ITINERARIO
"…anche i nuovi appassionati delle scienze della Terra (…) possono far parlare le pietre: basta che le guardino attentamente, le interroghino con garbo, si interessino alla montagna che le ha svelate" Maurice Mattauer
BARD: IL SEGNO DEL GHIACCIAIO
di Nadia Guindani
La cartina che illustra l'itinerario.Con ampio riscontro da parte dei lettori di Environnement continua l'iniziativa promossa dall'Assessorato Territorio, Ambiente e Opere Pubbliche volta alla valorizzazione ed alla scoperta di alcuni tra i geositi più belli ed importanti della Valle d'Aosta. Negli scorsi numeri sono stati proposti l'itinerario sulla frana di Champlong e quello sui suggestivi calanchi di Saint-Nicolas; il nostro viaggio prosegue ora con la visita a Bard ed alle sue affascinanti forme modellate dai potenti ghiacciai del passato.
Il geosito di Bard è senza dubbio tra i più significativi e rappresentativi del territorio valdostano per la varietà e la bellezza delle sue forme; inoltre la loro esemplarità didattica, unita ad un'immediata accessibilità del sito, fanno sì che il dosso antistante il borgo di Bard costituisca una classica meta da parte di numerosi gruppi di studenti di facoltà scientifiche provenienti dalle vicine Università di Torino e Milano. Il sito è caratterizzato da una spiccata morfologia glaciale e, in particolare, si possono distinguere le seguenti forme: le rocce montonate, i massi erratici e le marmitte dei giganti. Un discorso a parte meriterà la frana storica di Bard legata in parte al ritiro dei ghiacciai, ma principalmente riconducibile a cause correlate alla normale evoluzione gravitativa dei versanti.
Bard non deluderà nemmeno gli appassionati di un passato molto più recente, con la stupenda visione sull'imponente Forte, gli affascinanti scorci all'interno del Borgo e gli edifici residenziali dei secoli XV-XVI, opere di notevole pregio architettonico; ma questa, appunto, è tutta un'altra Storia…
Masso erratico fluito assieme alla massa glaciale durante le grandi glaciazioni quaternarie ed abbandonato a Bard in fase di regressione glaciale.Negli ultimi due milioni di anni si sono succedute diverse fasi glaciali, durante le quali i ghiacciai aumentavano le loro dimensioni e progredivano verso valle, alternate ad altrettante fasi interglaciali di regressione caratterizzate da un clima più caldo. Risale a circa 150.000 anni fa una delle massime espansioni del Ghiacciaio Balteo che, percorrendo l'asse vallivo della Valle d'Aosta, accoglieva le lingue dalle vallate laterali e raggiungeva la pianura Canavesana andando a formare il grande anfiteatro morenico di Ivrea. La fine dell'ultima espansione risale a circa 10.000 anni fa e da allora, se pur con pause e brevi inversioni di tendenza, i ghiacciai si sono ritirati lasciando innumerevoli testimonianze del loro passaggio.
Tra queste spiccano le tipiche rocce montonate, frutto di un processo erosivo denominato esarazione: i ghiacciai, infatti, si comportano come fluidi molto viscosi che, sotto la spinta del loro peso e della gravità, scivolano lentamente verso il basso creando un forte attrito tra la massa di ghiaccio e la roccia sottostante; la presenza sul fondo di detriti rocciosi non fa altro che aumentare l'abrasione ed il raschiamento del substrato, smussando e arrotondando ogni asperità. L'esarazione glaciale lascia sulle rocce tracce inconfondibili: le rocce appaiono striate, levigate, e formano delle caratteristiche strutture a dossi, spesso allungati nella direzione di scorrimento del ghiacciaio. Generalmente i dossi appaiono più arrotondati sul lato rivolto a monte, dove l'attrito tra il detrito e le asperità del substrato è maggiore, e più ripidi e ruvidi verso valle, dove la parziale fusione del ghiaccio fa sì che l'acqua penetri nelle fessure della roccia e, ricongelando, ne provochi poi la rottura. Inoltre, sulle gobbe rocciose di Bard, sono ben distinguibili numerosi solchi glaciali, anch'essi orientati nella direzione di movimento dell'antico ghiacciaio, causati dallo sfregamento sul fondo di blocchi di roccia più grossi inglobati nella massa di ghiaccio.

La curiosa figura serpentiforme, databile intorno ai 3.000-2.700 anni fa, pare richiami il simbolo della fecondità maschile.In base a quanto detto emerge quanto sia efficace la capacità di trasporto dei ghiacciai: insieme a frammenti più piccoli può, infatti, sradicare e trasportare massi anche molto pesanti che vengono poi depositati ad enorme distanza dal loro luogo di origine. I massi che hanno viaggiato sospinti dai ghiacciai e che sono stati successivamente depositati in fase di ritiro vengono, non a caso, definiti massi erratici. Questi blocchi possono essere stati sradicati dal substrato oppure possono essere caduti dalle pareti circostanti sulla superficie del ghiacciaio, per poi fluire insieme ad esso. Appare ora più semplice comprendere come sia possibile la presenza di questi massi la cui litologia può essere così diversa da quella delle rocce su cui poggiano! I massi erratici, uno dei quali è ben evidente all'ingresso del sito, si caratterizzano anche per la loro forma che generalmente appare molto più spigolosa ed irregolare rispetto al substrato levigato su cui si possono trovare, per aver risentito in misura minore dell'azione erosiva del ghiacciaio.

Sulla sommità del dosso montonato si può osservare una tra le forme più suggestive legate all'azione del ghiaccio e dell'acqua: con i suoi 4 metri di diametro per 7 di profondità, rappresenta senza dubbio una tra le più belle marmitte dei giganti della Valle d'Aosta. Queste grandi cavità cilindriche si sono formate grazie all'azione erosiva da parte delle acque subglaciali in pressione cariche di detriti. Tale fenomeno, che prende il nome di evorsione, ha la caratteristica di autoalimentarsi grazie al moto turbolento che viene a crearsi; in questo modo i ciottoli trasportati dal torrente subglaciale esercitano continui urti sulla roccia andando ad ingrandire e ad approfondire tali cavità. I ciottoli sarebbero ancora visibili sul fondo se non vi fosse cresciuta della vegetazione all'interno.
Un'altra marmitta di più difficile individuazione si trova lungo la strada verso il Forte: di diametro leggermente inferiore rispetto alla prima, ha un aspetto più regolare e per buona parte dell'anno è ricoperta d'acqua. Da segnalare, però, che la vegetazione sta rapidamente "nascondendo" la marmitta e impedendone l'accesso diretto, oltre a riempirla di fogliame e altro materiale organico.
Nella zona della Bistecca vi sono poi numerose marmitte emisferiche, cosiddette perché sembrano sezionate a metà; il meccanismo di formazione è analogo a quelle cilindriche, solo che i processi di evorsione si sono verificati nell'interfaccia ghiacciaio - parete rocciosa.

Da secoli le marmitte di Bard vengono chiamate "Olles des Sarasins"; la leggenda narra che i Saraceni le avrebbero scavate con l'aiuto di Satana per nascondere il bottino depredato ai viandanti.Un ultimo elemento di interesse geomorfologico è rappresentato dalla frana storica osservabile a poche centinaia di metri dal Borgo, in direzione di Aosta. Il primo crollo avvenne il 1° dicembre 1911 e risparmiò la cappella del Liéron; un secondo evento, di maggiore entità, interessò un'area più vasta distruggendo anche la secolare cappella, ostruendo totalmente la strada ed in parte l'alveo della Dora Baltea. Le cause del crollo sono imputabili a molteplici fattori predisponenti quali: l'azione e il ritiro dei ghiacciai che determinano rispettivamente la forte verticalità dei pendii a U ed il venir meno del sostegno laterale esercitato dalla massa di ghiaccio; la fratturazione della roccia per effetto delle variazioni di temperatura e per congelamento dell'acqua nei pori e nelle fessure (termoclastismo e crioclastismo); la sismicità della zona (piccole scosse erano state registrate prima dell'evento).

Andando a visitare il geosito di Bard non si può tralasciare l'importante aspetto dell'arte rupestre che non mancherà di stupire chi ancora non conosce questo luogo. Fin dal Neolitico le rocce montonate hanno fornito superfici ideali sulle quali incidere simboli legati ai culti religiosi e pagani: la teoria più accreditata è quella che vede nelle incisioni rupestri l'espressione e, al tempo stesso, lo strumento di tali culti che sono poi sopravvissuti tenacemente fino a tempi non molto lontani. All'ingresso del sito sono osservabili numerose coppelle (piccole concavità scavate nella roccia), le cui interpretazioni sono ancora discordi. Vi è poi una curiosa figura serpentiforme, che viene fatta risalire a 3.000-2.700 anni fa, che pare richiamare il simbolo della fecondità maschile. A pochi passi sono evidenti altre incisioni cruciformi più facilmente riconducibili a simboli religiosi. Infine, una particolare lustratura allungata situata a pochi metri dal motivo serpentiforme, pare essersi formata nel corso dei secoli grazie ad una curiosa pratica propiziatoria legata alla fecondità femminile che la tradizione ci tramanda consistesse nello scivolare sedute sulla roccia; non a caso tale lustratura prende il nome di scivolo delle donne.

L'ITINERARIO
Quota: compresa tra 325 m e 425 m
Durata della visita: 1-2 ore
Periodo consigliato: tutto l'anno
N.B. La presenza di rocce lisce e levigate richiede attenzione, in particolare dopo temporali o piogge quando potrebbero risultare parzialmente bagnate e dunque ancora più scivolose.

Percorrendo la strada romana delle Gallie che attraversa il Borgo di Bard si giunge all'altezza del piccolo cimitero, a fianco del quale si intravede un'apertura nel muro a secco che consente l'ingresso al sito. Da qui sono immediatamente osservabili i dossi montonati, i massi erratici, le incisioni rupestri e lo scivolo delle donne. La marmitta più grande si trova sulla sommità del dosso e vi si accede seguendo un breve sentiero non facilmente individuabile che prosegue in direzione Est. Dato che la marmitta non è chiaramente segnalata né recintata si consiglia di fare attenzione e di non sporgersi troppo. Per poter osservare la seconda marmitta è necessario tornare alla strada romana e risalire a piedi la strada che conduce al Forte; superate le prime due curve a gomito, sulla destra si intravede un'antica scalinata in pietra che si ricollega, poco oltre, alla strada asfaltata. Da qui è possibile osservare la marmitta dall'alto. Più in basso un accesso diretto permette di vederla più da vicino, però rovi e cespugli intralciano il passaggio. A poche decine di metri dall'imbocco della strada statale per Donnas, lungo la parete denominata Bistecca spesso frequentata dagli appassionati di arrampicata, sono invece osservabili due emimarmitte; per osservarne altre è necessario imboccare un breve sentiero fino all'altezza delle vigne.
Per accedere alla frana storica è necessario oltrepassare Bard e proseguire lungo la S.S. 26 fino ad incontrare sulla sinistra un'ampia piazzola che costituisce un ottimo punto d'osservazione sulla frana.
   
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