Nell'ambito della PAC - Politica Agricola Comune – 2014/2020 la definizione di prato ha subito un'evoluzione.
Per ragioni ambientali, la definizione di "prato permanente" di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento (UE) n. 1307/2013 e successive modifiche ed integrazioni comprende anche specie non erbacee, segnatamente arbustive e/o arboree, che possono essere utilizzate per il pascolo, purché l'erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti sulla superficie in oggetto.
Tale definizione permette agli Stati membri di considerare "prati permanenti" anche i terreni pascolabili che rientrano nell'ambito delle pratiche locali tradizionali, qualora sulle superfici destinate al pascolo non siano tradizionalmente predominanti l'erba e le altre piante erbacee da foraggio, in conformità a quanto previsto dall'articolo 4, paragrafo 2, secondo alinea, del regolamento (UE) n. 1307/2013 e smi.
La possibilità di considerare come prati permanenti i terreni dove l’erba e le altre piante erbacee da foraggio non sono predominanti, dunque, non si applica indistintamente a tutte le superfici: tale superficie deve far parte di pratiche locali consolidate e questa caratteristica deve essere giustificata alla luce dell'articolo 7 del regolamento (UE) n. 639/2014. È indispensabile che la decisione di classificare le superfici come prati permanenti con pratiche locali consolidate (PLT) si basi sulla valutazione che queste superfici:
a. siano accessibili agli animali
b. possano essere pascolate.
L’identificazione specifica nel SIPA delle superfici tradizionalmente pascolate è fondamentale per il controllo, al fine di consentirne la distinzione dalle superfici non ammissibili, così come dalle altre superfici a prato permanente.
Le superfici tradizionalmente pascolate si differenziano profondamente dai normali prati-pascoli (anche da quelli arborati e cespugliati, in cui l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restano predominanti), poiché si tratta, principalmente, di formazioni vegetali naturali o semi-naturali che, per determinate situazioni regionali e/o locali, rappresentano, storicamente e tradizionalmente, la principale risorsa dell’alimentazione di una tipologia di bestiame adatto a particolari sistemi di allevamento estensivi o bradi. Le superfici PLT, oltre a costituire luogo di ricovero e fonte di elevato valore alimentare per l’allevamento degli erbivori, hanno recentemente assunto un valore: i. ecologico primario in talune regioni, per la loro capacità di proteggere il suolo e sequestrare l’anidride carbonica, riducendo l’erosione e la desertificazione da un lato e l’effetto serra dall’altro; ii. ecologico-naturalistico, ospitando spesso specie vegetali ed animali a rischio estinzione; e iii. paesaggistico, in quanto connotano in modo sostanziale il territorio che occupano, influenzando la percezione che del territorio ha la società. Su tali superfici, il pascolo è“comunemente applicato” dagli allevatori, garantendo in tal modo anche la tutela idrogeologica e la prevenzione dagli incendi. A differenza delle altre superfici a prato permanente, per le quali il pascolamento è solo una delle possibilità a disposizione degli allevatori per renderle ammissibili, l’ammissibilità delle superfici PLT, come stabilito dall’articolo 7 del regolamento delegato (UE) n. 639/2014, è determinata dal carattere tradizionale del loro pascolamento e dal loro effettivo utilizzo tramite il pascolamento stesso («pratiche per superfici destinate al pascolo, che hanno carattere tradizionale e sono comunemente applicate in tali superfici»). Le specie arbustive/arboree non sono state considerate pascolabili sulle superfici con tara <50% per due ordini di motivi:
- da un lato, il pascolamento delle foraggere arbustive varia in funzione della tipologia del bestiame e della disponibilità delle foraggere erbacee che sono notoriamente più appetibili per tutto il bestiame;
- dall’altro, l’ammissibilità delle specie arbustive nel prato permanente avrebbe comportato la necessità di rideterminare la tara su tutte le superfici a pascolo, operazione non compatibile con il telerilevamento e con la tempistica di presentazione della domanda di assegnazione dei diritti. Pertanto, l’Italia, come sua facoltà, ha scelto di “non comprendere”, nella definizione di “prato permanente” le specie foraggere arbustive. Questa impostazione appare pienamente in linea con quanto stabilito dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera h) del regolamento (UE) n. 1307/2013 e non lede il principio di non discriminazione, poiché come sopra evidenziato si tratta di situazioni nettamente differenziate.
L’articolo 2, comma 1, lettera d) del DM n. 6513 del 18 novembre 2014 ha stabilito che «le superfici sulle quali sono svolte le pratiche locali tradizionali di cui all'art. 7 del regolamento (UE) n. 639/2014 sono individuate, dall'organismo di coordinamento di cui all'art. 7, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 1306/2013, nel sistema di identificazione delle parcelle agricole (SIPA), su indicazione, da parte della Regione o Provincia autonoma competente, dei relativi estremi catastali».
L’articolo 2, comma 1, lettera e) del DM n. 5465 del 7 giugno 2018 stabilisce che le superfici sulle quali sono svolte le pratiche locali tradizionali di cui all'art. 7 del regolamento (UE) n. 639/2014 siano individuate dall'organismo di coordinamento nel sistema di identificazione delle parcelle agricole (SIPA), su indicazione da parte della Regione o Provincia autonoma competente. A partire dalla campagna 2018, al termine di un percorso iniziato nel 2016 su disposizioni della CE, le dichiarazioni degli agricoltori possono essere rese esclusivamente in modalità grafica; conseguentemente, le indicazioni della Regione o Provincia autonoma competente devono essere fornite ad AGEA in modalità georiferita.