la Lombardia, le Marche e la Toscana), hanno agito tutte verso uno stessa direzione: la trasformazione del piano territoriale regionale in un piano di indirizzi.

Il Piano regionale diviene uno strumento che non deve più preoccuparsi dell'uso del suolo in senso stretto, bensì uno strumento che individua i grandi orientamenti di protezione e di messa in valore del territorio. Ad esempio il piano di indirizzi delineato dalla Regione Toscana:

- determina un quadro di conoscenze (quali l'identificazione dei sistemi territoriali, i principi di utilizzo delle risorse essenziali presenti sul territorio), che dovrà essere in seguito condiviso dalle autorità locali;
- fissa le invarianti territoriali da mantenere (tra sviluppo turistico e protezione dell'ambiente, tra riqualificazione e nuove estensioni urbane..) che dovranno essere rispettate nei piani di livello inferiore;
- definisce, per i grandi settori di competenza regionale, dei programmi e progetti (in materia di trasporti, di protezione dell'ambiente e delle risorse idriche, di sviluppo economico).

Il Piano Territoriale e Paesistico della Valle d'Aosta, andava già in tale direzione; privilegiava gli indirizzi piuttosto che le prescrizioni. A differenza di una norma, che è stabilita una volta per tutte e della quale si verifica la giusta applicazione, la predisposizione di un indirizzo presuppone un dialogo, un confronto di punti di vista tra autorità regionali e locali, ed infine la valutazione condivisa di scelte possibili sulla base di criteri scientifici e tecnici.
Il piano di indirizzi può, se lo necessita, essere completato da piani o programmi settoriali (turismo, trasporti..). L'elaborazione di tali strumenti deve essere oggetto di una concertazione con gli attori pubblici e privati interessati, al fine che le scelte fatte siano condivise.

Piani territoriali di coordinamento
Il piano di indirizzi assomiglia più ad un programma di azioni e di investimenti che ad un disegno tradizionale del territorio. Le scelte contenute non si traducono in localizzazioni precise o in progetti ben definiti; i contenuti normativi presenti interessano solo la protezione di riserve naturali e dei paesaggi. Le indicazioni dovranno essere in seguito tradotte e specificate in piani territoriali che presentino una scala intermedia tra quella della Regione e quella del Comune. Nelle grandi Regioni è stata utilizzata la scala intermedia della Provincia. Nelle Regioni più piccole, potrebbero essere individuati dei livelli intercomunali corrispondenti ad un altopiano, ad una vallata oppure ad un'unità territoriale avente un'identità culturale comune.
Questi piani, detti di coordinamento, identificano e localizzano i principali progetti di sviluppo di area vasta sui quali i Comuni si sono accordati e impegnati. I progetti possono riguardare lo sviluppo del turismo (interconnessione degli impianti di risalita e aree di parcheggio, localizzazione concertata delle strutture ricettive…), la programmazione e individuazione di nuove zone artigianali e commerciali, la riqualificazione di aree industriali dimesse, la creazione di reti di spazi verdi oppure anche su azioni condivise in materia di prevenzione dei rischi.
Per esempio il piano di coordinamento del Salento, recentemente elaborato, mette a fuoco il bisogno di una riorganizzazione e potenziamento delle reti viarie esistenti (comprese quelle poderali) dando valore aggiunto al potenziamento della rete senza intaccarla con nuovi assi. Nel caso della Provincia di Prato, un dispositivo complesso di partecipazione (conferenze d'area, incontri tematici, incontri verifica) ha permesso di individuare uno scenario in cui i singoli progetti vengono realizzati: dall'interconnessione delle reti di infrastrutture, al funzionamento in rete dei sistemi ambientali, alla valorizzazione del patrimonio culturale e allo sviluppo economico (agricoltura, industria tessile, turismo).

L'elaborazione di un piano di coordinamento implica nella maggior parte dei casi la partecipazione di soli attori pubblici. La Provincia di Milano, invece, scartata l'idea di un piano provinciale globale, ha preferito portare avanti dei progetti su iniziativa di territori particolari. Piuttosto che definire a priori delle aree intercomunali di progetto, ha predisposto dei tavoli di negoziazione appoggiandosi a gruppi di discussione (che hanno riunito eletti, imprenditori, associazioni varie) animati da tecnici della Provincia o da professionisti indipendenti. Questa azione di concertazione ha permesso di arrivare alla definizione di progetti concreti e all'adozione di un vero piano strategico d'intervento. L'esperienza della Provincia di Milano si avvicina molto a quella che altre città hanno condotto (Genova, Torino, Milano), ovvero l'idea secondo la quale un piano strategico è un piano concertato, condiviso, che definisce azioni ed investimenti, la cui area di applicazione è necessariamente intercomunale.

Lo sdoppiamento del piano regolatore generale
A scala comunale, dalla legge 1150/1942, il piano regolatore comunale perseguiva un duplice obiettivo: mettere a punto, in relazione alle indicazioni di scala superiore, un progetto di sviluppo comunale; definire le regole di uso dei suoli e di costruzione.

Le regioni che si sono impegnate dalla metà degli anni '90 in una riforma di pianificazione territoriale, procedono alla suddivisione del piano regolatore in due documenti :

- Il piano strutturale che contiene da una parte gli elementi diagnostici e di analisi, ovvero il quadro di conoscenze del territorio comunale, dall'altra gli obiettivi strategici di sviluppo e di organizzazione;
- Il piano operativo che comprende i documenti a carattere attuativo ovvero il regolamento edilizio, le norme ed i programmi di investimento comunale.

Questa suddivisione presenta un duplice interesse: permette di distinguere gli elementi stabili (strutturali) del piano da quelli flessibili ed inoltre applica il principio di sussidiarietà, introdotto dalle leggi Bassanini (1997), principio che regola la cooperazione di tutti i livelli pubblici in materia di governo del territorio (Regioni, Province, Comuni,…). In effetti, mentre il piano strutturale deve conformarsi alle indicazioni di ordine superiore e quindi deve essere oggetto di una valutazione, il piano operativo è approvato direttamente dal Comune.

Il Piano Territoriale e Paesistico della Valle d'Aosta, approvato nel 1998, prefigurava già una strategia di governo del territorio molto vicina a quelle emanate dalle recenti riforme delle altre Regioni italiane. Il PTP è anzitutto una sorta di piano di indirizzi; privilegia gli orientamenti alle prescrizioni, definisce delle strategie di politiche regionali, propone una serie di azioni al livello intercomunale e formula una serie di progetti e programmi integrati che prefigurano dei veri e propri progetti territoriali a carattere strategico.

Nel corso degli anni, il contenuto strategico del PTP è sembrato sfumarsi a vantaggio di una sua interpretazione normativo-vincolistica, per cui oggi la Valle resta con il Piemonte (che ha nel frattempo mosso i primi passi per una riforma, ancora in corso di approvazione) una delle ultime Regioni italiane nelle quali prevale una concezione urbanistico-conformativa della pianificazione.
A livello nazionale, l'ultimo progetto di legge di riforma di governo del territorio, approvato solo alla Camera nel 2005, riproponeva il principio di sussidiarietà, trasformando il piano territoriale regionale in piano di indirizzi e suddividendo il piano regolatore in due parti: piano strutturale e piano operativo.

La nostra Regione, che all'inizio degli anni '90 è stata pioniera della riflessione sulla pianificazione, deve approfittare di questo contesto nazionale favorevole per attuare nuove forme di collaborazione tra Regione e Comuni.
   
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