Walser
Uno dei luoghi più pittoreschi della Comunità Walser: nonostante siano rimasti solo cinque allevatori, l’arcaica e pastorale valle ha conservato intatta la sua poesia.
LE VALLON DE SAINT-SAUVEUR OU SAINT-GRAT
di LUISELLA RONC
Assessore comunale di Issime.
Il giudizio sul vallone di San Grato è unanime: si tratta di uno degli ambienti più belli e interessanti della Valle d’Aosta. Un apprezzamento che trova ampia giustificazione nella suggestione dei paesaggi, nell’armonia e nella grazia degli stoadla che accompagnano il visitatore durante tutta la risalita, nei segni ancora ben visibili sul territorio delle modificazioni e degli adattamenti dell’habitat naturale in rapporto alle risorse e alla produttività, concepiti come la migliore delle risposte alle esigenze vitali.Costruzioni tipiche nel vallone di San Grato Il legame di sintonia che unisce i vari aspetti del paesaggio e il clima bucolico che lo pervade riconducono inevitabilmente ai primordi, ai tempi in cui la natura era l’unica dispensatrice di vita, a patto che l’uomo se ne curasse con rispetto, conoscenza profonda, intelligenza e duro lavoro. È nella sua storia l’origine della ricchezza culturale del vallone di San Grato, una lunga storia che ad un certo punto del suo corso si misurò con la realtà dell’insediamento sul territorio di una popolazione nuova, proveniente dal Vallese, chiamata Walser. Secondo le ricerche degli studiosi, queste popolazioni, di origine germanica, nel V sec. d.C. abitavano la regione di Baden nella media valle del Reno. Successivamente, tra il VI e il VII secolo, esse si spostarono verso sud stabilendosi ai piedi delle montagne dell’Oberland Bernese. In seguito, nel IX secolo, si trasferirono dall’Oberland bernese alla Svizzera meridionale, nella parte più alta della Valle del Rodano e la popolarono prendendo il nome Walser proprio dalla denominazione tedesca dell’alto Vallese, Wallis. I secoli trascorsi nei duri habitat delle alte valli dell’Europa centrale di quel tempo determinò un perfetto adattamento dei Walser all’ambiente alpino, li rese abilissimi nel trarre il massimo rendimento dalle scarse risorse dell’ambiente montano, ne fece degli esperti costruttori di case dotate degli accorgimenti necessari per affrontare interminabili nevicate e lunghi mesi di isolamento. Probabilmente prima del XIII secolo i Walser, che avevano sviluppato un alto livello di specializzazione nella conduzione di un’economia agro-pastorale di alta quota, a piccoli gruppi, abbandonarono il Vallese e si insediarono progressivamente sul versante italiano, ai piedi del Monte Rosa, in piccoli centri sparsi intorno al massiccio. Nel corso delle loro trasmigrazioni i Walser si trovarono a fronteggiare le popolazioni che prima del loro arrivo, da secoli, abitavano le valli alpine. Per evitare il conflitto, si adattarono ad occupare i territori più alti, utilizzati dai nativi per i pascoli estivi. In tutte le Alpi l’habitat walser si trova oltre i 1000 metri di altitudine. Le comunità di origine walser ancora oggi insediate sull’arco alpino sono oltre sessanta, sparse senza alcuna continuità su una vasta zona che va dal Monte Rosa fino alle Alpi austriache. I coloni vallesani penetrarono in Valle d’Aosta risalendo la valle di Zermatt e valicando il colle di San Teodulo (3290 m). Il passaggio dei valichi era reso più agevole dalle favorevoli condizioni climatiche e l’habitat e le colture potevano superare ampiamente i 2000 metri di altitudine. Alcune comunità si stabilirono nel bacino del Breuil, altre attraversarono il colle delle Cime Bianche (2981 m) per occupare i territori alti di Ayas. Per questo motivo l’alta valle dell’Evançon, a monte di Champoluc è ancora oggi chiamata “canton des Allemands”. Ma la maggior parte dei coloni raggiunse l’alta valle del Lys (Gressoney, Issime, e Niel) attraverso i colli Pinter e Bettaforca e vi si stabilì in modo permanente. Le migrazioni non avvenivano certo in modo casuale. A tal proposito scrive Augusta Vittoria Cerutti: … La plupart des migrations se faisaient au sein des fiefs situés à cheval de la ligne de crête, comme par exemple dans celui de l’évêque de Sion, qui englobait la haute vallée de Gressoney, ou bien dans celui de l’abbaye de Saint-Maurice d’Agaune qui débordait dans la haute vallée d’Ayas. Le déplacement de populations, spontané ou forcé, à l’intérieur d’un fief, était alors considéré comme un évènement tout à fait normal, car la population était traitée au même titre que les terres et que les autres biens du seigneur. Aucun acte de notaire n’en garde trace. È invece documentato in un atto di omaggio del 1218 che il vescovo di Sion, Landrich Von Mont, possedeva le terre della valle del Lys a partire da Issime fino alla sommità dei monti e che i suoi beni comprendevano terre coltivate e incolte, boschi, pascoli, prati e alpeggi. La relazione tra l’immigrazione walser e il fatto che i vescovi vallesani possedevano le terre dell’alta valle del Lys appare dunque plausibile. Le superfici occupate da questi gruppi di coloni erano gestite in modo da creare paesaggi tipici, diversi rispetto a quelli abitati dalle popolazioni romanze. Al grande villaggio di case in pietra, i Walser preferivano i piccoli gruppi di stoadla disseminati in mezzo ai prati o affacciati sui terrazzamenti coltivati a cereali.vista panoramica del vallone Le attività principali consistevano nell’allevamento del bestiame, nell’agricoltura, nella silvicoltura, nella coltivazione dei cereali, ma, data la vicinanza dei colli attraverso i quali si svolgevano i grandi collegamenti alpini, venivano praticati anche gli scambi commerciali. Documenti del XIV e XV secolo relativi agli stanziamenti walser nel vallone di San Grato ci trasmettono dati interessanti sulla realtà delle terre del vallone, chiamate feuda allemanorum. Da Yssima Plana si accedeva al vallone, denominato Yssima Soveror, attraverso una strada mulattiera il cui nome, via teotonicorum, ricordava le origini degli abitanti. Le località citate sono numerosissime e molti dei toponimi richiamano quelli ancora in uso. I chantonum (nuclei abitati), disseminati su tutto il territorio, comprendevano vari edifici: case cum curtibus et plateis, granai, fienili e mulini. I prati erano falciati fino ai 2000 metri di altitudine di Monjovet (Mundŝchuvet) e di Lo Rics (Réich). A Prasera (Pressiro) c’erano due rascard e un vecchio mulino, mentre per quanto riguarda Roncus (Ronka) un documento del 1479 elenca quattro granai, una casa, un tectum e due mulini. Nel vallone erano numerose le zone di pascolo comune. I regolamenti circa l’utilizzo dei boschi erano rigidi e le disposizioni erano sottoposte a severi controlli: nel 1336 venne messo un bando su un bosco per cui era proibito abbattere più di tre alberi ed era possibile farlo soltanto allo scopo di provvedere alla costruzione di case, o meglio, di granai. Pena in caso di trasgressione: una multa di 60 soldi o la detenzione di quindici giorni a pane ed acqua.tipico stoadla Walser La civiltà walser non si espresse tuttavia soltanto nella sapiente organizzazione del lavoro, nell’intelligente gestione delle risorse del territorio e nel forte spirito comunitario, ma anche attraverso l’elaborazione di un universo fantastico tramandato da una ricca e affascinante tradizione narrativa. Grazie all’incanto degli antichi racconti è ancora possibile entrare in contatto con le suggestioni del passato e penetrare nel cuore dell’immaginario walser, denso di motivi poetici e di personaggi magici. Il vallone di San Grato è una straordinaria sorgente di narrazioni fantastiche, popolate di tutta la vasta tipologia delle credenze e dei personaggi dell’immaginazione popolare: fate, nani, diavoli, folletti-mugnai, tockhjini. Questi ultimi, personaggi tipici del mondo del leggendario walser, sono folletti dispettosi e impertinenti che si manifestano nottetempo con risate e battiti di mani, sono sfacciati e inafferrabili, si divertono a rotolare sassi, a distribuire pizzicotti, ad annodare le code delle mucche. È un tockhji il protagonista della storia dello strano mugnaio di Pressiru. Il buon folletto abitava in una casetta che si trovava a Pressiru, detta Brochnu mülli, mulino rotto. Di piccola statura, sovente invisibile, non aveva contatti con nessuno poiché amava la solitudine più totale. Come tutti i folletti era dispettoso, ma di natura generosa. I montanari lasciavano i sacchi di grano davanti alla porta del mulino e dopo poche ore ritiravano la farina ben macinata e del peso giusto. Un giorno una donna volle vedere il mugnaio misterioso e, dopo aver deposto il suo sacco presso la porta del mulino, si nascose in un angolo. Ad un certo punto il sacco sparì all’interno, ma la porta rimase chiusa; allora si avvicinò, pose l’occhio al buco della serratura e vide un omino rivestito di una povera tunica a brandelli intento a controllare il grano sotto la macina. Quando la donna raccontò ciò che aveva visto i valligiani decisero di regalare un nuovo abito al tockhji e misero una bella tunica rossa dentro un sacco di grano che posero sulla soglia del mulino. Il folletto, alla vista del bell’abito nuovo, fu talmente sorpreso e felice che lasciò aperto l’uscio e così tutti i curiosi che si erano radunati davanti alla porta poterono avvicinarsi al mugnaio che gridava e rideva concitato per la gioia. Da quel giorno il folletto visse per qualche tempo presso le famiglie dei montanari del vallone. Custodiva le mucche e passava gran parte del suo tempo a divertirsi. Poi un giorno scomparve e mai più nessuno lo vide. Ma lasciamo la leggenda per tornare alla storia. A partire dal XVII secolo la popolazione del vallone di San Grato comincia a diminuire tanto che alla fine del Settecento le località di Benecade, Prasavin, Lancenaire, Bul, Saint-Grat, Blatte, Heuia, Hobal e Valbouna risultano abitate complessivamente da 15 famiglie, per un totale di 67 persone. Nell’Ottocento la tendenza allo spopolamento dell’alta montagna è in aumento. Sono sempre più rare le famiglie che abitano permanentemente il vallone. Al sopraggiungere dell’inverno tutti ormai si trasferiscono in basso, verso il capoluogo. Sono gli anni delle massicce emigrazioni all’estero, dove gli issimesi esercitano le attività legate all’edilizia e spesso gli uomini rimangono lontani da casa anche per parecchi anni prima di fare ritorno. In molte famiglie sono le donne ad occuparsi dei lavori della campagna e della conduzione degli alpeggi. Negli anni 1905-1907 don Giuseppe Capra, docente di geografi a e scienze naturali, raccolse una serie di dati relativi ai principali alpeggi della valle del Lys, dati che comparvero nel 1911 in una pubblicazione a cura della Reale Accademia d’Agricoltura di Torino. Nel vallone di San Grato se ne contavano allora 19, ognuno dei quali aveva due o più stazioni, il carico complessivo di bestiame oscillava dai 430 ai 450 capi bovini, le capre erano circa 300 e le pecore un centinaio. Dei 19 alpeggi 12 erano affittati e gli altri 7 erano condotti dai proprietari, il carico medio per ognuno di essi era di 20-25 capi grossi. Secondo l’opinione del professore, che aveva trascorso alcuni anni della sua infanzia nel vallone di San Grato come “pastorello”, il fatto che la maggioranza degli alpeggi non fossero condotti direttamente dai proprietari costituiva un problema, era un chiaro segno di trascuratezza che avrebbe portato all’inevitabile abbandono dell’economia alpigiana. Nel tentativo di individuare le ragioni del declino, don Capra compila un elenco di cause e mette al primo posto la forte emigrazione, che lascia a casa solo donne e ragazzi. Ma tra le cause dell’abbandono vi è anche, scrive don Capra, il poco amore alle alpi, mancando lassù delle comodità del piano e delle case di mezza montagna. Ciò per il carattere stesso degli abitanti, gentile, calmo, maggiormente amante delle professioni e delle arti, che non della pastorizia. Oggi sono rimasti in cinque gli allevatori nel paradiso dei Walser, ma in compenso, sono centinaia gli escursionisti, gli amanti dello sci alpinismo, i turisti che in tutte le stagioni risalgono il vallone di San Grato. I luoghi non hanno perduto il loro fascino, l’arcaica e pastorale valle ha conservato intatta la sua poesia.
 
Bibliografi a:
- A.V. Cerutti, Le Pays de la Doire et son peuple, Aosta, 1995.
- R. Nicco, Notes sur le peuplement du vallon de Saint-Grat au cours des XIV˚ et XV˚ siècles, Lo Flambò, 1992.
- AA.VV., Eischeme-Issime. La sua chiesa, la sua gente, Aosta, 1985.
- J.J. Christillin, Légendes et récits récueillis sur le bord du Lys, Aoste, 1901.
- G. Capra, Studio tecnico-economico di alcune alpi della valle del Lys, Torino, 1910.
 
   
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