2002: ANNO DELLA MONTAGNA
Un'analisi delle stazioni sciistiche, tra cambiamenti strutturali e maturità del mercato.
LE PROSPETTIVE DEL TURISMO INVERNALE
di Massimo Leveque
Sci di fondo in Val Ferret.Il turismo della neve è senz'altro un segmento di giovane età nel più grande settore dell'industria legata al tempo libero. Se si vuole datare il fenomeno dello sci come offerta di piste ed impianti di risalita da utilizzare in modo ripetuto si supera di poco il mezzo secolo mentre, più in generale, la fruizione turistica in senso moderno della montagna, e delle Alpi in particolare, viene fatta risalire a circa due secoli fa.
Malgrado la giovane età, il settore è considerato dagli analisti un settore maturo. Un settore che ha assunto una sua prima configurazione tra gli anni '50 e '60, che si è fortemente sviluppato negli anni '70 e '80 mostrando un vero e proprio boom ma la cui crescita ha cominciato a mostrare evidenti segni di rallentamento già nel corso degli anni '90.
Nel corso degli ultimi tre/quattro anni si è assistito ad una stagnazione della domanda e le previsioni degli esperti indicano per i prossimi anni una crescita, a livello globale, non superiore all'uno o due per cento all'anno.
Peraltro le dimensioni di tale mercato sono divenute assai rilevanti. Pur non essendoci statistiche ufficiali e precise sul settore, si stima che le attività collegate agli sport invernali muovano annualmente in Europa un business di circa 20 miliardi di Euro con un'offerta che riguarda 10 Paesi e oltre 1000 stazioni che dispongono di qualcosa come 10-11 milioni di letti turistici, con quattro Paesi leader (Francia, Austria, Svizzera e Italia).
Dal lato della domanda, essa a livello europeo interessa in modo significativo 15 Paesi (cui stanno aggiungendosi da qualche stagione alcune nuove realtà, soprattutto provenienti dai Paesi dell'Est, fatte comunque ancora di piccoli numeri) da cui si muovono annualmente tra i 35 e i 40 milioni tra sciatori, snowborder e, in minima parte, accompagnatori non sciatori.
Per quanto concerne il mercato nordamericano, il modello di offerta è del tutto diverso da quello alpino, la domanda è prevalentemente domestica (seppur alcune stars come Aspen o Veil abbiano una clientela mondiale) e, al momento, la permeabilità tra i mercati europei e nordamericani per quanto riguarda lo sci è relativamente modesta.
Questo quadro evidenzia dunque un settore che si trova all'apice del suo ciclo di vita, in fase di piena maturità e che al suo interno nei prossimi anni vivrà quei processi tipici di tutti i settori che si trovano in tale fase.
In primis, su mercati di grandi dimensioni ma a crescita pressoché ferma, tende ad incrementarsi con vigore la concorrenza: le imprese infatti sono fatte per crescere e crescere in un mercato fermo significa dover sottrarre clientela e quota di mercato ai propri concorrenti. L'esito di tale inasprimento della concorrenza porterà con sé vincitori e vinti con la conseguenza probabile di vedere sparire, nei prossimi 10-20 anni, molti degli attuali competitor.
Un secondo effetto, in parte legato al primo, sarà l'aumento delle dimensioni medie delle imprese del settore. Ciò non significa aumento delle dimensioni dei domaines skiables; significa che assisteremo a forme di concentrazione dell'offerta, che si produrrà attraverso processi di integrazione orizzontale tra imprese che gestiscono stazioni mediante joint-ventures, fusioni e acquisizioni tra di esse. Il tutto per raggiungere quelle dimensioni in grado di consentire quelle economie di scala necessarie ad affrontare in modo più idoneo le sfide competitive di cui si parlava innanzi.
Un terzo processo importante si verificherà dal lato dell'offerta prodotto. Le stazioni sciistiche non potranno più giocare, per essere competitive, soltanto la carta della qualità delle piste e degli impianti di risalita. La clientela, che nel frattempo sarà sempre più internazionale, confronterà il mix complessivo di servizi che sarà messo loro a disposizione dalla località nel pre-sci (accessibilità, accoglienza, ricettività) e nel dopo-sci e sceglierà. Ciò comporta, in Europa, una grande capacità del management delle imprese che gestiscono i comprensori sciistici, di fare intreccio ed integrazione con le altre componenti dell'offerta delle località assumendosi, ove necessario, ruoli di leadership nella gestione strategica della destinazione.
Un quarto processo, che di fatto ha già mostrato i suoi effetti nel corso dell'ultimo decennio, è la netta divaricazione tra offerta di stazioni di carattere esclusivamente locale (in generale di piccole dimensioni) e stazioni operanti sul mercato globale.
Le prime sono probabilmente destinate a specializzarsi su poche e precise funzioni (per esempio la formazione di base dei piccoli sciatori), badando all'equilibrio economico di gestione e ricorrendo a forme di partnership con le amministrazioni pubbliche locali per quanto attiene al finanziamento degli investimenti.
Per le altre - quelle esposte alla concorrenza internazionale - il successo o per lo meno la tenuta saranno sanciti dal mercato, dalla abilità di mettere a frutto i propri vantaggi competitivi, dalla capacità di anticipare i concorrenti comprendendo in anticipo i processi di trasformazione a cui complessivamente va incontro il settore. Trasformazioni estremamente rilevanti che sono in larga parte da far risalire a fattori esterni al settore e che, seppur solo sommariamente, vorrei richiamare.

- Il clima sta mostrando significative evoluzioni.
Nessuno ormai nega che ciò sia il problema di prospettiva. Gli investimenti nell'innevamento programmato, iniziati timidamente negli anni '80, oggi sono determinanti per la sopravvivenza economica di una stazione di dimensioni medio-grandi. Ma, se anni or sono gli impianti per produrre neve difficilmente arrivavano ai 2000 metri oggi sono realizzati, in certi casi, anche al di sopra dei 2500 metri. Inoltre tali apparecchiature garantiscono la produzione di neve solo a partire da certe temperature. Se oltre a non nevicare aumenterà progressivamente la temperatura dell'aria, anche tale rimedio rischierà di essere un'arma spuntata. E stazioni con poca neve o con neve di scarsa qualità saranno abbandonate dalla clientela perché in difetto proprio della materia prima.

- Le modificazioni di gusti e di abitudini tra i consumatori sono un altro fattore di trasformazione. Vacanze più brevi, ancorché più frequenti e con più qualità intrinseca, sono un elemento che deve indurre a ripensare offerta e organizzazione della stazione. Se le settimane bianche sono in calo e sono in crescita i tre-quattro giorni, bisogna adeguare a questo i prodotti, i servizi e le tariffe. Se nella settimana di vacanza si riduce lo spazio di domanda dell'attività sciistico-sportiva a vantaggio di altre (la visita dei luoghi, della loro offerta culturale, gastronomica o quant'altro) vanno progettate e offerte nuove soluzioni che di tutto ciò tengano conto. Non farlo significa consegnare parte dei propri clienti a chi lo farà.

- Connessa alle modificazioni delle abitudini non va dimenticata la concorrenza oggi esercitata sulla domanda dai viaggi invernali nei paesi caldi. E' una concorrenza significativa che gioca, oltre che sul fascino del viaggio e dell'esotico, anche su aspetti di competitività economica. Ai tropici paghi il pacchetto organizzato e puoi partire con una modesta borsa da viaggio. Per la settimana di sci (oltre all'incognita meteo che ai tropici di norma è assente) devi essere equipaggiato con un costoso abbigliamento tecnico sportivo e con tutti gli accessori del caso (guanti, occhiali, doposci, ecc…). Per una famiglia media con due bambini e che non scia che una settimana all'anno, ciò può significare un costo che, comparato a quello della vacanza inverno al sole, è insostenibile.
Anche per questo si adeguerà forse l'offerta di servizi: il noleggio sci-scarponi si potenzierà, si qualificherà e probabilmente si svilupperanno forme di noleggio dell'abbigliamento tecnico (tute, pantaloni, giacche a vento, guanti).
Purtroppo mentre scriviamo stiamo anche riflettendo sulle conseguenze dei terribili fatti di New York e Washington dello scorso 11 settembre. Tutti dicono che da allora nulla sarà più come prima. E sicuramente l'impatto sulla mobilità delle persone sarà assai rilevante. Gli esperti, tra le altre cose, stanno cercando di valutare come queste ultime evoluzioni impatteranno anche sul turismo o meglio sui diversi turismi.

- Un'ulteriore variabile esogena al settore ma da non trascurare è l'andamento demografico nei paesi europei. Dai dati Eurostat emerge in tutta la sua chiarezza (e in parte problematicità) il progressivo invecchiamento della popolazione. Tra il 1987 e il 1997, a fronte di una popolazione totale passata da 360 a 374 milioni circa (+3,8%) i giovani al di sotto dei 24 anni si sono ridotti di quasi 14 milioni di unità passando da 126 a 112 milioni mentre la popolazione con più di 65 anni si è accresciuta di oltre nove milioni.
Il dato è ancora più forte se si scinde il saldo demografico in naturale e migratorio. Si può verificare come il saldo totale, di per sé già insufficiente (+3,8% nel decennio), è tale solo in quanto fortemente sostenuto dal fenomeno migratorio (+2,5%). E risulta difficile ritenere che per cultura, tradizioni, interessi e livello di consumi, tra gli immigrati vi possa essere la stessa aliquota di potenziali sciatori che c'è tra gli autoctoni.

- Altra importante variabile esterna è data dallo sviluppo accelerato delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Straordinarie potenzialità si offrono alle imprese per comunicare e per gestire i rapporti con la clientela ma al tempo stesso la vetrina dell'offerta mondiale si spalanca nelle case di tutti i potenziali clienti.
Confronto tra tariffe, tra comprensori, informazioni in tempo reale su innevamento e condizioni meteo (le già mitiche web-cam, telecamere costantemente collegate dalle quali vedere, via internet ed in tempo reale, la situazione della stazione), servizi di prenotazione e vendita.
Non esserci su questa svolta tecnica e culturale rischia di significare la marginalizzazione di una stazione seppur dotata di un buon comprensorio e di una certa notorietà.

Ho solo tentato di porre in evidenza alcuni dei problemi e delle tendenze che il settore del turismo della neve (o degli sport invernali come qualcuno continua a definirlo, secondo me in modo datato) lascia intravedere per i prossimi anni.
È evidentemente un tema di grande rilievo per la Valle d'Aosta che, per oltre due terzi del suo Prodotto Interno, dipende dal turismo il quale, per almeno un terzo, è costituito da turismo invernale, di neve e piste da sci, di discesa e di fondo.
La Valle d'Aosta ha almeno cinque o sei stazioni che, per quanto riguarda lo sci da discesa, possono ambire a restare, nel medio-lungo termine, nel club delle migliori destinazioni alpine per lo sci.
Ciò però non potrà avvenire se, come gli altri, esse non si muoveranno nella direzione di interpretare tempestivamente i grandi processi di cambiamento in essere, sia dal lato della domanda che dell'offerta.
Splendidi comprensori, con innovativi impianti di risalita ed eccellenti piste da discesa purtroppo non garantiscono la sopravvivenza. Sono condizioni necessarie ma non sufficienti.
Le stazioni valdostane sanno che, seppur di dimensioni limitate, ormai esse sono imprese internazionali, operanti sui mercati mondiali ed esposte alla concorrenza globale. E la sfida dei prossimi cinque-dieci anni si giocherà non in casa ma su quel difficile ed insostituibile terreno.
   
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