ARIA DI MONTAGNA
Una delle peculiarità delle polveri sospese è quella di avere una velocità di deposizione al suolo molto bassa, e quindi un tempo di permanenza in atmosfera lungo; non sono una sostanza unica ma comprendono una grande varietà di particelle.
LE POLVERI SOSPESE
di Giovanni Agnesod e Massimo Faure Ragani
Un tema attuale e complesso
Le polveri sospese in atmosfera non sono una sostanza unica, di composizione definita, ma comprendono una grande varietà di particelle di natura, forma, origine e dimensioni molto differenti. Esse sono solo accomunate dal fatto di avere una velocità di deposizione al suolo molto bassa, e quindi un tempo di permanenza in atmosfera lungo, dell’ordine di giorni, settimane, mesi…
Vediamo di fare un po’ d’ordine in questo insieme eterogeneo di corpuscoli, particelle e frammenti, abbreviato all’inglese in PM, particulate matter.
• Innanzitutto, l’origine. I processi di combustione e incenerimento di legno, combustibili fossili, rifiuti, sono una importante fonte di immissione in atmosfera di particelle di natura prevalentemente carboniosa. Anche il traffico produce emissioni di polveri, sia direttamente dagli scarichi del motore che a causa dei processi di usura meccanica di freni, frizione, pneumatici dei mezzi, così come le pratiche di sabbiatura delle strade per evitare gli effetti del gelo. Le attività produttive sono un’altra importante sorgente di materiale particellare: acciaierie, cementifici, svariate categorie di industrie producono emissioni diverse in relazione alle specificità dei cicli produttivi.
Molto importanti sono anche le sorgenti naturali di particelle sospese. Anche in questo campo la varietà è enorme: dalle particelle immesse in atmosfera a grande scala dalle eruzioni vulcaniche, agli effetti locali degli incendi boschivi; dall’erosione eolica prodotta dal vento sulle aree rocciose e scoperte, alla produzione di aerosol marino indotta sulla superficie del mare; dai microrganismi in atmosfera alle particelle di origine vegetale come pollini e spore.
Questo quadro già abbastanza complesso non tiene conto di ulteriori classi di particelle che non sono emesse direttamente in ambiente da sorgenti specifiche, ma che si formano in atmosfera da condensazione di molecole di inquinanti in fase gassosa (ad esempio, acido solforico e nitrico derivati da SO2 e NO2, nitrati e solfati), e da successive aggregazioni e coagulazioni di molecole della stessa specie. In questo modo si originano le cosiddette particelle secondarie, la cui importanza per la qualità dell’aria è stata riconosciuta solo di recente, e che danno luogo a livelli di concentrazione di fondo relativamente omogenei su media e larga scala.
• La gran varietà di particelle descritta, come è facile immaginare, è collegata ad una molteplicità di forme e dimensioni. Per semplificare un po’ le cose, si fa riferimento al cosiddetto diametro aerodinamico. In realtà molti tipi di particelle sono ben lontane dall’essere di forma sferica, e quindi dal possedere un diametro definito. Basti pensare al materiale fibroso prodotto dal deterioramento di materiali isolanti inerti, o alle particelle di fuligine che si formano dall’aggregazione disordinata di particelle carboniose elementari. Si può però immaginare, per ogni particella di forma strana quanto si vuole, una particella ideale sferica che abbia il suo stesso comportamento dinamico in aria. Il diametro di questa particella sferica equivalente è il cosiddetto diametro aerodinamico. Espresso in micron (µm – millesimi di millimetro) è quel numero che, unito alla sigla PM, dà indicazioni sulle dimensioni del particolato a cui ci si riferisce. Ad esempio, PM10 è il particolato con diametro aerodinamico inferiore a 10 µm, e analogamente si parlerà di PM2.5, PM1, ecc...
Se si considerano le particelle presenti in sospensione in atmosfera dal punto di vista della loro dimensione, intesa come diametro aerodinamico, si evidenziano classi di grandezza ben definite e distinte.
Un primo gruppo è composto da particelle con diametro aerodinamico compreso tra 1 e 10 µm. Esso comprende le particelle inerti derivanti dall’erosione, così come dall’abrasione di freni e pneumatici e altre parti meccaniche. Anche molte particelle di origine biologica rientrano in questa categoria, come batteri, spore di funghi e pollini.
All’estremo opposto, al di sotto di 0.1 µm, troviamo le particelle carboniose di fuligine inizialmente emesse dai processi di combustione, e le particelle secondarie, che si formano in atmosfera dalla condensazione di molecole di inquinati.
Tra l’una e l’altra di queste classi, da 0.1 a 1 µm, vanno infine a ricadere particelle formate dall’aggregazione di particelle più fini: aggregazione delle goccioline fini di nitrati e solfati, coagulazione di particelle di fuligine prodotta nelle combustioni, particolato da combustione di dimensioni maggiori.
Le particelle prodotte nei processi industriali entrano in tutte e tre queste categorie.
Nella figura 1 è riportata la distribuzione dimensionale tipica del particolato urbano.
Quanto materiale particellare ricade in ciascuna delle tre classi dimensionali? La domanda è solo apparentemente semplice. Se consideriamo la quantità complessiva di materiale presente in atmosfera, ovvero, la massa complessive delle particelle, prevalgono le classi di dimensione intermedia e maggiore. Come si vede in figura 2, in basso (c), la massa totale delle particelle più fini è addirittura trascurabile. Ma se contiamo le particelle, la situazione si capovolge completamente! Le particelle più fini, quelle con diametro inferiore a 0.1 µm, sono di gran lunga le più numerose, e questa volta ad essere trascurabile è il numero delle particelle a massa maggiore, come si vede in figura 2 in alto (a). C’è un terzo modo, un po’ meno intuitivo, di dire quanto materiale è presente in atmosfera, ed è considerare la superficie complessiva delle particelle. Seguendo questa via, come si vede in figura 2 (b), la classe predominante è quella intermedia.
• La dimensione delle particelle determina la capacità di penetrazione nell’apparato respiratorio umano, come è mostrato in figura 3.
La
frazione inalabile
include tutte le particelle che riescono a entrare dalle narici e dalla bocca.
Più importante per l’impatto sull’organismo è la
frazione toracica
, che comprende le particelle che riescono a passare attraverso la laringe e ad entrare nella trachea e nei bronchi. Essa è composta dalle particelle con diametro inferiore a 10 µm, il cosiddetto
PM10
.
Il
PM2.5
può arrivare fini ai bronchi terminali e alle soglie della regione alveolare, costituendo la frazione respirabile.
Componenti ancora più fini,
PM1
e oltre ancora, riescono a penetrare fino all’interno degli alveoli polmonari. E oggi oggetto di attente indagini la possibilità per le particelle ultrafini di superare la barriera alveolare ed entrare nel circolo sanguigno concorrendo ad aumentare i rischi di tumori, trombosi e malattie cardiache.
Il particolato più fine è dunque potenzialmente quello più dannoso per la salute, per la sua maggiore capacità di penetrazione nell’albero respiratorio. Questo è il motivo per cui, negli anni, si è passati da riferimenti normativi, e di conseguenza misurazioni e monitoraggi, riguardanti il particolato atmosferico nel suo insieme (le Polveri Totali Sospese dei bollettini della qualità dell’aria della metà dei primi anni ’90) a regolamentazioni e misure specifiche per il PM10 e il PM2.5, effettuate campionando l’aria ambiente con appositi sistemi in grado di assicurare la raccolta selettiva solo delle particelle al di sotto del diametro aerodinamico voluto.
Naturalmente il rischio dipende anche dalla natura delle particelle respirate: esso è associato in particolare al contenuto di metalli pesanti in tracce (Pb, Cd, Cr, As, Zn, Hg...) e di diverse sostanze organiche classificate cancerogene, tra le quali gli IPA e le diossine.
• La concentrazione di materiale particellare in atmosfera viene in ogni caso misurata tramite la pesatura della polvere opportunamente campionata su un filtro. Si tratta dunque di una valutazione della massa complessiva di materiale presente in un m3 di aria. Come si è detto, tuttavia, importantissime componenti fini del particolato atmosferico hanno massa trascurabile. Ma c’è di più: le particelle in atmosfera possono assorbire sulla loro superficie (il termine esatto è adsorbire) molecole e ioni di specie diverse (carbonio elementare, metalli pesanti, molecole organiche complesse…), funzionando come veicoli di trasporto di sostanze nocive all’interno dell’organismo. Questo effetto di trasporto superficiale è collegato alla superficie complessiva delle particelle. Ma, come abbiamo visto, la superficie complessiva di gran lunga maggiore è quella delle particelle con diametro compreso tra 0.1 e 1 µm, non altrettanto preponderanti in termini di massa. Da queste considerazioni è evidente la necessità di affiancare alle misure di concentrazione gravimetrica delle polveri in atmosfera indagini sulla loro natura e composizione. Questo è l’orizzonte attuale della valutazione della qualità dell’aria con riguardo alle polveri fini, su cui si concentra oggi l’impegno e l’attività delle ARPA.
Effetti sull’ambiente, sulla salute e limiti normativi
• Quando si parla di nocività del particolato atmosferico, si pensa innanzi tutto agli effetti diretti sulla salute dell’uomo. Non potrebbe essere diversamente. Ma non bisogna dimenticare, e neanche sottovalutare, l’impatto che queste particelle hanno sull’ambiente: alla presenza di particelle in atmosfera sono infatti legati fenomeni quali la formazione di nubi e nebbie, la variazione delle proprietà ottiche dell'atmosfera con effetti sulla visibilità e sul bilancio energetico terrestre, la contaminazione di suolo e acqua a seguito di deposizione secca e umida e il danneggiamento dei materiali.
Negli ultimi anni sono stati effettuati diversi studi epidemiologici che correlano l’inquinamento da particolato (e gli altri inquinanti) e morbilità/mortalità (ad esempio gli studi MISA - metanalisi italiana degli studi sugli effetti a breve termine dell’inquinamento atmosferico, Six cities Study, APHEA - short term effects of ambient sulphur dioxide and particulate matter on mortality in 12 European cities: results from time series data from APHEA project) su cui si basano le “Linee guida sulla qualità dell'aria” dell’OMS. Gli studi hanno evidenziato un eccesso misurabile di esiti clinici attribuibili all’ inquinamento da particelle. Tali effetti sono sia di tipo acuto, ossia si manifestano nella popolazione nei giorni in cui la concentrazione degli inquinanti è più elevata (aggravamento di sintomi respiratori e cardiaci in soggetti predisposti, infezioni respiratorie acute, crisi di asma bronchiale, disturbi circolatori e ischemici), sia di tipo cronico, ossia si presentano per effetto di un’esposizione di lungo periodo (sintomi respiratori cronici quale tosse e catarro, diminuzione della capacità polmonare, bronchite cronica ...). I limiti normativi sono finalizzati alla prevenzione di entrambi questi tipi di effetto.
Attualmente la normativa italiana (DM 2 aprile 2002 n. 60) presenta i limiti per la concentrazione del PM10 così come indicati in tabella 1. La fase 2 è ancora soggetta ad approvazione a livello europeo.
Le attività dell’ARPA VdA per la caratterizzazione del particolato atmosferico
Per quanto riguarda le concentrazioni di PM10, in figura 4(a) è mostrato l’andamento delle concentrazioni medie annuali del PM10 registrate in piazza Plouves ed in figura 4(b) l’andamento dei superamenti di 50 µg/m3 per la concentrazione media giornaliera.
Dal punto di vista degli strumenti e dei metodi di analisi di laboratorio per determinare la natura dei campioni di polveri raccolte in ambiente, ha grande importanza la distinzione tra componenti inorganiche e organiche:
• la frazione inorganica è costituita da solfati, nitrati, ammonio, elementi crostali (polvere minerale: Al, Si, K, Ca, Ti) ed elementi in traccia (metalli pesanti: V, Cd, Cr, Mn, Fe, Ni, Cu, Zn, Br, Pb);
• la frazione organica è costituita da carbonio elementare (EC) e carbonio organico (OC), ovvero carbonio presente in composti organici più o meno complessi.
Relativamente alla frazione inorganica, ARPA VdA effettua misure dei metalli pesanti su PM10 nelle stazioni di piazza Plouves, quartiere Dora, Entrèves (lungo la statale che porta al tunnel del Monte Bianco) e, tramite le campagne del laboratorio mobile, in altri siti di interesse nella regione. I risultati sono contenuti nella “Terza relazione sullo stato dell’ambiente in Valle di Aosta” recentemente pubblicata da ARPA VdA. Si osserva che i valori registrati per le concentrazioni medie annue si collocano al di sotto del limite normativo italiano o europeo, ove questo è fissato.
La frazione organica del particolato atmosferico consiste di carbonio elementare e di una varietà di composti organici (indicati come carbonio organico). Il carbonio elementare (EC) ha una struttura chimica simile alla grafite impura ed è emessa in atmosfera principalmente da processi di combustione. Il carbonio organico (OC) deriva soprattutto dall’ossidazione dei prodotti di combustione, dalla loro successiva condensazione, dissoluzione in fase acquosa, adsorbimento (su particelle di EC) o absorbimento. La frazione organica comprende un centinaio di composti, principalmente composti organici volatili (COV), idrocarburi policiclici aromatici (IPA), diossine, furani…
Relativamente alla frazione organica ARPA VdA effettua le misure di IPA su PM10 nella stazione di Piazza Plouves e, tramite le campagne del laboratorio mobile, in altri siti di interesse nella regione. La normativa europea vigente (che a breve sarà recepita dallo stato italiano) prevede il limite per il benzo(a)pirene, classificato dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come sostanza cancerogena di classe 2A (probabile cancerogeno per l'uomo), rispetto alla concentrazione media annua. Dai rilievi effettuati da ARPA VdA nella stazione di piazza Plouves, questo limite è superato di oltre il 30%. Si può osservare che l’andamento delle concentrazioni medie giornaliere di IPA ha un profilo stagionale a forma di campana con il massimo nel periodo invernale (dicembre – gennaio). Le fonti principali di emissione degli IPA sono le aree industriali, gli impianti di combustione di carbone e combustibili fossili e le strade ad alto traffico. Durante l’inverno il contributo degli impianti di riscaldamento e il fenomeno dell’inversione termica (che impedisce lo scambio verticale delle masse di aria) contribuiscono all’aumento delle concentrazioni. Durante il periodo estivo l’assenza di questi fattori favorisce la dispersione di tali inquinanti.
I periodi invernali in cui si registrano basse concentrazioni (ad esempio dal 18 al 21 gennaio 2005) sono dovuti alla presenza del phoen che spazza via le masse d’aria ristagnanti sulla piana di Aosta.
Un progetto recentemente intrapreso da ARPA VDA, in collaborazione con l’Università di Pisa, è la caratterizzazione chimico-fisica del particolato atmosferico con l’utilizzo del microscopio a scansione elettronica (SEM) dotato di sonda EDX (Energy Dispersive X-ray analysis). L’obiettivo è quello di ottenere le seguenti informazioni:
• la distribuzione dimensionale dimensionale del particolato (del tipo di quella ideale di figura 1);
• la composizione chimica percentuale elementare del particolato.
Analizzando insieme le due informazioni sarà possibile approfondire la conoscenza dell’inquinamento da polveri e individuare le sorgenti emissive che caratterizzano il PM10 in Aosta. In figura 6 è mostrato un tipico risultato dell’analisi al microscopio elettronico, comprendente un’immagine di una porzione di filtro in cui sono evidenti le particelle di polvere (a) e uno spettrogramma ricavato con la sonda EDX relativo ad una particella dell’immagine (b).
Oltre alle attività descritte, ARPA VdA sta predisponendo la rilevazione in continuo del PM2.5 (ad Aosta in Piazza Plouves), e i metodi per la simulazione modellistica e la valutazione previsionale per il PM10. Una migliore comprensione della caratteristiche di questo inquinante e della sua interazione con gli altri macroinquinanti primari (SO2, NOX) e secondari (O3) permetterà un miglior supporto all’amministrazione regionale nel definire le azioni da intraprendere per attuare efficaci misure di riduzione dell’inquinamento atmosferico.
Bibliografia:
(1) Comitato scientifico ANPA, “Scienza e ambiente – conoscenze scientifiche e priorità ambientali”. Volume II 2/2002.
(2) Crosignani P. “Effetti a breve e lungo termine dell’inquinamento sulla salute umana” – Istituto Nazionale per lo studio e la cura dei tumori (Milano).
(3) Georgia Institute of Technology School of Earth and Atmospheric Sciences. “Particle Number and Mass in an Urban Environment”.
(4) Cirillo M.C., Brini S. (APAT), Tava M. (APPA Trento). Allegato alla “Relazione tematica di dettaglio” presentata alla Sesta Conferenza nazionale delle agenzie ambientali “Risanamento e tutela della qualità dell’aria”.
(5) Tognotti e al. Tesi P.Bellino - “Caratterizzazione tramite tecniche termogravimetriche della componente organica del particolato atmosferico” Università di Pisa 2004.
(6) Valli G.,Vecchi R. (IFGA) – Università degli studi di Milano - http://ricerca.unimi.it.
(7) Arpa Emilia Romagna. “PM10 - effetti sulla salute” – www.arpa.emr.it.
(8) ARPA VDA, “Terza relazione sullo stato dell’ambiente in Valle di Aosta”.
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