2002: ANNO DELLA MONTAGNA
La definizione del concetto di mito rimanda all'idea di racconto fondatore di una società, che si basa su fenomeni naturali, sovrannaturali o socio-culturali e possiede un carattere sacro.
LA MITOLOGIA DELLE ALPI
di Michel Revaz e Annibale Salsa
Costruzione di un complesso residenziale a Pila nel 1975.Nel corso della storia umana, le Alpi hanno rappresentato un ambiente geografico e climatico al quale non è facile adattarsi, come succede praticamente per tutti i massicci montagnosi del nostro pianeta. Da un punto di vista socio-culturale, l'arco alpino costituiva il crocevia del Vecchio Mondo.
Vi si ritrova ancor oggi una giustapposizione di tre grandi famiglie culturali europee: quella romanza, quella germanica e quella slava.
Nonostante la diversità delle culture e delle lingue, e nonostante la varietà dei comportamenti, si può parlare di un'unità culturale del mondo alpino basata su alcuni miti e alcuni simboli, nonché su un incontestabile radica-mento territoriale.
Le società alpine -sulla base di eventi naturali, soprannaturali o socio-culturali- hanno sviluppato racconti fondatori, prodotti dell'immaginario collettivo e cemento delle società che li veicolano. La presenza vissuta dei miti è sempre stata accompagnata da espressioni rituali che giocano il ruolo di catalizzatori dell'identificazione per un gruppo sociale, sotto forma di cerimonie e di feste che ritmano il ciclo delle stagioni e della vita.

Malgrado la diversità delle culture e delle lingue, le Alpi presentano una certa omogeneità. Essa è dovuta alle costanti del territorio e agli stili di vita che ne derivano. Sulle montagne, per la loro stessa essenza, la verticalità è il parametro determinante che condiziona la vita e la sopravvivenza. Le società alpine hanno dovuto sviluppare delle tecniche originali per assicurare la loro sopravvivenza materiale. Questo ambiente relativamente ostile ha anche influenzato l'immaginario collettivo e, di conseguenza, i miti. In questo ambiente identico, società con culture e lingue diverse hanno sviluppato miti che prendono forme diverse, ma che sono identici nei loro fondamenti. L'identificazione col luogo, il rispetto religioso per la terra nutrice -che è rara e spesso ingrata-, il rapporto con la vacca -elemento centrale per la sopravvivenza- costituiscono gli elementi fondamentali dei miti alpini.

Il ghiacciaio del Mont Dolent (disegno di J. F. d'Ostervald, 1826).Nell'antichità, l'immaginario delle popolazioni extra-alpine proiettava sulle Alpi immagini sinistre e terrificanti. Allora, esse non erano altro che un luogo di transito. Sarà solo col Medioevo che la colonizzazione delle Alpi si intensificherà. Vi si vede apparire una moltitudine di nuovi agglomerati posti a un'altitudine media o elevata. Lo spazio alpino si trasforma in un habitat. La vita sociale si organizza e vengono sviluppate strategie di adattamento all'ambiente tanto sul piano materiale che su quello spirituale.
L'ambiente viene chiaramente separato in uno spazio addomesticato e in uno spazio selvaggio. L'attività si concentra sulle superfici accessibili e fertili, il cui sfruttamento viene intensificato. Per contro, le vette sono le dimore incontestate delle potenze superiori, che conviene venerare ed evitare.
Di fronte all'arrivo della modernità, le società tradizionali delle Alpi hanno dovuto adattarsi. Il legame tra la tradizione e l'innovazione viene mantenuto dalla permanenza dei miti, ciclicamente riattualizzati e praticati. Col trionfo del pensiero moderno, le società alpine si avviano però verso la perdita della dimensione magica e sacra del loro ambiente. E le ultime vestigia mitiche vengono spesso recuperate come strumenti folkloristici per la società dei consumi. Con la scoperta delle Alpi attuata dagli abitanti delle città, la percezione mitica del loro proprio ambiente da parte degli abitanti delle Alpi si trasformerà in modo radicale.
(...)
Il montanaro ha una visione differenziata del suo ambiente. Da una parte c'è lo spazio addomesticato e dall'altra lo spazio selvaggio. Ciascuno spazio è carico di una dimensione sacra. L'apparizione dello spirito scientifico ha portato alla costruzione di nuovi miti associati a nuovi riti. In questo particolare spazio costituito dalle Alpi, due visioni del mondo si avviano a entrare in conflitto.
La curiosità scientifica è sorta dal bisogno di razionalizzare la conoscenza e di demitizzare il sapere. Una netta frattura comincia a profilarsi tra il sacro e il profano.
Un aspetto molto rivelatore è quello del ribaltamento di valore per quel che concerne il concetto di selvaggio.
(...)
Per le popolazioni rurali, la natura selvaggia ha un valore sacro e spesso terrificante. Il cittadino, invece, la vede con altri occhi.
Le paure si trasformano in fascinazione, e poi in oggetto di studio e di conquista. La natura selvaggia, che per il montanaro è carica di miti e di superstizione, provoca piuttosto spavento. Lo spirito cittadino del XVIII secolo l'investe di un valore scientifico e di un valore simbolico di autenticità e di purezza. Se il montanaro vedeva la natura selvaggia come uno spazio da colonizzare per quanto possibile, al fine di assicurarsi la sopravvivenza, lo scienziato la vede come un oggetto di interesse e di fascinazione in sé. Si può immaginare la sorpresa e l'incomprensione di un montanaro mentre osserva un botanico intento a classificare le erbe di un prato alpino, col solo fine di determinare la famiglia e il nome di tale o tal fiore, mentre lui non classifica che al fine della sopravvivenza (piante medicinali, piante da foraggio...).

Una carta geografica della provincia sabauda datata 1646.I primi abitanti delle città che si interessarono delle Alpi furono gli scienziati e i filosofi, cui seguì un afflusso massiccio di conquistatori dell'inutile. Alla fine del XIX secolo, i giovani esponenti della borghesia inglese trovarono nelle Alpi il campo-giochi che loro mancava in Gran Bretagna, e fondarono l'alpinismo. In poco più di un secolo, tutte le vette furono conquistate, le vie tracciate.
Questa conquista delle vette andò a combinarsi col turismo per motivi di salute. L'aria viziata delle città incoraggia i loro abitanti ad andare a respirare l'aria pura delle montagne. Le stazioni termali e i sanatori si sviluppano e diventano santuari in cui i cittadini si ricaricano fisicamente e moralmente.
La conquista dello spazio naturale alpino va di pari passo con la conquista della cultura dei montanari. Gli stili di vita e gli usi sociali degli autoctoni si modificano in profondità per via della presenza e dell'influenza di questi visitatori, che portano con sé le loro abitudini, la loro tecnica, la loro modernità. Col passar del tempo, l'identità locale si trasforma in un'identità globale. L'economia globale influenza lo sviluppo turistico, dandogli l'aspetto estremo delle cittadine in alto luogo dell'industria turistica, inserite in uno scenario d'alta montagna e rispondenti a tutti i bisogni della moderna vita in città.
Scoprendo le Alpi ed esercitando un'influenza sulla vita dei montanari, il cittadino scatena una profonda crisi d'identità nella cultura alpina. Da una situazione praticamente autarchica, le regioni alpine passano a uno statuto di regioni periferiche gestite dalle metropoli. Questa crisi è molto più accentuata nelle regioni romanze che in quelle germaniche. La realtà del mondo romanzo si articola sul mito urbano, rispetto al quale il mondo rurale alpino viene percepito come subalterno, periferico e privo di prestigio sociale. Le culture germaniche, invece, hanno riservato condizioni nettamente più favorevoli al mondo rurale della montagna.
Nello spazio germanico il profondo radicamento nel territorio ha dato vita al mito del Blut und Boden (sangue e suolo), un mito che si oppone a quello predominante per esempio nello spazio di lingua italiana, dove "la vera vita è quella che si fa in città, e non in campagna" (Cole e Wolf, 1974).

I cittadini, con la loro presenza sulle Alpi, vi hanno portato il loro stile di vita urbano. Le infrastrutture che gli sono connesse hanno modificato radicalmente il paesaggio, e l'hanno fatto a tal punto che, nell'ultimo terzo del XX secolo, un nuovo discorso verrà proposto da questi stessi cittadini. Pur continuando ad affluire nelle Alpi per rinfrancarsi sulle piste da sci, il cittadino si fa paladino della protezione della natura o di ciò che ne resta. In un primo tempo il confronto tra le idee ecologiste e lo spirito montanaro ha dato luogo a battaglie epiche. Per il montanaro, la natura selvaggia ha perso, con l'andar del tempo, la sua sacralità. L'evoluzione tecnica gli ha permesso di colonizzarla a oltranza e di farlo in un'ottica prevalentemente economica. Non può quindi comprendere come ad essa possa venir attribuito un valore.
In seguito, le mentalità si sono evolute e il mercato si è focalizzato sull'ecologia. L'ambiente naturale e preservato diventa una sorta di rito postmoderno che si consuma e si protegge.
Dato che la natura selvaggia è ormai scomparsa nelle zone urbane e nelle zone di pianura, la si va a cercare là dove ancora esiste, anche se solo in forma di residuo. Essa diventa così una questione di marketing, con i vantaggi e gli abusi che ne conseguono.

Per ridare respiro alla cultura alpina occorre far riferimento a un insieme integrato che coniughi natura e cultura, entro il quale i montanari saranno i protagonisti e gli artigiani del loro destino. Nel quadro di strategie nuove, bisogna risolvere il dilemma centro-periferia o egemonia-subordinazione al fine di valorizzare tutto il potenziale delle regioni alpine. Un tale mutamento di prospettiva deve incitarci a riflettere sull'ingiustizia che può esserci nel giudicare in base agli stessi criteri i territori di pianura e quelli di montagna. È legittimo applicare un solo e unico parametro economico per valutare produzioni che vengono da ambienti profondamente diversi sul piano del clima, dell'altitudine o del territorio? Non si rischia, così facendo, di trascurare, per esempio, il valore aggiunto dell'agricoltura alpina nella sua importante funzione di gestione dell'ambiente e del paesaggio e di preservazione del tessuto sociale e culturale?
La sfida che ci attende è quella di dare un avvenire moderno alla montagna, coltivando al tempo stesso nuovi miti che possano migliorare la qualità della vita per gli abitanti della montagna e per i suoi ospiti.
All'alba del XXI secolo, è urgente dar vita a una nuova forma di pensiero che integri le seguenti coppie concettuali:
- natura-civilizzazione
- unità-diversità
- preservazione dell'identità-apertura alla differenza
Lo sviluppo di miti su questa base permetterebbe di far passare significati e messaggi che la logica scientifica non è assolutamente in grado di trasmettere, specie quando si tratta di parlare il linguaggio dell'anima e delle emozioni.

L'epoca contemporanea è l'era del cyberspazio, della smaterializzazione, dell'informazione e della comunicazione in tempo reale. Può darsi che questa rivoluzione tecnologica riesca a strappare lo spazio alpino dal suo isolamento mortale e a reinserirlo nel circuito mondiale, senza tuttavia strapparlo dalle sue radici, che diventeranno sempre più simboliche e sempre meno reali.
(...)

Tratto da "1° Rapporto sullo stato delle Alpi", autori vari, Centro di documentazione alpina, 1998.
   
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