Speciale V.I.A.
Il terreno è una risorsa che deve essere protetta da un’occupazione indiscriminata ed eccessiva, nel rispetto tuttavia delle esigenze di abitazione della popolazione e di quelle produttive del mondo industriale e artigianale.
GLI EDIFICI
di PAOLO BAGNOD
Dirigente del Servizio valutazione ambientale.
Già nella prima versione della legge regionale sulla VIA, datata 1991, compariva una voce destinata a tale tipologia di progetto, definita “Grandi opere urbane” e riservata, per la procedura semplificata, a edifici superiori ai 5.000 metri cubi fuori terra, mentre la procedura ordinaria era riservata a quelli che superavano i 10.000 metri cubi. La nuova norma di VIA (L.R. 12/09) riprende tale casistica, imponendo l’obbligo di verifica di assoggettabilità a VIA per tutti gli edifici (qualsiasi essa sia la loro destinazione, sia residenziale che commerciale) superiori ai 10.000 metri cubi di volume. Particolare attenzione, e quindi una voce specifica, viene poi dedicata agli alberghi, sottoposti all’obbligo di legge, indipendentemente dalla volumetria totale, se superano i 50 posti letto, e ai parcheggi, il cui limite è rappresentato dai 150 posti auto. Un esame delle percentuali di presentazione dei progetti nel corso del ventennio di esistenza della VIA mostra chiaramente come gli edifici rappresentino una tipologia di opere che è stata esaminata con una certa frequenza. Dalla casistica vengono esclusi impianti industriali che, per la tipologia di lavorazione, comportano impatti che esulano dal mero aspetto paesaggistico. È sotto gli occhi di tutti, nella nostra regione come in qualsiasi altra,  la differenza tra il paesaggio tradizionale, spesso fonte di interesse turistico, e quello “recente” di urbanizzazione. I villaggi tradizionali risentivano di condizioni economiche e possibilità progettuali ben diverse da quelle odierne. Nel nostro caso il terreno agricolo era un’importante fonte di reddito, e nel limite del possibile si cercava di preservarlo, concentrando gli edifici in spazi limitati. Visti i costi e la reperibilità dei materiali, si cercava, in Valle d’Aosta come altrove, di utilizzare soprattutto materiale da costruzione locale, quindi nel nostro caso pietra e legno, e lastre di ardesia, le lose, sui tetti. Il risultato finale era molto armonico e risultava ben integrato nel paesaggio circostante. Il dopoguerra ha portato profondi cambiamenti nella filosofia costruttiva, introducendo nuovi materiali e nuovi stili. Inoltre, gli sviluppi della tecnologia costruttiva hanno consentito la realizzazione di progetti architettonici impensabili fino a pochi anni prima, con un vantaggio, se vogliamo, in ambito professionistico, consentendo ai progettisti di sbizzarrirsi in misura maggiore, a scapito, tuttavia, dell’uniformità delle costruzioni che in passato dava un senso di armonia. Il terreno agricolo è diventato meno importante, con la fuga di molti contadini verso la città e un lavoro meno duro che poteva consentire un miglioramento della qualità della vita. Sono comparsi poi i primi turisti, con le loro esigenze di abitazioni temporanee, le seconde case, e quindi in molte località montane sono comparse villette o condomini per soddisfare queste esigenze.area sportiva di Saint-Pierre. Solo dopo alcuni anni ci si è resi conto che un tale sviluppo urbanistico, se da un lato poteva rappresentare una fonte di reddito immediato (vendita dei terreni, oneri urbanistici, possibilità di lavoro per la manodopera locale), dall’altro comportava un’occupazione del territorio(da sempre una risorsa scarsa nelle nostre montagne) e problematichedi altro tipo per la gestione delle amministrazioni comunali (“picchi” di produzione di rifiuti in certe stagioni,analoghi picchi di consumi di acqua,necessità di sovradimensionare i depuratori per far fronte alle presenze temporanee ecc.). È quindi indubbio che la realizzazione di edifici abbia un impatto sul territorio rilevante.A mio avviso, tuttavia, il vero momento in cui una valutazione ambientale deve essere fatta con attenzione non è tanto quello della realizzazione dell’intervento, quanto quello della strategia dell’uso del territorio.Non tanto VIA (valutazione di impatto ambientale) quindi, ma piuttosto VAS (valutazione ambientale strategica). È, infatti, solo al momento in cui il comune definisce l’uso del proprio territorio mettendo mano al piano regolatore comunale che è possibile stabilire dove e quanto costruire, e la destinazione d’uso dell’area stessa. Come è noto a tutti,la Valle d’Aosta ha una risorsa limitata di terreno disponibile, visti i numerosi vincoli presenti sul territorio(aspetti legati al rischio di frane, di esondazioni, di valanghe) e la natura montana del territorio stesso. cantiere edile.Per questo motivo nel corso degli anni(soprattutto a partire dal dopoguerra)molto del territorio semi pianeggiante del fondo valle valdostano è stato occupato, a volte in modo indiscriminato,da fabbricati. Conosciuto,come detto, è il fenomeno delle seconde case, che utilizzano terreno edificabile pur risultando occupate solo per alcuni periodi dell’anno, e che tanto ha fatto discutere nel recente passato fino all’introduzione degli equilibri funzionali.Il terreno è una risorsa che deve essere protetta da un’occupazione indiscriminata ed eccessiva, nel rispetto tuttavia delle esigenze di abitazione della popolazione e di quelle produttive del mondo industriale e artigianale.È proprio in sede di esame dei piani regolatori comunali che deve avvenire la valutazione sull’opportunità delle scelte di destinazione del deve intervenire per evitare lo sprecod ella risorsa.Fabbricato rurale in Comune di Cogne.La VIA, a valle di tali decisioni, si ritrova a prendere atto del fatto che quella specifica area è stata destinata all’edificazione, spesso con parametri di volumetria, altezza, ecc. degli edifici già ben definiti. Questo innesca ovviamente scelte economiche da parte della popolazione, comporta una certa valutazione dei terreni edificabili (ben diversa da quelli agricoli)e innesca una legittima aspettativa da parte dei proponenti. In altre parole,chi è interessato a realizzare un fabbricato in un certo comune è in grado di “leggersi le istruzioni” sull’uso del territorio nel comune stesso. Da un esame delle tavole del piano regolatore sa dove a quanto può costruire,ed è in grado di operare le sue scelte di opportunità dell’investimento.A questo punto la procedura di VIA si trova di fronte a una sorta di diritto acquisito da parte del proponente,proprio perché una precedente valutazione ambientale gli ha consentitodi presentare il progetto. Il ruolo della VIA in questi casi è abbastanza limitato,perché diventa complesso rimettere in discussione scelte a suo tempo esaminate in sede di piano regolatore e approvate. Assunto che un’area edificabile è di per sé esclusa da vincoli di inedificabilità, la valutazione si focalizza sulla verifica del rispetto delle norme previste dal piano regolatore.Qualora il piano regolatore sia perfettamente rispettato, entra in gioco l’aspetto architettonico del progetto proposto, ossia le scelte che, spesso su richiesta esplicita del committente,il progettista ha effettuato. Qualora non siano presenti vincoli specifici che impongono determinate scelte architettoniche (tetto in lose, ad esempio), diventa molto complesso valutare collegialmente, come normalmente avviene nella VIA, un progetto.L’architettura è una forma di arte, e l’arte, come è noto, tocca corde individuali ben diverse. Ciò che può piacere a una persona può essere considerato sgradevole per un’altra. Il parere vincolante sugli impatti di un edificio sul paesaggio diventa quindi quello della struttura regionale deputata alla tutela del paesaggio stesso,che esprimerà un proprio giudizio non tanto sugli aspetti volumetrici (percentuale di suolo occupato, altezza del fabbricato, ecc., già definiti appunto dal piano regolatore), ma sull’inserimento di quel fabbricato nel contesto paesaggistico che lo circonda.Nel pieno rispetto delle scelte individuali possono essere fatte in tal modo valutazioni sulla tipologia architettonica,sul colore, sui materiali,senza però mettere in discussione,come invece accade per la maggioranza degli altri progetti sottoposti a procedura di VIA, la possibilità o meno di realizzare l’intervento. Non è quindi, a mio avviso, tanto la VIA che può tutelare in modo efficace l’uso del territorio, quanto la VAS,strumento strategico e più moderno,maggiormente in grado di influenzare le scelte di sostenibilità nella tutela del territorio.
   
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