QUALITA' DELL' ABITARE
"Quando si deve creare un mondo, si può cercare di immaginare cosa potrebbe succedere nel futuro oppure si può prendere il meglio dal passato…" Peter Weir
CITTA' E VILLAGGIO: ANTITESI O COMPLEMENTO?
di Stefania Lusito
Nella teoria sociale del secolo scorso le dicotomie città/villaggio e comunità/società sono spesso presenti. Entrambe analizzate come tipi ideali, sono investite negli studi sociali da una serie di categorie contrarie e complementari. La natura dei vincoli sociali, la sfera dei valori e delle norme, la concezione del tempo e dello spazio sembrano continuamente poste le une di fronte alle altre. Nei modelli di studio di queste realtà, la solidarietà del villaggio è contrapposta alla solitudine urbana, il mondo dei valori contadino è posto in antitesi all'amoralità della vita cittadina, il tempo ciclico dei lavori agricoli a quello vettoriale e frenetico urbano, la ristrettezza e ripetitività delle relazioni del villaggio è confrontata alla molteplicità degli incontri nelle città. Più in astratto, troviamo tradizione contro modernità, natura opposta a cultura, purezza contro contaminazione. Ricondursi a dei tipi ideali, accentuando le caratteristiche del fenomeno, è necessario per delineare i contorni degli oggetti di studio. Ma per cogliere sfumature essenziali e sfuggire ad ogni processo di categorizzazione, occorre fare un passo avanti.
Il nostro territorio è in trasformazione, così come i villaggi alpini non sono più quelli di cinquant'anni fa. Lo spopolamento montano è una realtà visibile. In Valle d'Aosta come in Svizzera il part-time farming (lavorare la campagna a tempo parziale) risulta essere un valido compromesso che permette sia la manutenzione del territorio sia attività economiche diversificate. A quote elevate, la popolazione è stabile solo nei centri turistici. I villaggi più vicini al fondovalle e alle vie di comunicazione vivono invece una forma di compromesso abitativo: a parte poche eccezioni, si ritorna nell'ambiente rurale per fare i fieni d'estate, per vendemmiare, per le feste tradizionali e patronali. La città di Aosta sta sfumando sempre più i suoi contorni verso i centri minori vicini che spesso diventano dormitori per i lavoratori cittadini, creando così degli effetti funzionali e sociali (pur se con un ambiente piacevole) di periferia urbana.
Ambiente urbano.Se prima era possibile vedere il villaggio come uno spazio circoscritto e studiarlo secondo tre direzioni di analisi correlate (economica, culturale e politica) ora i collegamenti con l'esterno sono più densi e pensarlo un universo chiuso sarebbe come collocarlo al di fuori della storia. Queste considerazioni sono valide anche per le città, dove capitali, prodotti e persone fluttuano sfumando la presunta rigidità urbana. In questo troviamo dunque delle similitudini, e i due mondi sembrano ora più vicini che un tempo.
L'immagine della piazza del villaggio rurale (luogo dell'incontro, del mercato, della memoria) viene sostituita nel villaggio globale da Internet e dai media (luoghi di chat-line e pettegolezzi, di scambio di informazioni e di merci, di conferme immediate del nostro esistere). Nel mezzo troviamo le città, dove si sviluppano invece acuti fenomeni di segregazione. L'inaccessibilità si manifesta soprattutto secondo le direttrici di classe sociale ed appartenenza etnica: sfumati i macroconfini esterni, ecco apparire infinite barriere interne, a volte solo fisiche, a volte anche mentali, in ogni caso sociali.
Fanno pensare i casi limite americani, dove interi quartieri sono cintati e protetti da poliziotti privati e da tv a circuito chiuso. La segregazione spaziale è, infatti, più visibile tra le classi medio-alte, maggiore negli Stati Uniti piuttosto che in Europa.
Passando al livello microsociologico, ai comportamenti dei singoli, troviamo nelle città altri meccanismi di separazione che si manifestano nelle strategie che gli abitanti usano nell'approccio con l'Altro: il distacco e l'ostilità (comportamenti che possono diventare regola nell'ambiente urbano) sono visti come forme razionali di difesa a fronte di una pluralità di contatti eccessiva rispetto alla capacità di gestione dell'individuo (Simmel, 1995). L'immaginata possibilità di avere più contatti in città può quindi anche non corrispondere al vero. Quando invece l'incontro diviene possibile, i cittadini trovano negli spazi urbani persone con "mappe cognitive" (cioè sistemi di organizzazione dei dati in un sistema di valori) non sempre simili alle loro: la variabilità di tali mappe da' luogo ad una sintesi culturale, cioè a nuove idee sul modo di vivere e di pensare. È l'accesso alla variabilità che permette questa sintesi. Le città sono quindi luoghi di innovazione, ma anche di libertà e di sperimentazione sociale: in un piccolo villaggio non potrebbe nascere un circolo gay, pena l'etichettatura di devianza e la nascita di meccanismi di esclusione.
Nelle città, le reti di protezione dell'individuo (messe a disposizione dalle relazioni di vicinato e dai rapporti familiari) sono "a maglie larghe", dunque indebolite rispetto a quelle del villaggio: le relazioni interpersonali urbane sono più soggette a diventare anche strategiche, funzionali, strumentali, cioè mercificate e pervase dallo spirito del consumismo. Il tipo di legami non promette né l'attribuzione né il conseguimento di diritti o di obbligazioni: la "libertà" diventa così in realtà una relazione di potere (Bauman, 1999).
L'antitesi tra villaggio e città non trova posto solo nelle teorie sociali classiche, ma anche negli immaginari collettivi. Nelle rappresentazioni sociali(1) si manifestano le capacità immaginative dello spirito umano. Esse aiutano ad interpretare la realtà, sono forme di conoscenza elaborate e condivise culturalmente, costruiscono (tramite i processi comunicativi) un "sapere del senso comune" (Jodelet, 1992 e Geertz, 1988).
Ad un concorso fotografico organizzato in Francia, si chiedeva di rappresentare il paesaggio preferito (2): la maggior parte delle fotografie, inviate per lo più dalla classe media, riproduceva paesaggi rurali. Il legame con questa realtà è più virtuale che reale, data la bassa percentuale di persone impiegate nel settore agricolo. Assenti i paesaggi urbani in cui invece i partecipanti al concorso vivono.
Se consideriamo le fotografie come una cristallizzazione delle rappresentazioni mentali, allora immaginare di essere ancora legati ad un tipo di vita di cui in realtà non facciamo parte potrebbe essere una spia della nostra reale impossibilità di tener sotto controllo l'esterno. I rapidi mutamenti iniziati nel secolo scorso (sviluppi scientifici e tecnologici imponenti) hanno cambiato radicalmente il nostro modo di vivere e di incontrarci. Al di là del legame con il relax e il tempo libero, sentirsi in qualche modo legati al paesaggio rurale può essere l'espressione della nostalgia di un passato in cui simboli e istituzioni non risultavano in "crisi di senso" (Augé, 1998), come invece succede ora. Il "sapere del senso comune" appare un po' incerto, l'eccesso di conoscenza lo dilata, ma lo sfuma. L'eccessiva produzione di immagini affligge le nostre società, la finzione le investe; il legame con il passato diventa un cordone ombelicale con un grembo materno caldo e rassicurante. Seguendo la regola generale che le cose si scoprono solo quando svaniscono, forse la nostalgia del villaggio, la ricerca delle radici, la rivendicazione di identità culturali locali sono un sintomo del contrario, e cioè del fatto che in qualche modo ci stiamo de-radicando. Ricordiamoci che nel deserto esistono piante che hanno radici aeree.

(1) Per ulteriori approfondimenti e chiarimenti sulle rappresentazioni sociali, si veda anche di Serge Moscovici, Rappresentazioni sociali, 1989.
(2) Cfr. il precedente numero di Environnement.

Riferimenti bibliografici:
M. Augé, La guerra dei sogni.
Esercizi di etno-fiction, 1998
D. Jodelet, Le rappresentazioni sociali, 1992
C. Geertz, Antropologia interpretativa, 1988
F. C. Nigrelli (a cura di), Metropoli immaginate, 2001
G. Simmel, La metropoli e la vita dello spirito, 1995

   
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