Grand Combin
La valorizzazione del sito si pone nei termini di una sfida al mantenimento di un equilibrio tra la necessità di comunicare un bene culturale di tutti e il dovere di assicurare a ciò che ne resta la sopravvivenza nel tempo.
LA MANSIO E IL TEMPIO DEL COLLE
di PATRIZIA FRAMARIN

Ipotesi ricostruttiva dell’area in inverno.La storia del transito attraverso il Colle del Gran San Bernardo non può che essere parallela alla storia dell'insediamento umano nei territori che il passo mette in comunicazione a breve e lungo raggio. Pur tenendo conto di intensità e ritmi variabili nel tempo, il flusso dei passaggi non si è mai comunque arrestato e, grazie all'archeologia, se ne può ricostruire l'andamento, anche indirettamente. È infatti per la sostanziale identità culturale rivelata dai resti dei siti megalitici di Sion nel Vallese e di Saint-Martin-de- Corléans in Valle d'Aosta che deduciamo il primo termine cronologico dei rapporti sicuramente esistiti nel III millennio a.C. tra i due versanti vallivi. In seguito i segni del passaggio umano diventano più labili, e tornano ad assumere contorni più sfumati almeno fino all'età del Ferro, che lascia invece qualche traccia tangibile sul Colle stesso. Alla fine di questo periodo e a ridosso della conquista romana delle Alpi, sull'unico pianoro incastonato tra le rupi prima del valico, pare attestata la pratica di un culto tributato al dio delle vette, consistente nell'offerta rituale di monete, forse gettate nel piccolo lago che si formava al disgelo. Conseguito il controllo del territorio dei Salassi, i Romani misero in moto un’ imponente attività di pianificazione stradale che selezionò due principali assi di transito alpini, coincidenti con gli odierni valichi del Piccolo e del Gran San Bernardo. Molto probabilmente quest'ultimo, ricordato da Strabone, geografo del I secolo d.C. (in età romana la Valle della Dora viene nominata non a caso dalle fonti in relazione alla sua potenzialità itineraria) diventa transitabile dai carri, e quindi utilizzabile ai fini militari e anche commerciali, solo dopo che l'imperatore Claudio, interessato alla conquista della Britannia, verso la metà del I secolo d.C. sistemò la sede stradale con importanti opere, tanto che l'Alpis Poenina, tappa lungo l'itinerario in direzione delle province nord-occidentali dell’Impero, è segnalata anche nelle più importanti “carte stradali” pervenuteci dal mondo antico, quali la Tabula Peutingeriana e l'Itinerarium Antoninum. Devono proprio essere stati i segni tangibili degli allestimenti stradali ad incuriosire nel '700 dapprima i monaci dell'Ospizio, fondato da San Bernardo di Mentone nell'XI secolo sul Colle, poi i viaggiatori aristocratici dell''800 che si applicarono ai primi scavi: per molti metri prima del passo, la via è ricavata infatti tramite una larga incisione nella roccia e con questa tecnica verranno insediate sul posto anche le altre costruzioni. Oltre alla strada vera e propria, l'intera base di un tempietto classico e parti di due edifici funzionali al ricovero dei “viaggiatori” che raggiungevano i 2.473 metri del passo sono stati letteralmente ricavati spianando intere zone di roccia ed incidendone lo spessore. Mentre l'antica carreggiata è rimasta visibile tra gli ultimi tornanti prima del Colle, l'evidenza dei ricoveri sorti sul pianoro è stata affidata unicamente alla testimonianza dei primi scavatori ufficiali del sito che, attraverso una serie di campagne promosse dal Ministero tra il 1890 e il 1894, formularono la prima pianta archeologica dei resti della mansio e del luogo di culto.

La ripresa degli scavi
Il convergere di molteplici interessi scientifici a più di 100 anni da queste ricognizioni sistematiche condotte da Ermanno Ferrero e Pompeo Castelfranco, rimaste a lungo isolate, ha motivato lo sviluppo di un programma Interreg, interamente dedicato, conclusosi nel 2008, con il quale sono stati affrontati in maniera sistematica la documentazione e il rilievo dei resti archeologici di età romana presenti nel sito del Plan de Jupiter e lo studio della ricca Collezione archeologica formatasi nel tempo presso l'Ospizio dei Canonici in territorio svizzero, a partire dai primi ritrovamenti casuali, fino al deposito dei reperti degli scavi governativi italiani. La ripresa delle ricerche ha comportato la pianificazione di una serie di interventi sul terreno, articolati in tre campagne estive di scavo per appurare l'esistenza dei resti delle strutture già intercettate e documentarne la consistenza, studiarne la posizione e la tecnica, applicare in definitiva i moderni criteri di analisi archeologica, consapevoli del fatto che il deposito indagato era già stato fatto oggetto di sterri e trincee da tempo immemore, a tutto danno dell'originale situazione stratigrafica. Per inciso, fosse di varia dimensione sono state lasciate sul pianoro da moderni ricercatori di tesori che lavorano in proprio, magari dotati di metal detector. Gli scavi che, conseguenti ad un primo sondaggio intrapreso tra 2000 e 2001, si sono concentrati nell'area del principale edificio segnalato ai bordi della strada che attraversa il Plan de Jupiter, la cosiddetta mansio sud, hanno in effetti consentito di completarne la planimetria, chiudendone il perimetro rettangolare rimasto indefinito ad ovest, mettendo in evidenza una corte accessibile dalla strada e una serie di piccoli ambienti, ricoveri per animali al piano terra, stanze per i viaggiatori in un molto probabile piano soppalcato. L'assenza di una cartografia affidabile dei luoghi ha motivato l'esecuzione di foto aeree per consentire il posizionamento topografico dei resti a cui è stata associata una specifica battuta di riprese aeree con rilevamento all’infrarosso per documentare le tracce della viabilità antica tra il Comune di Saint-Rhémy e il Colle. Questa fase di rilievo si è rivelata basilare in particolare per lo studio del tempietto che sorge a lato della mansio. In effetti gli unici dati disponibili per ricostruirne la pianta e ipotizzarne l'alzato sono quelli incisi sul banco roccioso che ne ha ospitato le fondazioni: le impronte ricavabili dalla pietra sono attribuibili ad un tempio in antis di 11,47 x 7,35 metri, misura a cui si deve aggiungere un breve corpo scalare antistante. Pochi altri elementi architettonici riemersi dagli scavi sembrano confermare l'aspetto classico dell'edificio andato distrutto nel Medioevo e sfruttato come cava di materiale lapideo per la costruzione dell'Ospizio. È stata controllata con saggi di limitata estensione anche la posizione del fabbricato-mansio segnalato a nord della strada, constatando, rispetto a quanto riportato nelle precedenti piante d'insieme, una maggiore coerenza negli orientamenti dei vari edifici . L'esplorazione del pianoro si è inoltre estesa a zone prive di costruzioni, cogliendo ancora qualche traccia della sistemazione antica nello slargo compreso tra l'arrivo della strada ritagliata nella roccia del pendio e il fianco ovest della mansio meridionale. In questo spazio è stata osservata l'imposta di un muro dall'orientamento coerente con il bordo strada, ma dalla funzione incerta vista la posizione a breve distanza dal crinale roccioso che chiude a sud il pianoro. Approssimandosi alla mansio, e ancora lungo il margine stradale, è stata inoltre intercettata una cassetta laterizia relativa ad una sepoltura, sconvolta però dagli sterri del passato. Occorre evidenziare che la giacitura della stratigrafia è stata pesantemente alterata non solo da secoli di frequentazione, ma anche dai fenomeni di erosione del suolo che hanno impedito la crescita di un deposito “di protezione”. È facile osservare infatti come in questo sito i resti materiali degli edifici consistano perlopiù nei piani di imposta delle fondazioni murarie o nelle tracce estese sulle rocce livellate. Questa osservazione d'altronde permette di constatare che il progetto di sviluppo delle infrastrutture sorte a servizio del transito in età romana è il frutto di un'operazione unitaria, di una pianificazione che ha sfruttato, modificandola, la naturale morfologia del sito, piegandola alle esigenze funzionali. L'area è stata occupata in maniera razionale dal passaggio mediano della via e dal disporsi ai lati degli edifici di servizio; riguardo alla posizione del tempietto, rivolto verso la strada e di fronte alla cima della Chénalette, non stupisce la sua collocazione, che sembra tener conto degli elementi sacri del paesaggio, oggetto di devozione anche in epoca precedente, al punto che se mai è esistita una rupe sacra al dio originale del luogo, come hanno asserito gli archeologi dell' 800, questa avrebbe anche potuto coincidere con la roccia contro cui è sorto il sacello. La reinterpretazione romana della divinità locale è testimoniata del resto dalle iscrizioni votive lasciate nel santuario sulle tavolette di bronzo: i devoti si rivolgono spesso a Giove Poenino attestando in questo modo la continuità delle pratiche culturali.

Lo studio dei materiali
Vista aerea dell’area del colle del Gran San Bernardo.Il riferimento alle tavolette votive permette a questo punto di illustrare il secondo obiettivo scientifico del progetto, vale a dire lo studio sistematico dei reperti della Collezione unitamente a quelli rinvenuti negli scavi odierni. Il programma ha incluso a questo punto anche i materiali provenienti dal Plan de Barasson, sito posto a circa un chilometro di distanza dal Colle sul versante svizzero, dove si ipotizza la presenza di strutture di ricovero antiche. Un gruppo di volontari comprendente specialisti italiani e svizzeri si è applicato allo studio delle varie categorie di reperti, preliminarmente schedati e fotografati e, quando possibile, associati al contesto di provenienza che per molte categorie di oggetti, e in particolare per le monete, risulta ormai impossibile da recuperare. L'interesse di questa analisi, che ha permesso di affrontare lo studio di quasi tutti i materiali archeologici presenti nella Collezione, risiede nella pubblicazione di molti inediti o parzialmente editi negli Atti del seminario conclusivo del Progetto, dove sono confluiti i vari contributi. Oltre ai necessari strumenti della vita quotidiana, molti tra i rinvenimenti sono degli ex-voto lasciati al santuario, testimoni della religiosità dei passanti, sollecitata dall' arduo passaggio in quota. Le già citate monete, il cui calcolo in difetto si aggira sui 1500 esemplari, e soprattutto le diverse decine di tavolette bronzee dedicate al dio invocandone la protezione sia per l'andata che per il ritorno - pro itu et reditu - rappresentano da sole la raccolta di ex-voto più corposa di tutto il massiccio alpino, dedicate, come le armi, da militari di passaggio, tra i più assidui, se così si può dire, frequentatori del passo; ricordiamo ancora come arredi del santuario anche i numerosi bronzetti di divinità, e almeno in parte le fibule, le gemme ed esemplari del repertorio dei vetri e delle ceramiche. L'ambito cronologico entro cui si collocano i materiali romani rinvenuti è compreso tra I e IV secolo d.C.: il termine conclusivo della vitalità dell’insediamento ha ricevuto un interessante avvallo archeometrico dall'analisi del materiale organico prelevato da un focolare rinvenuto all'interno di un vano della mansio sud, allestito prima del crollo delle strutture e del loro definitivo abbandono. Oltre agli estremi cronologici dell'occupazione antica del sito l'analisi dei reperti, in particolare di quelli ceramici, è potenziale fonte di informazioni sui traffici commerciali nelle varie fasi della romanità: alcuni prodotti in ceramica sigillata rinvenuti oltre che sul passo anche nei centri delle vallate confinanti sono stati analizzati in questo senso. I risultati sono positivi ed incoraggiano l'estensione delle indagini anche ad altre classi di materiali per approfondire i risvolti economici del transito di merci attraverso il colle.

La valorizzazione del sito
Bronzetto miniaturistico di Giove in trono.Connaturato ai programmi Interreg è inoltre e non secondariamente lo studio di un piano di valorizzazione del sito che possa trasmettere con finalità divulgativa le conoscenze acquisite nella prima fase di studio del Progetto. Come emerge da questa breve disamina, le tracce su cui proseguire il lavoro scientifico sono ancora numerose, ma ad esse non corrisponde l' evidenza dei resti, pur allo stato di rovina. La difficoltà nel decrittare le tracce archeologiche visibili sul posto costituisce un serio limite all'intento di presentare ad un pubblico più vasto il sito e le sue caratteristiche, altrimenti pressoché illeggibili per chi si avventura nella zona. Pur mantenendo l'area, riconquistata dalla natura, un fascino particolare nel comune sentire, anche per la maestosa severità del luogo, l'assenza di visibilità anche solo in pianta dei resti degli edifici impedisce di comunicarne con successo la storia. D’altra parte togliere la protezione del terreno dalle strutture della mansio è sconsigliabile ai fini della conservazione, come dimostra la situazione delle murature nel sito parallelo del Piccolo San Bernardo, dove si sta appunto pensando al reinterro dei resti come estrema misura di salvaguardia, data la loro esposizione pluridecennale all'aperto. La valorizzazione del sito si porrà dunque nei termini di una sfida al mantenimento di un equilibrio tra la necessità di comunicare un bene culturale di tutti e il dovere di assicurare a ciò che ne resta la sopravvivenza nel tempo.

   
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