Pianificazione territoriale
La storia della pianificazione urbanistica in Valle d’Aosta ha subito significative evoluzioni nel corso degli anni.
DI PIANO IN PIANO: 50 ANNI DI PIANIFICAZIONE
di Giuseppe Nebbia
Architetto, libero professionista.
La storia della pianificazione ur­banistica comunale in Valle d’A­osta è una storia di “fermati & ri­parti” (stop & go) caratterizzata da fasi di buona volontà alternate a brusche frenate. Per comprenderla meglio sembra opportuno ripercorrere i prin­cipali passaggi intervenuti dal dopo guerra. E’ quanto cercherò di fare pur sapendo di ometterne numerosi e di schematizzarli eccessivamente.
Una prima fase della pianificazione corrisponde alla legge regionale ur­banistica n. 3 del 1960, legge all’a­vanguardia, in quanto coniugava lo sviluppo territoriale con la tutela del paesaggio, affossata però dalla Corte Costituzionale per motivi essenzial­mente procedurali. Per contrastare gli effetti di detta sentenza la Regio­ne adottò numerosi vincoli paesaggi­stici che comportarono l’abbandono dei princìpi della legge regionale del ’60 a favore del controllo dell’edilizia tramite l’istituto dell’autorizzazione, di competenza della Soprintendenza regionale.
Le successive fasi possono essere sin­tetizzate, tralasciando alcuni passag­gi di minore importanza, in:
- definizione dei perimetri dei “centri abitati” ai sensi della legge 765/1967;
- prima stesura dei “Piani Regolato­ri Generali” (PRG) con riferimento allo“Schema di piano urbanistico e per la tutela del paesaggio” del 1972;
- seconda stesura dei PRG con ri­ferimento al “Piano Territoriale Paesistico“(PTP) del 1998.
Questa breve relazione vuole sinte­tizzare aspetti, sensazioni, problemi, soluzioni riferibili alla stesura degli strumenti urbanistici senza esprime­re giudizi assoluti ma piuttosto elen­cando, anche in modo non organico, quanto sia di un qualche interesse.

Definizione dei perimetri dei centri abitati

L’avvio concreto della pianificazione comunale fu promosso dalla legge “ponte” del 1967 che costringeva i Comuni a definire una prima regola­mentazione del territorio appoggiata su nuove cartografie.
La legge urbanistica statale vigente (legge 1150/42) prevedeva la reda­zione di uno strumento urbanistico esteso alle sole parti urbanizzate del Comune. Le cartografie disponibili riguardavano pertanto aree limitate che si dovettero ampliare redigendo un nuovo supporto che rappresen­tasse il territorio comunale nel suo complesso. Divenne necessario as­semblare e ritoccare artigianalmente, come un semplice “travet” in camice bianco o con le mezze maniche, tutte le tavole catastali.
La prima utilizzazione della nuova cartografia permise di definire i peri­metri dei “centri abitati” ai sensi della legge 765/1967.
Si trattava di iniziare ad affrontare in quasi tutti i Comuni il tema della pia­nificazione urbanistica, anche se an­cora all’acqua di rose. Le reazioni più marcate derivavano dal presupposto che “il terreno è mio e ci faccio quello che voglio io”. Per cercare di accon­tentare tutti, i Comuni optarono per perimetrazioni molto ampie, alcune fornite di estroflessioni che presero il nome, curioso ma significativo, di “peupe.”
In questo quadro di novità il pro­gettista assumeva anche il ruolo di divulgatore che svolgeva opera di in­formazione e di convincimento a fa­vore di amministratori comunali non informati a sufficienza.

I primi piani regolatori generali (PRG)

Alla pianificazione sommaria dei centri abitati fece seguito la redazione dei PRG veri e propri, in modo da do­tare tutti i Comuni di uno strumento urbanistico completo.
Di fronte alla novità della pianifica­zione i Comuni sostennero a fondo i desideri della popolazione per cui, ad esempio:
- tutte le zone tendevano a essere rese edificabili;Saint-Denis e la valle centrale.
- la viabilità era vasta, di tipo urbano con svincoli quasi autostradali;
- le aree a servizio previste superava­no le necessità per soddisfare acriti­camente i parametri di legge.
Ma quello che pesava di più sul piano delle scelte era costituito dalla caren­za di indirizzi (si faceva riferimento allo “Schema di piano urbanistico e per la tutela del paesaggio“ del 1972 poi non approvato) a livello regionale o di Comunità montana tali da essere di supporto alle opzioni comunali.
D’altra parte i rapporti tra Regione e Comuni si riducevano in genere ai contatti con un solo ufficio dotato di pochi funzionari urbanisti. Con esclu­sione della Soprintendenza, rari erano i confronti con altri settori regionali.

Come nel caso della definizione dei centri abitati la rappresentazione del PRG avveniva in solo bianco e nero, compatibilmente con le macchine che permettevano la riproduzione su carta.
In sede progettuale un problema tecnico importante era rappresen­tato dal calcolo della dimensione delle aree, fossero zone urbanistiche o aree a servizio. Come nel caso dei centri abitati il dimensionamento delle zone sconta un certo livello di approssimazione causato dall’uso di una cartografia disegnata a mano e di uno strumento, pur esso manuale, utilizzato per il calcolo delle superfi­ci, il “planimetro”.
Tutto considerato però il livello di de­finizione della cartografia era coeren­te con il grado di precisione richiesto, tenuto conto che si trattava di formu­lare un Piano Regolatore Generale che, come tale, rinviava a successive definizioni la propria attuazione.
Sul piano normativo era comune una resistenza preconcetta ad attuare i Piani generali tramite Piani Partico­lareggiati o di Dettaglio, cui si attri­buiva l’intento di favorire le grandi società esterne a scapito dei piccoli proprietari locali. Lunghe discussioni avvenivano a tal proposito ma l’in­dividualismo, ed a volte il ricordo di contrasti secolari tra vicini, facevano pendere la bilancia verso la realizza­zione di autonome iniziative edilizie non coordinate tra di loro.

La seconda pianificazione

Il PTP e concomitanti scelte regiona­li introdussero nuovi concetti circa i contenuti ambientali e il contesto agricolo-forestale, non sufficiente­mente considerati nella prima fase di pianificazione. Non si trattava di definire solo l’assetto dei centri abita­ti, ignorando il territorio esterno non urbanizzato, ma le previsioni di Pia­no venivano a interessare tutto il Co­mune, quali che fossero le destinazio­ni d’uso. Ne conseguì, se pur ancora in fase di attuazione, una pianifica­zione tendenzialmente complessiva, con una visione unitaria del contesto.

La nuova stesura veniva sovente in­tesa dai Comuni quale occasione da non perdere per riformulare il Piano vigente e incrementare gli insedia­menti relegando in seconda linea le necessarie scelte strategiche. Queste tardarono ad essere definite, soprat­tutto nei Comuni che impiegarono più anni ad operare le scelte neces­sarie (anche semplicemente l’incari­co ad un professionista), con perdita della visione generale ed aumento dei tempi di esecuzione. La dilatazio­ne dei tempi ed un processo proget­tuale del tipo “fermati & riparti” ha comportato, da parte di tutti, mag­giori impegno e fatica oltre che più elevati costi fissi.
Gli incontri con l’Amministrazione regionale, pur essendo sempre corret­ti e collaborativi, sono stati accompa­gnati da una sensazione già provata ai tempi dell’università quando si era sottoposti ad esame. Da un rappor­to alla pari, o almeno così percepito, tipico della prima pianificazione, si perveniva ad un confronto, in sede di conferenza dei servizi, che vedeva da un lato la piccola “pattuglia” dei tecnici comunali e dall’altro il “batta­glione” di una ventina di funzionari e tecnici regionali . Si aveva la sensa­zione di essere sottoposti a una nuo­va sorta di esame. Si trattava solo di una sensazione ma tanto bastava.
Il confronto era reso più difficile dall’evoluzione della normativa ap­plicabile, spesso emanazione della stessa Regione, la cui adozione com­portava la modifica di molte impo­stazioni di lavoro che sembravano cristallizzate. L’ultimo esempio in questo senso è costituito dalle recenti varianti alla legge urbanistica 11/98.

Donnas vista dall’envers.L’uso del computer, reso necessario dalla relativa complessità della mate­ria, comporta una serie di problemi:
- si afferma la tendenza a “spaccare il capello in quattro” favorita dalla ca­pacità di questo strumento di indivi­duare con grande precisione elementi puntuali della cartografia. Per ovvia­re agli effetti di un’inutile eccesso in alcuni casi sono stati definiti, nel Re­golamento Edilizio, livelli diversi di approssimazione delle misure in fun­zione della tipologia degli interventi;
- ne consegue una normativa con pre­valenza dell’aspetto “tecnico” (ne­cessario per regolare i “diritti della proprietà” da definire rigidamente) in luogo dell’aspetto “politico-ammi­nistrativo” (utile per favorire le “scel­te pianificatorie” per loro natura più elastiche);
- si sono dovute realizzare nuove stesure della cartografia di base per adeguarsi a nuovi tipi di proiezione geografica e per adottare il colore al fine di rendere più chiare le indica­zioni grafiche.

Un’ulteriore difficoltà derivava dalla necessità di giovarsi di operatori ade­guatamente istruiti e competenti oltre che capaci di utilizzare programmi adatti. Non sembri inoltre inopportu­no rilevare un consumo di carta note­volmente superiore all’usuale.

La distinzione operata dal PTP tra “indirizzi” e”prescrizioni” è apparsa corretta pur rilevando tra Comuni e Regione difformità interpretative. La prescritta dotazione dei servizi risul­ta meno vincolante rispetto a quella prevista nella precedente prima fase di pianificazione. Il vincolo esercita­to nei confronti di molte vecchie aree a servizi ha avuto però il merito di renderle disponibili e di consegnarle quasi intatte alla seconda fase di pia­nificazione.
Difformità interpretative sono state espresseMontjovet. anche da alcuni tecnici co­stituenti le commissioni comunali in ordine ai contenuti delle Norme di Attuazione del PRG attribuiti al “Re­golamento Edilizio” (RE) e viceversa. In effetti esistono situazioni “di con­fine” ove non è facile distinguere tra le Norme di Attuazione di un PRG e un Regolamento che “regola” l’edifi­cazione dei singoli edifici. In questo senso appare corretta la distinzione effettuata dalla Regione di prevedere un RE esterno al PRG.

Sono stati criticati i tempi lunghi im­piegati dai professionisti per redigere i Piani. Oltre alla considerazione ov­via che ogni progettista aveva, ed ha, tutto l’interesse a concludere i lavori senza impiegare tempi biblici, si può rilevare che i tempi lunghi di elabo­razione conseguono a ritardi nelle scelte amministrative, all’evoluzione contestuale di altri settori (agricol­tura, sicurezza del territorio, ecc.) oppure ai cambiamenti imposti dai Comuni, specie dopo nuove elezioni.

All’inizio la nuova pianificazione non riscuoteva molto credito, tanto che numerosi Comuni attesero mesi e anni prima di affidare l’incarico di progettazione. D’altra parte anche politicamente il PTP non riscuoteva grandi adesioni e frequentemente si rincorrevano notizie di una imminen­te revisione sua e della legge 11/98. In questo clima di attesa si procedeva alla stesura delle sole tavole motiva­zionali e si effettuavano i primi in­contri a carattere illustrativo.
Un po’ alla volta i PRG assunsero la loro conformazione definitiva a se­guito dei ripensamenti generati sia dall’alluvione del 2000 con i relativi dissesti, sia dalla presa di coscienza dell’esigenza di coordinare tutte le iniziative di pianificazione elaborate dai diversi servizi regionali. Il PRG, che regolava un tempo solo il terri­torio urbanizzato, si è evoluto in uno strumento a tutto campo capace di coordinare tutte le iniziative coinvol­genti il territorio, sottoposte ai vincoli generati dagli ambiti inedificabili.

Le alterne vicende della pianifica­zione comunale hanno negli anni comportato una maggiore attenzio­ne alla relativa problematica diven­tando fondamento di programmi elettorali o di attività delle ammi­nistrazioni o di gruppi sociali. Si è riscontrata una partecipazione alle scelte di carattere urbanistico un tempo impensabili. D’altro canto giovani amministratori si sono avvi­cinati alla problematica urbanistica con insufficienti conoscenze.
Nell’arco di mezzo secolo (si, cin­quant’anni!) di storia urbanistica si è assistito allo sviluppo economico del­la nostra regione, con i Comuni come osservatorio privilegiato. Si sono visti ampi programmi di sviluppo svaniti nel nulla, promotori immobiliari di­sinvolti, amministrazioni sognatrici, insomma quanto da sempre è insito nello sviluppo del territorio.
Ma nello stesso tempo sono aumen­tati i rapporti tra Comuni vicini con la creazione di consorzi e di servizi comunitari, l’avvio di iniziative co­muni, ecc.. Sono aumentate le cono­scenze reciproche, si sono aggregati gruppi di cultura e di pressione in occasione di specifiche iniziative. Nel complesso è aumentato l’interes­se verso progetti di crescita sociale e culturale.
Per quanto concerne i progettisti, la necessità di conoscere a fondo il terri­torio li ha obbligati a ripercorrerlo in lungo e in largo (chi poteva) in compa­gnia degli amministratori con i quali si aveva così l’occasione di approfondire molte tematiche. Inoltre la lunghezza delle riunioni, terminanti sovente alle ore piccole, ha favorito la conoscenza reciproca corroborata da un buon bic­chiere di vino (astenersi astemi) bevu­to al termine degli incontri.
   
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