BENI CULTURALI
Valorizzare e rendere attiva, insieme ai beni culturali, la cultura del territorio che li ha prodotti.
BENI CULTURALI: UNA SCOMMESSA PER LA REGIONE
di Flaminia Montanari
Casa tipica a Machaby (Arnad).I beni culturali vanno di moda. Dopo le scandalizzate contestazioni iniziali, l'operazione "giacimenti culturali" ha preso l'avvio, e ormai è accettata come un'indiscutibile prospettiva. Il Giubileo restaura e ridipinge una Roma giunta negli anni passati al limite dell'indecenza, e lancia la "via Francigena" come occasione per chi voglia agganciarsi al mercato del grande evento. Certamente, anche se con lentezza, il settore dei beni culturali si sta avviando a diventare un grosso affare commerciale; e se fino a pochi anni fa era duro convincere i proprietari a non distruggere la vecchia casa, e tutto il contenuto della sua soffitta finiva abitualmente al rogo, oggi viceversa chiunque possieda un oggetto "vecchio" è convinto di avere in mano un pezzo di valore; ed è difficile spiegare che il valore storico e testimoniale non necessariamente coincide con il valore di mercato.
Anche la Valle d'Aosta è ricca di beni culturali, anche se pochi ancora sono quelli noti e valorizzati: molti monumenti sia di proprietà privata che pubblica non sono visitabili, le belle sculture gotiche sono state ritirate per proteggerle dai furti, i paesaggi storici si degradano per la progressiva urbanizzazione dei suoli e per l'abbandono dei coltivi o delle tecniche agrarie tradizionali. In questi ultimi anni si è tentato un diverso approccio al problema della conservazione, tradizionalmente impostata su operazioni puntuali, per avviare invece da un lato un 'inventariazione estesa del patrimonio, e dall'altro due progetti sperimentali "di area" nella Bassa Valle il recupero del forte e borgo di Bard e la valorizzazione della rete dei percorsi storici. Questo tipo di interventi ha come scopo primario la redistribuzione dei flussi turistici su un territorio più vasto e per motivi diversi fino ad ora marginale, con effetti attesi certamente più deboli ma anche più diffusi, e con richiesta di investimenti molto limitati.
Indubbiamente questa sembra una via da percorrere per la nostra Regione, dal momento che il turismo che è la principale risorsa economica presenta fenomeni di polarizzazione che determinano una vera e propria azione erosiva del territorio; mentre altre zone, pur ricche di attrattive, non hanno mai espresso sul mercato un'offerta sufficientemente organizzata da innescare flussi di utenza. Gli studi eseguiti per il Piano Paesistico e la redazione del Catalogo regionale dei Beni Culturali ci hanno fornito un quadro del patrimonio, la cui ricchezza e diffusione è tale da far pensare che un piano di valorizzazione possa effettivamente spostare dei flussi turistici sulle zone attualmente depresse.

LA CULTURA COME VERA RICCHEZZA

Caratteristici terrazzamenti di Vigneti a Verrès.Ma questo non è sufficiente. Il vero problema dei beni culturali non sta nell'introdurli sul mercato come nuovi oggetti di consumo. La vera scommessa è valorizzare la cultura che li ha prodotti. Rendere attiva la cultura, non i "beni" culturali. "Attiva" in ambedue i sensi: cioè da un lato rimetterla in attività, renderla capace ancora di produrre (idee, oggetti, tecnologie), e dall'altro attiva in senso economico, cioè in grado di produrre reddito, di produrre nuove economie.
L'eredità culturale di una società prevalentemente mercantile ci ha abituati a considerare la "cultura" come un passivo: un'attitudine da ricchi, che possono permettersi di perder tempo in musica e poesie; o più recentemente come uno sperpero di denaro pubblico. Ma la storia contemporanea ci insegna che la vera ricchezza è la cultura: povero è quel paese che non produce ricerca, che importa le tecnologie da altri paesi, che si lascia colonizzare dal loro modello di sviluppo. Anche la Valle d'Aosta, se facciamo un bilancio regionale, si trova in questa situazione: nonostante il livello di reddito, la nostra è una condizione da sottosviluppo. Eppure, io sono convinta che la nostra Regione ha mantenuto al fondo una ricchezza di cui è ancora poco consapevole: la "cultura del territorio", cioè quel legame di conoscenza e di rispetto che esprime il rapporto tra un gruppo umano e il territorio su cui vive. Il .complesso delle relazioni economico-sociali che fanno sì che una comunità umana mantenga un equilibrio nei confronti del territorio, utilizzi le sue risorse senza distruggerle, migliori le proprie condizioni di vita migliorando contemporaneamente l'ambiente attorno a sé. Nella società rurale era tradizione di piantare un albero da frutto alla nascita di un figlio: un nuovo membro è da un lato una bocca in più, e richiede quindi di attivare nuove risorse economiche con investimenti non di breve ma di lungo termine - risorse che, letteralmente, "crescano con lui"- e nello stesso tempo ogni uomo che viene al mondo è tenuto ad arricchire l'ambiente, a lasciare dietro di sé una piccola traccia positiva. Lo stesso pezzetto di terra che egli avrà dissodato per vivere sarà il suo dono a chi verrà dopo di lui. E se guardiamo, sui versanti delle nostre valli, i segni ancora ben visibili dei campi di segala frammentati in minuscoli quadratini, non possiamo non pensare a quanta fatica di uomini in tanti secoli abbia strappato alle pietre e al bosco il suo pane; e se oggi vediamo avanzare nuovamente la sterpaglia e il bosco su quei terreni divenuti incolti, sentiamo con inconscio disagio che stiamo sperperando un investimento che ha avuto costi altissimi, senza neppure sapere perché. Alziamo le spalle dicendo che i tempi sono cambiati; ma non è una spiegazione che possa accontentarci.
Il villaggio di Bien (Valsavarenche).Se volessimo "valorizzare" quei campi in termini economici dovremmo edificarli, perché oggi il mercato edilizio è ancora quello che permette la più veloce riproduzione di capitale a partire dal terreno; cioè la nostra cultura economica è una cultura di puro consumo, che "brucia" le risorse territoriali per trasformarle in risorse finanziarie, in quanto queste sono poi a loro volta passibili di moltiplicazione ancora più veloce.
Così vendere la propria immagine attraverso questi meccanismi vuol dire consumarla: a forza di vendere case con vista sui monti ci saranno solo case con vista su altre case. L'immagine stessa è distrutta; la cultura si svuota di senso e diventa folklore; si vende l'immagine di ciò che più non si è.
Riscopriamo allora il significato e i valori della nostra cultura, per riannodare il filo interrotto del rapporto di equilibrio con il territorio; cerchiamo di capire, fino a che ne restano le tracce, i motivi di ogni gesto e di ogni abitudine nel rapporto con la terra; cerchiamo di ricostruire degli accordi sociali per la miglior gestione delle nostre risorse, in modo da conservarle e arricchirle anche per chi verrà dopo di noi.
   
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