ACQUA E PAESAGGIO
Le fonti tardomedievali locali ci informano che i nostri corsi d'acqua brulicavano di pesci e che questi facevano parte della dieta dei valdostani piĆ¹ di quanto si ritenga comunemente.
PESCE A CENA
di Omar Borettaz
Un dettaglio di un affresco del sottotetto della Cattedrale di Aosta (Artphoto 2000).In un affresco nel castello di Sarriod de La Tour, a Saint-Pierre, è raffigurato San Cristoforo nella sua iconografia più classica: sulla spalla sinistra il Cristo Bambino, nella mano destra un bastone ricavato da una palma di datteri e - ciò che più interessa in questo contesto - i piedi immersi in uno specchio d'acqua (un torrente, secondo la tradizione) abitato da una grande varietà di pesci e crostacei. A quest'ultimo riguardo, il dipinto quattrocentesco potrebbe presentare un quadro tutto sommato realistico per quell'epoca, naturalmente un po' esagerato dall'esigenza di rappresentare una situazione resa idilliaca dalla benefica presenza del Santo protettore dei viandanti e dei pellegrini.
Le fonti tardomedievali locali ci informano che i nostri corsi d'acqua brulicavano di pesci e che questi, freschi o conservati, facevano parte della dieta dei valdostani più di quanto si ritenga comunemente. L'idea che i nostri antenati non mangiassero che formaggi stagionati, polente di grani poveri e tuberi corrisponderebbe dunque solo parzialmente alla verità e limitatamente agli strati sociali più poveri.
La documentazione storica pervenuta fino a noi, pur mutilata nel tempo delle carte non attestanti azioni giuridiche e titoli nobiliari, rivela ancora all'attento ricercatore importanti informazioni sulla vita economica delle nostre comunità. La stessa bibliografia recente offre spunti curiosi sul cibo a disposizione sulle tavole valdostane d'autrefois e anche sul consumo di pesce, tutt'altro che occasionale.
L'esigenza di sostituire la carne in determinati periodi dell'anno liturgico (in particolare Avvento e Quaresima) con pietanze per così dire "autorizzate" faceva sì che il pesce fosse consumato in grandi quantità soprattutto presso le comunità religiose e il clero secolare.
Un dettaglio del mosaico della Cattedrale di Aosta (foto F. Semeria e T. De Tommaso, 1977).Nei conti di S. Orso relativi al priorato di Giorgio di Challant (fine '400-inizio '500) sono annotati quantitativi ragguardevoli di aringhe e cheppie salate, affumicate o essiccate, acquistate in grandi casse sui mercati di Lione e Ginevra, ma anche trote, tinche, ghiozzi e gamberi di fiume freschi, pescati nelle acque del Buthier e della Dora dai pescatori di Roisan, Aosta e Quart-Villefranche e portati direttamente sui banconi della cucina del priorato, governata da tali Michel e Babolin.
Maria Costa, che ha curato l'edizione dei conti di S. Orso trascritti dal prof. Zanolli (nota 1) , ci informa su alcuni modi di preparare il pesce. Le pastillia, ad esempio, erano grossi pesci freschi, soprattutto trote provenienti dal lago Lemano, insaporiti con noce moscata, chiodi di garofano, pepe e zafferano e cotti in forno avvolti in una sfoglia di pasta di frumento. La funzione principale di quest'ultima, che nel tempo ordinario poteva essere farcita di carne di maiale, vitello o selvaggina, era di "contenitore destinato a proteggere le carni dall'eccessivo calore del forno e a salvaguardarne la morbidezza insieme ai sughi di cottura" (nota 2). Sappiamo anche che il pesce veniva cucinato in salamoia (sellery) e all'aglio (nota 3).
Negli stessi conti si parla anche di anguille (che notiamo dipinte tra i piedi di San Cristoforo a Sarriod de La Tour), il cui prezzo poteva variare, a seconda della disponibilità e delle dimensioni, dall'equivalente di una pernice a quello di mezzo capretto.
Marco Ansaldo racconta che sulle tavole di S. Orso comparivano anche pesci di grandi dimensioni, come un "pesce del Rodano" di sei chili, due trote rispettivamente di undici e nove chili, e persino un tonno "in arrivo da Lione, che si mangiava a bocon, tenuto fra le mani in grossi pezzi". Le quantità di pesce salato provenienti anche dal Nord Europa erano a loro volta davvero notevoli: una volta sarebbe giunto al priorato un carico di tremila aringhe affumicate.
Se è vero infatti che le pietanze più prelibate a base di pesce erano cucinate per il priore e per i suoi ospiti, Maria Costa ci riferisce che pesci di minore pregio, quali aringhe salate ed essiccate, appartenevano alla "dotazione" periodica anche dei canonici più poveri, il cui regime alimentare non si discostava probabilmente di molto da quello di una parte consistente della popolazione.
Fonti più recenti affermano che Aosta possedeva tra il 1600 e il 1700 ben sei pescherie e che nel 1633 sul mercato cittadino si vendevano comunemente "trote, lamprede, ombrine, anguille, pesci chassot o ghigioni, albarelle, gamberi, granchi ..." (nota 4). Nel secolo successivo si trovavano presso i pescivendoli aostani merluzzo umido, baccalà, anguille, fricon, pesce in carpione e le immancabili acciughe (nota 5).
Infine una curiosità, riferita dal Messager Valdôtain del 1921 e ripresa da Lino Colliard: tra i regali con cui i nobili e i borghesi di Aosta omaggiarono il notaio Martin Philippon e la nobile Françoise Regis in occasione delle loro nozze avvenute il 16 febbraio 1544 figura - insieme ad altri prodotti in natura - un unbloz, vale a dire un'ombrina o un salmerino (sorte di trote ormai rare nei nostri torrenti), donato da tale P. Excoffier. Vale la pena di segnalare il commento originale del traduttore della lista, riportato dallo stesso prof. Colliard: "Le lecteur est prié de ne pas faire des comparaisons avec les temps actuels et de croire qu'on vivait presque mieux quand on était pire..." (nota 6).

Note:
1 O. Zanolli, Computa Sancti Ursi (1486-1510), 3 vv., Quart 1998.
2 M. Costa, Sapori e colori della cucina tardomedievale nei "refectoria" della Collegiata di Sant'Orso, in Sant'Orso di Aosta, il complesso monumentale, a c. di B. Orlandoni ed E. Rossetti Brezzi, Aosta 2001, pp. 281-285.
3 M. Ansaldo, Storie dimenticate. Testimonianze di vita sociale nell'antica Valle d'Aosta, Aosta 2002, pp. 93-94.
4 M. Ansaldo, Al di là della Dora, Aosta 1985, pp. 145-146.
5 L. Colliard, Vecchia Aosta, Aosta 1986, p. 201.
6 Messager Valdôtain 1921, pp. 18-19 e Colliard, op. cit., p. 208 e segg.

   
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