RISCALDAMENTO GLOBALE
I cambiamenti climatici possono modificare le caratteristiche nivologiche delle Regioni Alpine, con una minore presenza del manto nevoso alle quote inferiori ai 1500 m ed un maggiore inumidimento del manto.
NEVE, VALANGHE E CAMBIAMENTI CLIMATICI
di Michele Freppaz e Massimo Pasqualotto
Introduzione
Figura 2: andamento dei giorni di permanenza della neve al suolo a D’Ejola (1850 m slm) dal 1970 al 2007 (Dati W. Monterin, Terra glacialis N.11 Ed. SGL).La neve è una componente essenziale del sistema terrestre, sia ad alta quota, sia ad elevata latitudine, ed ogni cambiamento nella quantità e nella permanenza della neve al suolo può avere importanti effetti dal punto di vista ambientale ed economico. La neve determina le portate dei fiumi durante il disgelo primaverile e spesso garantisce un deflusso minimo dei corsi d’acqua anche durante i caldi e siccitosi periodi estivi. La neve inoltre, in relazione al suo elevato potere isolante, protegge il suolo e la vegetazione dal gelo, garantendo un pool di elementi nutritivi indispensabili per la ripresa vegetativa (Freppaz et al., 2007). Numerosi autori (Edwards et al., 2007) hanno evidenziato come nelle regioni montane la durata della copertura nevosa e le temperature minime dell’aria rivestano un ruolo fondamentale nel condizionare la distribuzione delle specie vegetali, in quanto ne determinano l’accrescimento e le possibilità di sopravvivenza. Inoltre, ed in particolare sulle Alpi, la neve è fortemente legata al turismo invernale, sulla quale numerose stazioni turistiche basano il proprio sviluppo (Beniston et al., 2003).
Figura 3: estratto cartografico con perimetrazione della valanga denominata “Leysser”, nel comune di Avise. In giallo l’evento dell’inverno 2006-2007, in azzurro la precedente perimetrazione presente nel Catasto Regionale Valanghe.La neve è un formidabile sensore dei cambiamenti cimatici, in quanto lo spessore e la durata della neve al suolo dipendendo sia dalla temperatura, sia dall’entità delle precipitazioni. Le relazioni dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), sin dal 1990, hanno evidenziato come il clima stia cambiando per effetto dell’incremento dei gas serra. Questo trend è previsto in aumento nel corso del ventunesimo secolo, con un conseguente incremento delle temperature medie compreso fra 1.5 e 5.8 °C nel 2100, con un valore più probabile di 2.5 °C. Tali modificazioni, se confermate, non potranno non avere significativi effetti sull’innevamento nelle regione Alpine, considerato che nelle regioni montane un incremento medio della temperatura di 1 °C comporta un incremento del limite delle nevicate di circa 150 m.

La neve e gli ecosistemi montani
Figura 4: Rete automatica di rilevamento: stazione posta in località Plan Praz (Pré-Saint-Didier) a 2000 m.Il progressivo innalzamento del limite delle nevicate avrà come conseguenza il fatto che le aree montane a quote più basse saranno interessate con sempre maggiore frequenza da precipitazioni in forma liquida anche nel corso dell’inverno, con una riduzione complessiva della superficie innevata nella stagione invernale, che per le Alpi Svizzere è stata stimata del 25%, ipotizzando un incremento della temperatura di 3 °C (Abegg e Froesch, 1994). Altri studi prevedono per le Alpi Francesi una significativa riduzione dello spessore e della permanenza della neve al suolo a quote inferiori ai 1500 m slm, in particolare nei settori più meridionali (Martin e Durand, 1998).
Tali scenari potranno avere importanti implicazioni sulle località turistiche invernali, come riportato da numerosi studi che in Svizzera, ad esempio, hanno evidenziato come un incremento della temperatura di 2-3 °C nei prossimi 50 anni possa avere un impatto critico sulle stazioni sciistiche localizzate al di sotto dei 1200-1500 m slm.
Non meno importanti possono essere le conseguenze sugli ecosistemi forestali. Numerosi studi, infatti, hanno evidenziato come il manto nevoso stagionale, grazie alla sua azione isolante, possa limitare il congelamento del suolo. In particolare, un manto nevoso di sufficiente spessore (30-60 cm), accumulatosi presto nella stagione invernale, è in grado di impedire il congelamento del suolo, indipendentemente dalla temperatura dell’aria; il suolo rimane a temperature prossime agli 0 °C, poiché il manto nevoso, grazie al suo elevato potere isolante, è in grado di rallentare il flusso di calore geotermico (Freppaz et al, 2006).
Figura 5: Valgrisenche - Inverno 1949-1950.L’effetto della mancanza di neve sulla temperatura del suolo è stato valutato mediante numerose prove sperimentali, basate generalmente sul confronto delle temperature registrate all’interno di parcelle indisturbate e di parcelle in cui la neve è invece stata rimossa, sia mediante spalatura, sia mediante la costruzione di apposite tettoie in grado di intercettare la precipitazione nevosa (Zanini e Freppaz, 2006). Le ricerche hanno in genere rilevato temperature del suolo significativamente inferiori nelle parcelle a ridotta copertura nevosa, con un incremento del numero dei cicli gelo/disgelo ed un maggior sviluppo della porzione del profilo di suolo interessata dal congelamento. Indipendentemente dalle tecniche adottate, tutti gli studi riportati evidenziano come l’assenza di manto nevoso determini un significativo raffreddamento dei suoli nel corso dell’inverno, con valori di temperatura che possono raggiungere i -5, -10 °C ed una notevole frequenza di cicli gelo/disgelo, con potenziali effetti sulla dinamica degli elementi nutritivi (Freppaz et al., 2007).

Le valanghe
I cambiamenti delle proprietà del manto nevoso potranno avere un’influenza anche sulle caratteristiche degli eventi valanghivi. In particolare, numerosi studi (Martin et al., 2001; Lazar e Williams, 2006) hanno evidenziato come in futuro si potranno verificare con maggiore frequenza valanghe di neve umida, in relazione al verificarsi di precipitazioni liquide anche nel corso dell’inverno ed al generale anticipo delle condizioni primaverili.
Inoltre, dall’analisi dei dati di altezza neve, durata del periodo con attività valanghiva e numero di giorni con precipitazioni predisponenti al distacco, Glazovskaya (1998) ha evidenziato che l’attività valanghiva potrebbe diminuire nelle aree ora maggiormente interessate da eventi valanghivi ed aumentare in quelle fino ad ora meno soggette a tali fenomeni. Per quanto concerne la dinamica temporale dell’attività valanghiva, Jomelli et al. (2007) hanno notato come nelle Alpi francesi la probabilità annuale di distacco di valanghe frequenti sia fortemente correlata alla frequenza di precipitazioni intense su tre giorni consecutivi e a valori di temperatura dell’aria superiori alla media; per valanghe di tipo estremo (meno frequenti) la probabilità annuale è invece legata solo a precipitazioni intense. Ne deriva che lo studio degli eventi meteorologici estremi in relazione al cambiamento climatico sarà di estrema importanza, in quanto ad essi sembrano essere correlati i periodi di attività valanghiva più intensi.
Si sottolinea, però, come l’attività valanghiva possa essere influenzata dall’evoluzione della copertura forestale e dall’installazione di opere di protezione, anche in misura anche maggiore rispetto a quanto lo sia dalla variazione delle condizioni climatiche. Trovare una relazione a larga scala, non solo su bacini campione, tra attività valanghiva e cambiamenti climatici è quindi un obiettivo difficile da raggiungere, a causa della difficoltà di reperimento di dati omogenei su un ampio territorio, dove esistono realtà in cui viene registrato ogni singolo evento ed altre dove solo gli eventi estremi, con danni sul territorio, vengono registrati in un database.

La registrazione dei dati
Un’indagine sulle caratteristiche dell’innevamento e degli eventi valanghivi in relazione ai cambiamenti climatici non può che essere condotta mediante l’analisi di serie storiche di dati di elevata qualità. La misura e la registrazione manuale delle variabili meteorologiche quali temperatura dell’aria, spessore e durata del manto nevoso, è stata ed è operata con grande accuratezza da numerosi studiosi, tra i quali in Valle d’Aosta spicca sicuramente la figura di Willy Monterin, Guida Alpina Emerita di Gressoney-La-Trinité ed operatore del Comitato Glaciologico Italiano (figura 1). La sua attività, e ancor prima quella di suo padre, Umberto Monterin, hanno permesso la registrazione di numerose variabili climatiche presso l’Osservatorio Meteorologico di D’Ejola (Gressoney-La-Trinité, 1850 m slm) fin dal 1927.
L’elaborazione di tali dati, ad esempio, ha permesso di delineare per il settore sud-orientale della Valle d’Aosta, un significativo decremento della permanenza della neve al suolo alla quota di 1850 m, a partire dagli anni ‘70 fino ad oggi (figura 2).
Attualmente, le reti di stazioni nivometeorologiche automatiche hanno permesso di estendere ed integrare le reti di rilevamento manuali, garantendo una maggiore copertura del territorio.
Nel 1971 viene istituito l’Ufficio Valanghe Regionale con il compito di monitorare le condizioni del manto nevoso, valutare il pericolo valanghe attraverso l’emissione del Bollettino Nivometeorologico e censire gli eventi valanghivi che formano la banca dati del Catasto Regionale Valanghe (figura 3). Fin da allora una rete manuale di rilevamento supporta l’Ufficio nell’attività di osservazione e misura dei parametri nivometeorologici, infittendosi gradualmente nel corso degli anni. Oggi tale rete conta 45 campi neve fissi, gestiti, oltre che da privati, dal personale del Corpo Forestale Valdostano, della Compagnia Valdostana delle Acque, del Soccorso alpino della Guardia di Finanza, delle Società concessionarie degli impianti di risalita, della Fondazione Montagna Sicura e del Comando Truppe Alpine – Servizio Meteomont. A questi si affianca, dal 2006, un gruppo selezionato di Guide Alpine che esegue rilievi itineranti, finalizzati all’analisi delle condizioni del manto nevoso in localizzazioni d’alta quota e di difficile accesso.
L’attività di rilevamento manuale è integrata dalla rete di stazioni nivometeorologiche automatiche che, implementata a seguito dell’evento alluvionale del 2000, costituisce oggi un sistema di monitoraggio tale da garantire una buona copertura del territorio regionale (figura 4).
L’Ufficio Neve e Valanghe, oggi facente capo alla Direzione Tutela del Territorio dell’Assessorato Territorio, Ambiente e Opere Pubbliche, dispone perciò di serie storiche più che trentennali che, opportunamente elaborate ed associate alle informazioni e ai documenti conservati nel Catasto Valanghe, permettono di delineare con precisione l’evoluzione dell’innevamento e dell’attività valanghiva in Valle d’Aosta (figure 5 e 6).
I dati nivometeorologici e le relative elaborazioni utili a fornire i tratti essenziali delle stagioni invernali 2005-2006 e 2006-2007 sono stati elaborati e resi disponibili al pubblico attraverso la realizzazione di due volumi (recensiti sul numero 40 di questa rivista, n.d.r.): “Rendiconto Nivometeorologico - Inverno 2005-2006” e “Rendiconto Nivometeorologico - Inverno 2006-2007”, presentati lo scorso dicembre e realizzati a cura dell’Ufficio Neve e Valanghe nell’ambito della Convenzione in atto tra l’Assessorato Territorio, Ambiente e Opere Pubbliche della Regione Autonoma Valle d’Aosta ed il Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agro-Forestali dell’Università degli Studi di Torino.
Il Rendiconto Nivometeorologico descrive la stagione invernale in tutte le sue componenti, dall’andamento meteorologico all’elaborazione dei dati nivometeorologici, dalla valutazione e previsione del pericolo valanghe al censimento degli eventi spontanei e provocati.
Dal confronto tra i due inverni considerati emergono considerazioni interessanti, utili per una maggiore comprensione dell’evoluzione del manto nevoso e della distribuzione degli eventi valanghivi spontanei in funzione dei cambiamenti climatici e della variabilità climatica che ne discende. Infatti, se l’inverno 2005-2006 è stato caratterizzato da temperature minime prossime alle medie storiche da dicembre a febbraio e da temperature massime inferiori al dato storico (con l’eccezione di alcune stazioni del settore sud-orientale della Valle dove le medie sono superiori di oltre 5 °C), l’inverno 2006-2007 ha fatto registrare temperature generalmente superiori alle medie con scarti maggiori nel periodo primaverile.
Per quanto riguarda le precipitazioni nevose è possibile notare come queste, durante la stagione 2005-2006, si siano concentrate nel periodo tra metà febbraio e fine marzo ed abbiano interessato prevalentemente il settore nord-occidentale. L’inverno successivo mostra invece precipitazioni omogeneamente distribuite sulla Regione e concentrate nel mese di marzo.
Nella stagione 2005-2006 le altezze totali della neve fresca ed il numero di giorni con neve al suolo risultano prossime alle serie storiche, mentre le altezze medie della neve al suolo mostrano valori inferiori alle medie. La stagione successiva è invece caratterizzata da altezze totali della neve fresca e altezze medie della neve al suolo inferiori ai dati storici e da un numero di giorni con neve al suolo generalmente inferiore alle medie, con casi, nel nord-occidentale, di stazioni sotto i 2000 m dove tale valore si riduce ad un quarto del dato storico.
Dagli archivi del Catasto Regionale Valanghe si evince come siano stati censiti 147 eventi valanghivi spontanei durante la stagione 2005-2006 e 178 eventi durante quella successiva. In entrambi gli inverni, il periodo di maggior criticità si colloca nella prima decade di marzo, quando si sono verificate rispettivamente il 30% e il 50% delle valanghe censite.
In estrema sintesi, l’inverno 2005-2006, pur non reggendo il confronto con i grandi inverni del passato, ha presentato tuttavia le credenziali di un inverno in piena regola: grandi freddi, forti venti in alta quota, nevicate intense ed importanti eventi valanghivi. Al contrario, l’inverno 2006-2007, nonostante una serie di nevicate tardive, non è stato un buon inverno: innevamento scarso e poco prolungato, temperature miti ed eventi valanghivi di scarso rilievo.

È possibile ritirare gratuitamente copia del Rendiconto Nivometeorologico presso l’Ufficio Neve e Valanghe della Regione Autonoma Valle d’Aosta (loc. Amérique 33/A, Quart – Aosta).

Conclusioni
La neve e le valanghe caratterizzano l’ambiente montano nel corso dell’inverno, con specifiche dinamiche temporali e spaziali. I cambiamenti climatici possono modificare le caratteristiche nivologiche delle Regioni Alpine, con una minore presenza del manto nevoso alle quote inferiori ai 1500 m ed un maggiore inumidimento del manto, che può risultare maggiormente denso, sia per effetto dell’innalzamento del limite delle nevicate, sia per la maggiore frequenza di episodi piovosi nel corso dell’inverno. Tali fenomeni possono determinare una maggiore frequenza di valanghe di neve umida.
La verifica di tali scenari, suggeriti da numerose pubblicazioni internazionali, non può che essere basata sul costante monitoraggio di questi parametri, attraverso la minuziosa raccolta ed elaborazione di dati climatici, e nel caso specifico, delle caratteristiche degli eventi valanghivi. Sicuramente le modifiche degli scenari ambientali così come prospettati non devono fare abbassare il livello di attenzione nelle procedure di previsione e di prevenzione del rischio valanghivo sul territorio alpino, anzi lo spostamento degli interessi economici e turistici sempre più verso le alte quote potrebbe determinare un incremento delle condizioni di rischio generali andando ad occupare con la presenza umana settori finora vergini o comunque interessati da interferenze antropiche discontinue e temporanee.
L’elaborazione di accurati Rendiconti Nivometeorologici stagionali riveste quindi un’importanza fondamentale per lo studio e la comprensione degli effetti del cambiamento climatico sull’innevamento e di conseguenza sulle caratteristiche degli eventi valanghivi.
   
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