TERRITORIO FRAGILE
La recente alluvione ci invita a riflettere sull'estrema fragilità del territorio e sull'opportunità di utilizzarlo e gestirlo in maniera adeguata.
CULTURA DI PIANO IN MONTAGNA
di Annalisa Béthaz
Architettura tipica a Tignet in ValsavarencheQuello che in un giorno terso della dolce estate appare come uno struggente scenario immutabile di boschi compatti adagiati sulle pendici delle montagne, con radure e pietraie come episodi di una storia ormai consolidata, è in realtà il risultato di mutazioni secolari, di movimenti per lo più impercettibili se rapportati alla nostra misura del tempo, ma che possono anche essere stati prodotti da sconvolgimenti tanto repentini quanto violenti.
Lacerazioni di coperture vegetali, concavità e ripiani, ammassi di pietre sono infatti il prodotto della storia del territorio, in cui si sono susseguite tante stagioni sempre uguali a se stesse, ma dove qualche volta ci sono stati momenti in cui il dopo non è stato più uguale al prima.
La montagna, più delle colline e delle pianure, per la forza di gravità che porta tutto in basso è soggetta a forti cambiamenti; si tratta di un territorio fragile, che risente dei fenomeni naturali in misura più marcata che altrove, dove spesso le calamità storiche sono evocate dalle denominazioni attribuite ai luoghi nel corso dei secoli. Toponimi come Rovinal, Rovines, Rovenod, La Ruine, Runaz (cfr. Toponymie Valdôtaine di R. Berton) non sono altro che l'espressione di un antico evento che ha alterato in modo fin troppo significativo il territorio.
La consapevolezza di questi aspetti si era andata progressivamente perdendo e probabilmente nessuna particolare considerazione sui toponimi è mai stata fatta in sede di pianificazione attraverso gli strumenti urbanistici.
Dopo la recente alluvione però non possiamo non tornare a riflettere sulla vulnerabilità dell'ambiente che ci circonda, ripensando al rapporto uomo-territorio in termini nuovi o meglio recuperando una cultura di montagna abitata che, senza negare lo sviluppo, sia sostenuta da un uso rispettoso del suolo nella consapevolezza che il rischio non è mai del tutto eliminabile, neanche con il ricorso alle più alte tecnologie.
Quando i piani regolatori non esistevano ancora, le scelte d'uso del territorio erano regolate dal buon senso e dall'esperienza. Non si costruiva troppo vicino ai corsi d'acqua, non si costruiva in zone troppo esposte o sotto pendii non sufficientemente protetti. Poi, se l'esperienza dimostrava che il buon senso non era stato sufficiente perché un evento più violento del prevedibile aveva sconvolto i luoghi, si evitava di costruire anche laddove la natura aveva prodotto rovine.
Il villaggio di Clapey a Ollomont con la sua piccola cappellaLa concentrazione delle costruzioni nei villages e negli hameaux non era dettata solo dalla volontà di risparmiare le buone terre coltivabili, ma anche dall'esigenza di raccogliersi nello spazio più sicuro secondo un modello abitativo in cui erano fortissimi i valori sociali di solidarietà di vicinato.
L'interesse turistico per la montagna, subentrato in un'epoca relativamente recente, ha determinato l'utilizzo a scopo edificatorio di siti fino ad allora non costruiti, secondo tipologie edilizie (villette e condomini) estranee all'habitat preesistente e in tanti casi senza sufficiente attenzione alle situazioni di rischio naturale.
Ci troviamo adesso in una situazione in cui coesistono da un lato la necessità che i Comuni rivedano i propri piani regolatori per adeguarli al Piano Territoriale Paesistico e alla legge regionale urbanistica entrati in vigore nell'agosto 1998, dall'altro la consapevolezza di come le scelte nell'uso del territorio debbano tener conto prioritariamente degli aspetti connessi alla valutazione della pericolosità idrogeologica.
D'altra parte, per ragioni più generali di natura soprattutto legata ai mutamenti dei modelli del turismo, si può ritenere conclusa la fase della grande spinta alla costruzione delle abitazioni per vacanze, tradottasi peraltro in un vasto patrimonio ampiamente sotto utilizzato.
Le passate scelte urbanistiche comunali, orientate all'individuazione di zone edificabili il più ampie possibile, anche a basso indice, allo scopo di assicurare la massima distribuzione del plus valore dei terreni derivante dalle possibilità edificatorie, devono adesso essere sostituite da opzioni volte a concentrare l'edificabilità nelle aree più sicure, individuando eventualmente meccanismi di perequazione (attraverso, ad esempio, l'attribuzione a tutti i terreni di una minima volumetria teorica, realizzabile però solo nei siti espressamente individuati) e incentivando con forme opportune il recupero del patrimonio edilizio esistente.
L'abitato di Lillaz. Visibile l'area di accumulo della frana che ha sconvolto il paesaggioL'individuazione degli ambiti inedificabili (per rischio di frane, valanghe e inondazioni), prevista dal legislatore valdostano fin dal lontano 1978 (cfr. L.R. 15 giugno 1978, n. 14) e la cui indispensabilità per una corretta (e sicura) pianificazione è stata via via ribadita con le leggi successive mai abbastanza recepite, non può continuare ad essere vista come un mero adempimento amministrativo ma deve rappresentare il punto di partenza per la nuova generazione dei piani regolatori comunali.
L'impegno che attende le Amministrazioni locali è dunque importante: l'alluvione ha ridisegnato, per così dire, la carta geografica su cui lavorare, ponendoci nuove situazioni e nuovi vincoli: sta all'uomo riorganizzare ora in un proprio disegno gli usi compatibili con questa situazione di fatto, ed è questo il ruolo del Piano Regolatore Comunale.
   
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