TERRITORIO IN OFFERTA
Il paesaggio e la geografia del nostro paese sono profondamente cambiati negli ultimi trent’anni trasformando l’assetto territoriale e insediativo.
UN TERRITORIO RURURBANO?
di Maddalena Micheletto
Regione Borgnalle.Mi è stato chiesto di scrivere un articolo per questo numero della rivista dedicato all’offerta di territorio. In particolare il tema propostomi è centrato su “l’urbano e il non urbano: due realtà che necessitano di regole diverse”. Di primo acchito, mi è parso un soggetto semplice; i piani nelle loro differenti scale, sino a giungere al piano globale più vicino al territorio, il Piano Regolatore, fissano delle regole diverse secondo le peculiarità del proprio territorio. In particolare definiscono le grandi invarianti strutturali, ovvero i luoghi che devono essere preservati e tutelati, le zone di rischio, le infrastrutture, definiscono le aree dei centri abitati, le aree agricole o commerciali, insomma determinano e regolano l’uso dei suoli. È dunque un piano con le sue regole che analizza e gestisce e “offre” un territorio urbano o un territorio non-urbano.
In realtà l’attuazione dei piani è in crisi, innanzitutto perché il territorio presenta spesso una commistione tra luoghi urbani e non. In uno stesso comune possono essere presenti aree naturali, densi centri abitati e aree con abitati sparsi. Sono proprio questi ultimi due casi, l’abitato denso e quello sparso, che a mio avviso fanno riflettere sulle nozioni di urbano e non urbano. Esiste ancora oggi una differenza tra le due?

Il magazzino Bertolin ad Arnad.Il paesaggio e la geografia del nostro paese sono profondamente cambiati negli ultimi trent’anni trasformando l’assetto territoriale e insediativo. Una grande varietà di processi socio-economici legati a motori di crescita diversi (turistico, residenziale, terziario-commerciale ecc.) hanno portato a forme di urbanizzazione diffuse e estese sul territorio, modificando il senso e le forme di interi paesaggi, influenzando soprattutto le forme degli “spazi aperti”. A questa trasformazione si associa un’originale evoluzione della cultura dell’abitare. Viviamo il territorio in continua mobilità, una sorta di zapping, legati a reti che ci uniscono nel quotidiano ad eventi urbani: una lottizzazione di case, un centro commerciale, un luogo di loisirs, un centro storico, un complesso di edifici terziari, spazi non contigui ma potenzialmente distinti. Una grande rivoluzione nei luoghi del commercio, negli spazi ludici, negli stili del consumo fa sì che il centro commerciale suburbano integrato diventa luogo intensamente abitato dove consumare, incontrarsi e dove localizzare le attività del tempo libero. Compaiono nuovi formati commerciali, nuovi capisaldi della distribuzione siti in alcuni nodi infrastrutturali strategici, come i factory outlet centers; la fitta rete dei soft-discount, ad esempio, è spesso il luogo di incontro di anziani e immigrati. Alcuni percorsi del centro storico si sono specializzati in prodotti della moda o in franchising o prodotti di nicchia, sede di nuovi riti sociali e di nuovi ritmi della frequentazione.
Anche il rapporto con il bene casa si rivoluziona. Assistiamo ad una rincorsa alla conquista della casa di proprietà, funzionale e confortevole e un’esasperata personalizzazione anche degli spazi esterni, con una curiosa indifferenza verso l’esterno, il pubblico, seppur crescente è la richiesta di qualità residenziale, infrastrutturale, ambientale e di paesaggio.

Centro commerciale in zona autoporto.Siamo quindi noi cittadini che siamo cambiati, sono i nostri stili di vita legati profondamente alle mode ed economie di mercato che rivoluzioniamo le nozioni di urbano e non urbano. Non siamo più cittadini di un territorio delimitato come fu in altri tempi, bensì abitanti di un tessuto più ampio, di una città diffusa. Non vi è più distinzione tra un cittadino di Nus con uno di Aosta, entrambi sono abitanti urbani di un territorio più vasto che è la Regione e, forse, esso è anche più esteso. Ma questi tasselli che frequentiamo regolarmente sul territorio, sono dei luoghi urbani o non urbani?
Alcuni studiosi delle scienze territoriali li definiscono come dei non-luoghi o luoghi di margine perché non presentano le caratteristiche di urbanità della città tradizionale; per altri essi sono invece dei superluoghi, dei nuovi centri di integrazione della città, perché costituiscono dei forti poli di attrazione. Senza entrare in questo dibattito è comunque necessario individuare questi nuovi spazi o luoghi che strutturano oggi la città diffusa.

• I centri commerciali, penso ad esempio al Centre Amérique o l’Autoporto, presentano spesso un aspetto casuale e di disordine: sono inseriti lungo i grandi assi viabilistici, tra terreni e capannoni abbandonati con distese di asfalto, recinzioni e aree verdi marginali, in un contesto misto di oggetti urbani e inaccessibili ai pedoni. I territori su cui sorgono sono destinati dai piani regolatori ad attività commerciali e in tal senso vengono anche definiti i loro indici di costruzione, ma il risultato sembra tutt’altro che regolato.

• I centri del terziario sorgono sovente in zone di mixità con abitazioni, magazzini, depositi, qualche sede di servizio in un reticolo di strade sproporzionate a vicolo cieco e zone di sosta di fortuna o sovradimensionate. Ne fa da esempio la regione Borgnalle o La Grande Charrière ad Aosta che con il Centre Amérique, seppur con il loro aspetto trasandato nascondono invece uno dei grossi poli economici della valle in cui sono insediati grandi ditte commerciali e società di servizio private con un impressionante giro di affari.

• Gli spazi di loisirs hanno modificato la loro localizzazione. Con la diversificazione delle pratiche non si limitano più ad essere delle attrezzature di quartiere. La pratica del jogging è la causa dell’apparizione di percorsi specializzati situati in zone naturali periurbane. L’invaghimento per il nuoto ed i giochi d’acqua spiega la trasformazione delle vecchie terme in centro di benessere. Queste attrezzature fanno parte, con le stazioni di sci e i rifugi di montagna o le piste ciclabili, di una rete la cui area di influenza copre l’intera Regione.
• La ricerca di prodotti di qualità spiega le trasformazioni dell’agricoltura, in particolare dell’agricoltura periurbana. Numerosi sono i produttori che installano in prossimità della loro attività un punto di vendita diretta. Le grandi cooperative o le imprese di prodotti alimentari s’installano in modo imponente lungo i principali assi viari: grandi capannoni commerciali accanto a zone di campagna.

• Le lottizzazioni di case che si insediano lungo gli assi viari, frammiste a capannoni, autofficine, presentano un fronte strada disordinato ma ricco di attrezzature urbane lasciando alle loro spalle prati, vigneti o boschi.

• Anche gli spazi naturali sono dei poli (boschi, praterie, alpeggi, ecc.) che non devono più essere considerati come elementi esterni alla città. La loro preservazione e messa in valore non è a carico solo degli agricoltori bensì presa in conto dalla collettività; la loro gestione deve quindi essere integrata nei piani.

Tutti questi luoghi seppur non fisicamente localizzati in un centro urbano, così come siamo abituati ad intenderlo tradizionalmente, sono dei poli della nostra città esplosa. Anche un centro storico non ha più il tradizionale significato di centro urbano, ovvero non è più il polo esclusivo di commerci e servizi ma è divenuto un centro tra molti altri.
Oggi non sono più le regole di gestione di un centro urbano, seppur con le sue croniche difficoltà, a creare dei problemi; la città densa si percepisce dove inizia e dove finisce. La stessa situazione vale anche per un villaggio o un borgo. È invece la percezione di ciò che è al di fuori che ci sfugge, che non si regola neanche con un piano disegnato e fitto di regole. Ma è su questo fuori che noi cittadini costruiamo la nostra vita e se è quindi ormai riconosciuto da tutti che viviamo in tanti luoghi urbani diffusi, la conseguenza è di ammettere che non esiste più il non urbano. Eppure la distinzione tra urbano e non urbano è stata la base della tradizionale passata pianificazione. In ogni comune, i PRG avevano come obiettivo principale di delimitare le zone di estensione in modo da contenere l’urbanizzazione e preservare gli spazi agricoli. Così facendo i piani, strumenti statici, non hanno avuto presa sui fenomeni economici che sono all’origine dei nuovi poli in continua trasformazione; le attività di produzione di distribuzione e di servizi non ricercano solo un’area destinatagli da un piano, bensì vogliono una facilità di accessi dagli assi viari principali, una disponibilità di parcheggi e un raggruppamento per funzionare come polo. I piani non possono decidere da soli a priori dove localizzare le diverse attività del loro territorio ma devono tener conto delle tensioni economiche che l’esistente scatena, valutando i fenomeni a larga scala. Accanto ad ogni scelta disegnata su un piano occorre inoltre una politica che ne assicuri lo sviluppo. Ad esempio non basta solo evidenziare quali sono le aree da preservare all’agricoltura, bisogna anche assicurarne i servizi e le strategie di sviluppo. L’unica regola per gestire i territori esterni è di comprendere cosa hanno da offrire, individuare di volta in volta chi sono gli attori economici che vogliono appropriarsene, iniziare un dialogo che esca dai tradizionali confini comunali ma che investa una pluralità di attori pubblici con quelli privati al fine di trovare delle soluzioni mediate che permettano un democratico sviluppo economico, nel rispetto e nell’interesse di una sua efficace sostenibilità.
   
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