RECENSIONI
RECENSIONI

Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Jared Diamond, Einaudi, Torino, 2007.
Il libro di Jared Diamond ci racconta, con una ricca serie di esempi, come molte società nel passato abbiano messo in atto meccanismi che le hanno portate all’autodistruzione e al collasso economicoambientale e, di conseguenza, all’estinzione. Tuttavia il libro esordisce parlando del Montana di oggi, uno stato che fa parte del paese più ricco fra le società del Primo Mondo, riportandoci all’estrema attualità delle problematiche trattate nel libro. Infatti molti degli elementi che hanno causato la morte di civiltà lontane nel tempo sono ancora problemi da affrontare nel mondo contemporaneo: eccessivo sfruttamento delle risorse ambientali, cambiamenti climatici improvvisi, interdipendenza con le società limitrofe, capacità di dare risposte efficaci all’evoluzione del contesto territoriale. Con uno stile coinvolgente ed efficace l’autore ci porta a riflettere sui motivi che hanno condotto civiltà anche molto raffinate a compiere scelte disastrose dal punto di vista della loro stessa sopravvivenza e come altre abbiamo invece saputo modificare la propria cultura adattandosi e convivendo con contesti ambientali molto fragili. Il testo riesce a smontare i principali luoghi comuni dietro ai quali noi appartenenti del Primo Mondo ci nascondiamo per evitare di concretizzare scelte coerenti alle emergenze globali di oggi. Infine lancia, nelle ultime pagine, segnali di speranza e suggerimenti concreti (cfr. note al XVI capitolo) per influire come cittadino e consumatore alla soluzione, per forza collettiva e condivisa, dei problemi che affliggono il nostro polder, cioè il nostro pianeta visto come un’enclave in cui ciascuno di noi compie scelte che mettono a rischio il futuro di tutti e nella quale nessuno può vantare posizioni che preservino dai pericoli del tracollo generale.

La scommessa della decrescita. Serge Latouche, Feltrinelli, 2007.
“Sembra ormai chiaro che oggi viviamo nell’epoca della sesta estinzione delle specie. Quotidianamente, infatti, si registra la scomparsa di un numero di specie (tra vegetali e animali) che va da cinquanta a duecento, un dato drammatico superiore da mille a trentamila volte quello dell’ecatombe delle ere geologiche passate”. Questo è l’incipit del nuovo libro del più noto teorico della decrescita, Serge Latouche, professore emerito dell’Università di Paris-Sud (Orsay), tradotto e pubblicato anche nel nostro paese. Se la situazione è quella descritta, Latouche rileva tuttavia che “non riusciamo ad afferrarne la portata”. A fronte di questo stato di cose, il silenzio dei partiti, e addirittura dei movimenti altermondialisti, è sconcertante. La crescita economica è ancora considerata dai più come la soluzione della questione sociale e in molti casi, addirittura, di quella ambientale. In un crescendo di dati e riflessioni derivate dai lavori di studiosi di grande autorevolezza, Latouche inquadra la difficile, attuale situazione del pianeta e propone soluzioni intelligenti e di fatto inevitabili per poter continuare ad esistere, sia come individui che come specie. Ridistribuire, riconvertire, rilocalizzare, ristrutturare, ridefinire, ridurre, riutilizzare, riciclare: sono questi i concetti che permettono di comprendere la portata della trasformazione dell’immaginario e degli stili di vita che il movimento della decrescita propone. Altri spazi di manovra non ce ne sono. Secondo Latouche si possono pensare solo due scenari tra cui potremo scegliere per cercare di far fronte ai problemi prossimi venturi: o la dittatura globale o la democrazia locale. Le contraddizioni del liberal-produttivismo stanno affossando sia lo spirito che la materia. Meglio allora optare per la sana utopia della decrescita. Anzi, in ultima analisi, per essere precisi, il messaggio di Latouche è quello di una “a-crescita, un ateismo economico”. Si, perché l’economia e il libero mercato sono divenuti la vera e dominante religione del mondo. C’è allora bisogno di una salutare presa di distanza da un’economia di cui siamo diventati acritici servitori.
 
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