BIODIVERSITÀ
Porzioni intere della copertura vegetale dimostrano che la loro biodiversità attuale è il risultato della storia delle pratiche di attivazione e produzione.
ECOLOGIA STORIA E MONDO RURALE
di Diego Moreno e Sara Scipioni
Particolare del sito UT 1 in cui risultano evidenti strati di carbone corrispondenti a tracce di carbonaie dei secoli scorsi (US 6 e US 9).Una delle applicazioni più interessanti dell'ecologia storica (la historical ecology degli autori anglosassoni) è probabilmente quella che si va precisando in questi anni nell'individuazione del patrimonio rurale di determinate aree montane, in particolare di quelle sottoposte a (o indiziate da) una gestione conservazionistica.
Osservare nella prospettiva dell'ecologia storica le pratiche locali come quelle legate alla produzione di un formaggio di alpeggio (ad esempio la Raschera nelle Valli Monregalesi) o alla raccolta di erbe alimentari (il praebuggiun in una azienda familiare della Riviera Ligure) o alla produzione domestica di un formaggio nell'Appennino ligure orientale (San Sté o formaggio di Chiavari nella Val d'Aveto), ha significato per storici, geografi e botanici avvicinarsi ad una nuova storia alla scala locale sia dei sistemi di produzione sia delle risorse ambientali su cui si basano.
È proprio il cambiamento di scala della ricerca, legato inizialmente alla necessità di individuare i prodotti locali e le loro pratiche, oggi esistenti solo alla scala locale, che ha permesso di tenere sotto osservazione la complessità di due storie incrociate: la storia dei sistemi/pratiche di produzione e la storia degli effetti di attivazione sulle risorse ambientali. Normalmente le osservazioni di terreno in questo secondo caso si riferiscono ai suoli (ed anche ai sedimenti in particolare biostratificati) e soprattutto alla copertura vegetale.
Il patrimonio rurale non corrisponde più, oggi, nella prospettiva dell'ecologia storica, al solo ed infinito inventario degli strumenti, dei metodi e dei saperi locali. Un tale inventario era già stato tentato dalla tecnologia del XVIII secolo e dalla etnografia rurale nel secolo successivo: oggi si deve dilatare a comprendere l'ecologia delle risorse (es. copertura vegetale) che dalle pratiche di produzione locali sono state nel tempo condizionate/attivate.
I prodotti locali appaiono come una parte essenziale, la componente vivente, del patrimonio rurale della montagna: non più soltanto come heritage varieties o varietà tradizionali o produzioni di qualità destinate a qualche nicchia commerciale di un mercato globalizzato, ovvero ad una loro museificazione nel quadro di costosi progetti di conservazione extra situ. Porzioni intere della copertura vegetale, siti aree e complessi, dimostrano che la loro biodiversità attuale è il risultato di questa storia delle pratiche di attivazione e produzione e che, al contrario, l'abbandono dell'attivazione della risorsa diminuisce la sua biodiversità oltre a rendere fragile, nel tempo, la struttura del sistema ambientale. È da risultati come questi che la pianificazione delle aree protette può ripartire negli anni 2000.
Diego Moreno

UN ESEMPIO
Spettro antracologico dei campioni dell'US6; il castagneto è stato sostituito da un ceduo misto la cui composizione risulta molto varia.Carbonai dell'Antola: osservazioni intorno ad una pratica in via di estinzione
Osservare nella prospettiva dell'ecologia storica il lavoro dei carbonai dell'Antola - come è stato fatto in diverse occasioni in questi anni durante le campagne del L.A.S.A. (Laboratorio di Archeologia e Storia Ambientale dell'Università di Genova) nella montagna appenninica genovese, ha posto il problema di uscire (cioè di prendere in considerazione tutte queste fonti storiche ma di andare oltre):
1. dalla pura descrizione etnografica di una pratica tradizionale;
2. dalla ricostruzione di una pratica ormai consegnata ai suoi resti archeologici (resti e tracce che, per ora almeno, gli archeologi ambientali o gli archeologi tout court non sanno neppur bene riconoscere);
3. dalle raffigurazioni delle planches delle enciclopedie tecnico-forestali del XVIII e XIX secolo.
L'ipotesi di partenza è che nei boschi dell'Appennino ligure (nella loro biologia-ecologia), oggi, si ritrovino le tracce (archeologiche, biologiche) di una storia delle risorse vegetali e cioè delle pratiche impiegate per produrre, riprodurre ed attivare localmente la copertura vegetale della valle.
Una delle tracce più interessanti per la ricostruzione delle pratiche produttive e degli effetti che queste hanno avuto sulla biologia della risorsa forestale (boschiva) sono i siti di produzione del carbone vegetale e, più in generale, tutta una archeologia del fuoco o delle pratiche del fuoco che è stato possibile localizzare nelle valli dell'Antola in precisi siti di interesse storico ambientale.
In questo settore dell'Appennino l'economia del carbone di legna si è estinta negli anni 1950, per la concorrenza di altre risorse energetiche, ed i carbonai appartengono ormai alla memoria della valle. Con l'abbandono del bosco, le nuove formazioni boschive hanno invaso tutti gli spazi e la memoria di questa pratica si va cancellando.
Dal 1996, il Parco Naturale Regionale dell'Antola e il LASA si stanno interessando per la conservazione di questa memoria e dei suoi spazi praticati attraverso la raccolta di documenti scritti, interviste a informatori locali, studio dei resti archeologici delle attività dei carbonai (archeologia forestale), ecc.
In Val Vobbia, nel Parco dell'Antola, la ricerca sul terreno ha permesso di ottenere nuove informazioni sulla produzione del carbone. Sono state individuate numerose piazze da carbone antiche, con residui di carbone visibili in superficie ad occhio nudo, o addirittura con strati di carbone sepolti, prodotti prima dello strato superficiale più recente.
Il carbone è stato raccolto ed ogni frammento sottoposto ad una particolare analisi che si effettua grazie all'utilizzo del microscopio; questa analisi antracologica (studio del carbone) permette di individuare la specie legnosa di appartenenza del frammento carbonizzato, in modo da comprendere, analizzando più frammenti, la specie e le condizioni della legna tagliata nel bosco ed utilizzata per la produzione di carbone.
Lo studio di una carbonaia in particolare, UT 1, che presentava tre strati sepolti, attribuibili a tre momenti di produzione del carbone di epoche diverse (US6/9/11), ha permesso di ricostruire la storia ambientale del bosco tagliato evolutosi nel tempo: da un castagneto da frutto, fatto risalire al XVII secolo (datazione al radiocarbonio e analisi antracologica del campione proveniente da US11), in cui probabilmente venivano usati i rami ed i risultati delle potature per produrre carbone, ad un bosco misto (XVIII - XIX secolo, datazione e analisi dei campioni provenienti da US9 e US6) con prevalenza di carpino, frassino e querce (nel dialetto locale questo bosco misto di quercia, tagliato regolarmente per la produzione di carbone, viene chiamato scabbia).
Per meglio comprendere questa pratica, capire e confrontare le tracce che ha lasciato sul terreno, a Vobbia, nel maggio 1998, è stato fatto un esperimento: la costruzione e cottura di una carbonaia grazie all'intervento di un pratico di Mongiardino, Gianni Biglieri e del suo aiutante Renato Ratto di Vobbia.
L'esperimento è stato registrato in tutte le sue fasi (vedi fotografia di apertura), anche con la realizzazione del documentario "Carbonai dell'Antola", frutto della collaborazione tra l'Università di Genova, l'Ente Parco Antola e l'Università di Toulouse.
Sara Scipioni

Bibliografia
Métailié J.-P., Poggi G., 1999; Carbonai dell'Antola. Videocassetta 40', co-produzione CAV-Université Toulouse Le Mirail/Ente Parco Antola.
Moreno D., 1990; Dal Documento al terreno. Storia e archeologia dei sistemi agro-silvo-pastorali. Bologna, Il Mulino, pp. 276.
Rackam O., 1986; The history of Countryside. London, Dent, pp. 445.
Vernet J.-L., 1997; L'homme et la forêt méditerranéenne de la Préhistoire à nos jours. Paris, Editions Errance, pp. 248.
   
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