2002: ANNO DELLA MONTAGNA
L'ambiente che ci circonda determina anche l'atteggiamento psicologico che รจ alla base della nostra cultura.
GENTE DI MONTAGNA
di Flaminia Montanari
Gli ampi prati verdi della Val Ferret.Lo spazio e la sua percezione hanno un ruolo fondamentale nel determinare il nostro atteggiamento psicologico. Se a Roma entriamo sotto la grande cupola del Pantheon, la sensazione di piccolezza fisica è capovolta dal sentimento di grandiosità dell'uomo, posto al centro dell'universo; di fronte ad un grattacielo ci sentiamo invece titaniche formiche, orgogliose che la nostra numerosità e la nostra tenacia ci rendano capaci di affrontare le più grandi sfide. Quello che proviamo, forse in modo più esplicito, nello spazio costruito vale anche per l'ambiente naturale: le sensazioni che ci ispira una radura nel bosco sono ben diverse da quelle che proviamo di fronte ad una prateria, o ad una spiaggia, o ancora ad una costa rocciosa su cui si infrangono le onde.
Per questo motivo una popolazione ha con il territorio in cui risiede un legame organico, spesso inconscio, che va molto oltre a un puro riferimento di storia e di memoria; e che determina un atteggiamento psicologico di fondo. I monti che chiudono il nostro orizzonte determinano inconsapevolmente in noi la sensazione dello stare dentro: sono come i muri di casa, ci danno l'impressione di essere in un ambiente confinato e protetto. Questi atteggiamenti psicologici sono alla base del riconoscersi di una popolazione in una cultura, nata e forgiata proprio su questi sentimenti, e fanno sì che la comunità umana abbia una forte identificazione con il suo territorio. È significativo che chi si trasferisce in Valle denunci proprio questa necessità di dichiararsi rispetto al luogo, di accettare o rifiutare questo senso di appartenenza.
Ma così come la visione dal basso ci fa sentire confinati da questo baluardo roccioso, altrettanto la vista dall'alto che ci si pone quando saliamo sui monti ci forma alla sensazione dell'essere al di sopra di ogni quotidiano evento o rumore, fuori e al di sopra della storia, in un'ottica di tempi lunghi, basati sulle costanti dell'animo umano e sulla forma stessa di questo territorio. Guardare giù dal Mont St.-Julien o da Promiod, da Arpy o dalla Tour de Pramotton, è tutt'uno con il frugare dello sguardo a immaginare come dovevano apparire i luoghi ai primi abitatori, quali cocuzzoli potrebbero essere stati abitati e fortificati; o riconoscere la punteggiatura dei piccoli insediamenti medievali, la fitta rete dei sentieri, oggi quasi tutta asfaltata, ma ancora ben riconoscibile nella sua struttura, dal momento che le asperità del terreno hanno costretto l'uomo a rispettare i nodi e le strozzature della valle. Basta guardare il fascio delle comunicazioni alla stretta di Bard, con le strade romana - medievale - ottocentesca - ferrovia - autostrada che si intrecciano come un denso cordone nella strettoia scavata dal fondo dell'antico ghiacciaio. Dall'alto dei monti ci sentiamo gli uomini di sempre: percepiamo che il fluire degli eventi della vita umana non è che un debole fruscìo di fondo in rapporto ai milioni d'anni delle ere geologiche che hanno modellato e limato la crosta terrestre, depositato i piccoli ammassi di terreno fertile su cui l'uomo ha stabilito in tempi relativamente recenti la sua dimora.
Così, in tutto il mondo, i popoli di montagna si riconoscono in alcune costanti di atteggiamento e di pensiero nei confronti della vita e dell'ambiente: sentirsi piccoli rispetto alla natura, in balìa delle sue forze tremende, e tuttavia sentirsi giganti il cui sguardo spazia fuori dal tempo sull'orizzonte della storia, nella consapevolezza che è il tempo breve e anonimo del quotidiano che in realtà domina tutta la nostra vita, e che la nostra vita stessa non è che un sassolino dei tanti che il torrente trascina a colmare, nei secoli, una valle.
Per questo motivo, in tutto il mondo e in tutte le epoche, la gente di montagna è sempre stata considerata lenta e riluttante ai cambiamenti. Ma questa attitudine costituisce anche una risorsa: ad essa corrisponde infatti d'altro lato la capacità di non lasciarsi catturare nella veloce ruota della cultura del consumo, che ci costringe a correre per non farsi sorpassare -ma non si sa verso che cosa si corre- e guardare invece le cose con maggior distacco mantenendosi un po' estranei al momento fugace per guardare l'orizzonte, preoccupandosi non tanto di avere una visione del futuro quanto di non staccare mai il piede dal terreno solido del passato.
È questa la concretezza che distin-gue tutti i popoli e tutte le culture di montagna.

   
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