DJOUIE
Il corso della Dora Baltea rappresenta uno spunto per un'analisi geomorfologica del solco vallivo che il fiume ha scavato in migliaia di anni.
UN FIUME ALPINO ORIGINALE
di Francesco Prinetti
Quasi quattromila metri sotto la cima del Monte Bianco si apre la Valdigne, coperta di prati e di vigne. Qui la Dora attraversa una fascia di tenere rocce scistose, che addolciscono i versanti ed abbassano la cresta spartiacque in varie insellature, tra cui il Piccolo San Bernardo.Nasce dalle maggiori riserve glaciali delle nostre Alpi, lassù dove le nevicate sono attinte direttamente dalle fredde correnti in quota. Scende modellando con delicatezza i teneri scisti carboniferi coperti di vigne: merito dello sbarramento di roccia cristallina che, teso attraverso la valle fra il Ruitor ed il Vélan, trattiene un po' le acque ed evita alla Valdigne l'erosione in profondità. Precipita quindi dalla Pierre Taillée nella conca di Aosta, e la riempie dei depositi glaciali e alluvionali di sei grandi valli. Piega poi risolutamente ad est, addentrandosi nella catena alpina come se rifiutasse la via del mare. Drena così i bacini dell'Emilius, del Cervino e del Monte Rosa, che senza la Dora avrebbero avuto un accesso autonomo alla pianura. Trova finalmente un varco a Montjovet e riprende la giusta direzione per uscire dalle montagne. Da qui in poi taglia una serie di barriere rocciose stese di traverso regalando agli arrampicatori ripide pareti lisciate dai ghiacciai, ma anche improvvisi squarci di frana che allargano il fondovalle piatto. La pianura entra infatti serpeggiando fra le montagne valdostane, risalendo la debole pendenza del solco vallivo.
Come e quando è iniziata a scorrere la Dora? È sempre stata così? Che cosa guida il suo percorso? Sono domande tutt'altro che banali, che ci stimolano ad osservare sul nostro territorio indizi sovente trascurati.

Nella Media valle, un tipico esempio dell’evoluzione “recente” dei nostri versanti: il sito di Vollein (Quart). Il roccione sulla sinistra dà la misura dello sprofondamento che ha interessato la zona fratturata sulla destra, dove si trovano i reperti archeologici.Ovviamente la valle della Dora non fu sempre così. Nel secolo XIX ci fu la scoperta dei ghiacciai: la borghesia dominante a quel tempo, assai recettiva verso le novità scientifiche, fu informata che per oltre un milione di anni, periodicamente, immense lingue di ghiaccio avevano riempito le valli valdostane confluendo nella pianura padana. La Valle d'Aosta fu così setacciata alla ricerca di tracce glaciali, tanto che l'inventario di tali morfologie risultò poi un po' esagerato, attribuendo alle pulsazioni glaciali anche fenomeni di accumulo e dissesto ben posteriori all'ultima regressione. L'entusiasmo che animava tali ricerche ci ha comunque lasciato in eredità un'informazione filosoficamente preziosa: il paesaggio, l'ambiente, gli oggetti naturali che ci circondano non costituiscono un riferimento fisso ed immutabile, atto ad assorbire ogni nostro intervento in modo prevedibile ed indolore; essi al contrario fanno parte di un sistema in equilibrio dinamico che può reagire in modo vistoso anche a modeste degradazioni delle sue componenti.

Ma la Dora ha avuto una vita avventurosa sia prima che dopo le pulsazioni glaciali. L'aspetto della valle fu profondamente condizionato da altri grandiosi fenomeni che, per essere stati scoperti in tempi più recenti, non si sono potuti giovare dell'entusiasmo popolare ottocentesco verso la ricerca scientifica.

Nasce prima il fiume o il monte?
La Dora può svoltare a sud nelle gole di Montjovet, dove la roccia di serpentino è tagliata in grandi pareti verticali.Una di queste superfici di scorrimento è illuminata dal sole verso il centro della foto. Il castello medievale di St.-Germain ed il taglio della strada settecentesca evocano alcune fasi storiche in cui la nostra civiltà si è misurata con la forza delle rocce e del fiume.Le fasi più antiche, alle origini del territorio valdostano quale conosciamo ora, furono controllate da due eventi di origine profonda: da un lato la surrezione del Monte Bianco, formidabile attivatore del ciclo vitale dell'acqua; dall'altro lato le deformazioni fragili della crosta terrestre, particolarmente attive sul rilievo alpino.
Il Monte Bianco, come massiccio cristallino, apparve nel paesaggio valdostano una ventina di milioni di anni fa. Fra il nuovo massiccio e la pianura, le più vecchie Alpi, tra cui le montagne della bassa Valle, erano già nella posizione attuale da un tempo più o meno doppio. Con la surrezione del Monte Bianco nasce dunque il problema di far scorrere le acque del suo versante valdostano verso le regioni adriatiche, attraversando la catena alpina già in posto.
Questa impresa tutt'altro che semplice fu affrontata dalla neonata Dora sfruttando al massimo le debolezze strutturali delle vecchie Alpi. Infatti per tutta la loro storia, ed ancora adesso, lenti movimenti in profondità fanno impercettibilmente dislocare vaste porzioni di territorio producendo, sulla rigida superficie dei monti, delle fratture verticali che si propagano in lunghezza anche per decine di chilometri. Il reticolo di tali fratture a volte coincide con il reticolo idrografico, a volte invece attraversa valli e monti segnandoli di una traccia rettilinea, con modeste insellature in corrispondenza delle creste, e laghi e laghetti dove il ghiacciaio ha potuto lavorare. La roccia lungo tali linee di stress può infatti sbriciolarsi ed offrire quindi scarsa resistenza all'erosione. All'infanzia della Dora erano attivi, o da poco quiescenti, alcuni dei principali sistemi di faglie (fratture con dislocazione dei due lembi) riconoscibili attualmente nella regione: il sistema di Cogne, la faglia Aosta-Ranzola, la faglia dell'Ospizio Sottile. Il primo traccia il percorso della Dora dal Bianco alla zona di Aymavilles, dove confluisce anche la Grand'Eyvia di Cogne dalla parte opposta (salvo una lieve deviazione finale). La seconda, vera genitrice della regione valdostana, traccia il solco da Aosta a Saint Vincent, da ovest a est, di sbieco rispetto all'arco delle Alpi. Questo solco è profondissimo: nella conca di Aosta, riempita di detriti postglaciali, il fondo roccioso si trova 400 m sotto al livello del suolo, cioè a poco più di 100 m sul livello del mare. La depressione strutturale attira le acque di numerosi bacini secondari sia da destra che da sinistra: il nostro territorio assume così il carattere originale e storicamente importante di articolata regione intramontana gravitante su un corridoio vallivo a bassa quota. Infine, le acque della Dora escono dal solco sfiorando a quota 430 m dalla soglia del Ponte delle Capre. Ciò significa che tutto il settore della media valle costituisce un acquifero chiuso, lungo oltre 20 km e profondo centinaia di metri. Lo sfioramento della Dora avviene grazie ad un ramo secondario della Faglia Ospizio Sottile che affetta e tritura la sponda destra della valle aprendo un varco nella gola di Montjovet. Una serie di queste faglie delimita ad esempio la rocca del castello di Chenal. Da lì in poi la Dora non ha più strutture che le traccino la via e deve attraversare faticosamente solide barriere rocciose, per fortuna già in posto da più tempo e già erose in precedenza. Tra Arnad e Bard, in particolare, la Dora ed i suoi predecessori hanno trovato una roccia stabile e tenace, sulla quale hanno avuto il tempo di incidere una valle stretta e profonda che ha mantenuto fresche forme preglaciali sotto le lisciature del ghiacciaio balteo.

Astratte geometrie cristalline sorgono silenziose dalle viscere della Terra, s’innalzano a gelide altitudini, ed irrorano dai loro ghiacciai le terre valdostane. Ma gli equilibri climatici sono delicati: per quanto tempo potremo ancora contare sulle riserve glaciali? L'ultimo intrigante interrogativo che ci lascia la Dora prima di uscire dalla regione riguarda il suo profilo nascosto sotto il fondo piatto alluvionale. Al loro sbocco nella pianura padana tutti i fiumi sondati finora presentano, sotto le coltri ghiaiose, un fondo roccioso stretto e profondissimo, ben più basso del livello attuale del mare. D'altronde, anche nei grandi laghi prealpini piemontesi e lombardi l'acqua raggiunge profondità maggiori del livello del mare. Ciò pare sia dovuto all'intensa erosione del periodo messiniano, circa 6 milioni di anni fa, quando il Mediterraneo si prosciugò a causa della chiusura temporanea dello stretto di Gibilterra. I fiumi scavarono furiosamente il loro alveo per cercare il mare due o tremila metri più in basso, trascinando giù detriti di intere pianure. Sarà stato così anche per la Dora? Solo una (banale) campagna di misure nella piana di Donnas potrà dare una risposta.

Un lungo fiume tranquillo?
Gli ultimi 10.000 anni della Dora, dopo la deglaciazione, vedono le maggiori trasformazioni nel tratto mediano della valle. Su questo settore le scoperte si susseguono ancora provocando nuovi interrogativi. In effetti entrambi i versanti si comportano in un modo finora inedito nella letteratura specializzata: vasti pendii, in epoca postglaciale, sono collassati con affossamento e sommaria ricomposizione in blocchi scompaginati, come se il versante cedesse di colpo e si riassestasse più in basso in seguito al colmamento di un vuoto interno. Il versante risulta così cariato da una rete di caotiche fessure verticali, sovente coperte, propizie ai più antichi insediamenti (ad esempio la necropoli di Vollein). Il fondovalle, in questo periodo postglaciale, viene continuamente trasformato dagli effetti più tradizionali di questa instabilità di versante, le frane vere e proprie. Sono stati studiati in dettaglio due episodi che condizionano ancora attualmente il medio corso della Dora e costringono le Amministrazioni locali a precise scelte di politica territoriale.

Il grande collasso multiplo e polifasico che ha al suo centro Vétan (frazione di St.-Pierre) sarà accuratamente cartografato nella carta geologica regionale al 1:50.000 di prossima uscita. La zona in dissesto nasce sulla cresta a NE della punta Aouilletta, ben conosciuta dagli scialpinisti, e riempie il fondovalle tra Aymavilles e Villeneuve. Mediante la misurazione relativa del 14C in un tronco trovato nella massa franosa scavando la galleria dell'autostrada, la datazione più antica del collasso è stata stabilita a 9.200 anni fa. Il rilievo attuale del fondovalle è frutto di rimaneggiamenti dovuti a tre fattori principali: a) la presenza di depositi lacustri che indicano la formazione postglaciale di un bacino; b) la possibile sopravvivenza del ghiacciaio di Cogne a quello bàlteo; c) la probabile dinamica generale del sollevamento alpino che modifica i parametri altitudinali ed esalta l'approfondimento erosivo. Su tutto ciò influisce poi l'apporto alluvionale dei periodi posteriori, in particolare quello più recente della piccola età glaciale (1550 - 1850) che lascia il segno soprattutto negli episodi estremi.

Un altro crollo postglaciale dalle conseguenze notevoli per la Valle fu studiato subito dopo l'alluvione del settembre 1993, quando curiose formazioni sabbioso-argillose apparvero su una scarpata erosa a lato dell'autostrada, di fronte al capoluogo di Chambave. Già in precedenza alcune ricerche erano state effettuate sugli accumuli che formano la spianata su cui sorge il cimitero di Châtillon, perforato dalle due canne dell'autostrada. In entrambi i casi si tratta di potenti serie di fini sedimenti lacustri, sovrastate o inframmezzate da depositi ghiaiosi e ciottolosi a debole pendenza, interpretati classicamente come accumuli alluvionali subacquei o deltaconoidi. Altre superfici piane furono trovate alla stessa quota (circa 500 m) sia in mezzo alla valle (collina di San Valentino), sia in riva destra (Pontey, Champsotterout), sia in riva sinistra (Sablon, cimitero di St-Vincent...), tutte composte dello stesso materiale. Queste formazioni furono messe in relazione con l'antica frana di Rodoz (detta anche erroneamente "del Monte Avi") dalle freschissime forme a nicchia concava e accumulo convesso, che attraversa la gola di Montjovet staccandosi da uno sperone in riva destra. Il corpo di frana, attualmente diviso in due tronconi dalla Dora, dovette sbarrare la valle per un tempo misurabile in secoli, durante i quali un lago si stendeva per una ventina di km su tutta la media valle fin oltre Aosta. La zona delle gole, dalle molteplici attrattive culturali, sarà annoverata fra i Geositi della Valle d'Aosta ed è già ora visitabile, con partenza dal Ponte Romano, grazie ad un percorso guidato e ad un fascicolo illustrativo realizzati a cura del Comune di St.-Vincent.
   
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