RELAZIONE STATO DELL'AMBIENTE
Le molteplici caratteristiche ambientali del territorio valdostano ne fanno un sito ideale per attività di monitoraggio legate alla tematica della valutazione degli effetti dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali.
GLI EFFETTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI
di Edoardo Cremonese e Umberto Morra di Cella
Introduzione

Figura 5, siti attualmente attrezzati con sensori per la misura del regime termico degli ammassi rocciosi (le quote si riferiscono al sito di misura).La valutazione degli effetti dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali è un campo di studio di grande attualità: le molteplici caratteristiche ambientali del territorio valdostano ne fanno un sito ideale per attività di monitoraggio legate a tale tematica. La presenza di aree d’alta quota, con ampi settori glacializzati, e di estese superfici boschive, consente lo sviluppo di progetti volti alla valutazione degli impatti del riscaldamento climatico su matrici ambientali estremamente sensibili.
Scopo delle indagini, avviate dall’A.R.P.A. VdA dal 2001 e parte di un complesso programma di monitoraggio a medio e lungo termine, è l'analisi delle dinamiche ambientali in atto finalizzate a fornire elementi utili alla gestione del territorio regionale e alla conoscenza dei fenomeni caratteristici dell'ambiente alpino.
Le attività in ambito glaciale consistono principalmente nella misurazione del bilancio di massa di alcuni ghiacciai valdostani (Timorion, Rutor e Pré de Bard), indicatore particolarmente significativo dell'impatto dei cambiamenti climatici, nonché un utile strumento per la quantificazione della risorsa idrica immagazzinata e dei relativi trends evolutivi. Le attività di interesse glaciologico sono svolte nell'ambito della Cabina di Regia dei Ghiacciai Valdostani.
Altre ricerche sono svolte in ambito forestale e nelle zone periglaciali. Le attività di monitoraggio relative agli ecosistemi forestali riguardano l'analisi delle variazioni del ciclo vegetativo di alcuni popolamenti di larice, in relazione alle variazioni annuali dei principali parametri climatici.
L’oggetto dominante delle attività nelle aree periglaciali è lo studio della distribuzione spaziale del permafrost a scala regionale e delle relazioni tra esso e le più rilevanti variabili meteo-climatiche, rilevate a scala locale.

Progetto REPHLEX
Figura 4, sito di monitoraggio del permafrost e stazione meteorologica (in primo piano) presso il Colle nord di Cime Bianche.Impiego di immagini satellitari per l’analisi della variabilità interannuale del ciclo fenologico della vegetazione (dal 2000 al 2005) come indicatore di risposta alle variazioni climatiche

La fenologia vegetale è lo studio del ciclo vitale delle piante, del susseguirsi periodico degli eventi biologici che lo caratterizzano e della sua relazione con il clima. Tipici eventi fenologici primaverili sono la comparsa delle foglie, lo sbocciare dei fiori e l’emissione del polline, seguiti, in autunno dall’ingiallimento e la caduta delle foglie o dall’interruzione dell’attività fotosintetica. Ognuno di questi fenomeni dipende da variabili climatiche come la temperatura, la durata del giorno (fotoperiodo) e la disponibilità di acqua, oltre ad aspetti legati alle singole specie vegetali e a differenze genetiche.
Per tale ragione la fenologia di specie arboree viene da lungo tempo studiata quale indicatore di risposta alle variazioni climatiche: l’aumento delle temperature si traduce in una variazione, generalmente un anticipo, delle date in cui si osservano le fioriture e la comparsa delle foglie. Recenti studi, svolti in Nord America ed Europa centrale, giungono, indipendentemente, a conclusioni simili che evidenziano un anticipo variabile dai 2 ai 5 giorni ogni 10 anni, nelle date di inizio della stagione vegetativa di numerose specie. Una simile variazione, apparentemente di modesta entità, ha un considerevole effetto sui flussi di massa ed energia tra atmosfera e vegetazione ed in particolare sul ciclo dell’acqua e del carbonio.
Nel 2005, l’ARPA della Valle d’Aosta, in collaborazione con il Laboratorio di Telerilevamento delle Dinamiche Ambientali (LTDA) del Dipartimento di Scienze dell'Ambiente e del Territorio dell’Università degli Studi di Milano Bicocca e con il Dipartimento di Biologia Vegetale dell’Università di Torino, ha dato avvio al progetto REPHLEX (REmote sensing of PHenology Larix EXperiment) che ha come obiettivo l’analisi della variabilità interannuale del ciclo fenologico della vegetazione, indicatore di risposta alle variazioni climatiche recenti, attraverso l’impiego di osservazioni a terra e di immagini satellitari.
La celebre parete ovest dei Dru, interessata, a più riprese, da importanti crolli rocciosi.La specie sulla quale si è concentrato lo studio è il larice (Larix decidua) sia per le caratteristiche ecologiche, che ne consentono un’ampia diffusione sul territorio valdostano e sulle Alpi, sia per le spiccate evidenze che ne caratterizzano il ciclo fenologico (comparsa degli aghi in primavera ed ingiallimento autunnale).
In particolare, il progetto si articola in tre linee di indagine differenti che riguardano la definizione di metodi per l’osservazione sul terreno delle fasi fenologiche di popolamenti di larice situati in differenti condizioni morfologiche e climatiche della Val d’Aosta, la misura di parametri biochimici, biofisici e meteorologici e lo sviluppo di modelli fenologici guidati sia da dati a terra sia da dati satellitari MODIS.
Le osservazioni in campo sono finalizzate alla validazione dei dati derivabili dall’interpretazione delle immagini satellitari e dei modelli sviluppati a partire da parametri meteorologici. In assenza di riferimenti bibliografici relativi al larice, è stato sviluppato un protocollo di osservazione specifico: esso ha permesso di rilevare le date di apertura delle gemme fogliari (budburst), di inizio dell’ingiallimento e di fine stagione vegetativa, e quindi di definire la durata del periodo vegetativo. Tali parametri sono tra quelli maggiormente influenzati dalle variazioni di temperatura attese e descritte nei diversi scenari di cambiamento climatico.
In figura 1 è riportato l’andamento del ciclo fenologico osservato in uno dei siti monitorati, situato nel comune di Torgnon: tale rappresentazione consente di evidenziare come le date di apertura delle gemme fogliari (b1), di inizio ingiallimento (b2) e di fine stagione (b3) possano essere facilmente definite.

A lato, figura 2, localizzazione dei siti di misura e delle fasce altimetriche in cui si collocano. In basso, figura 3, immagini MODIS in cui sono rappresentati i valori di NDVI (Normalized Difference Vegetation Index) in corrispondenza di periodi di riposo vegetativo (gennaio) e massima attività vegetativa (agosto). Le misure a terra hanno permesso di determinare gli andamenti temporali di sviluppo fogliare e ingiallimento in 8 siti monitorati sul territorio valdostano (figura 2), nel corso della stagione 2005. Sono state inoltre acquisite informazioni quantitative relative all’Indice di Area Fogliare (LAI), parametro strutturale dei popolamenti arborei che descrive l’area occupata dalle foglie rispetto alla superficie di terreno, impiegando camere digitali equipaggiate con obiettivo fisheye, e informazioni relative alle “condizioni di salute” (espresse in termini di efficienza fotosintetica) delle piante, mediante misure di fluorescenza della clorofilla, tramite fluorimetro attivo. Ogni sito forestale è inoltre stato caratterizzato da un punto di vista strutturale e sono state raccolte informazioni relative alla distribuzione del sottobosco e alla composizione in specie. Scopo di tali misure è di disporre di dati fisiologici e strutturali rilevati a terra, legati all’andamento stagionale dell’attività vegetativa, confrontabili con i dati derivabili da immagini satellitari.
Per quanto riguarda la linea di indagine relativa allo sviluppo di modelli fenologici guidati da dati a terra, sono stati impiegati sia modelli basati su dati di temperatura dell’aria sia modelli di crescita che consentono la stima delle fasi fenologiche in funzione della conoscenza del fotoperiodo, della temperatura dell’aria e dell’umidità atmosferica.
Infine, sono state elaborate immagini satellitari acquisite dal sensore MODIS, nel periodo 2000-2005. In particolare sono stati impiegati dati di NDVI (composizione a 16 giorni) con risoluzione spaziale al suolo di 250 m.
L’NDVI è un indice di vegetazione così definito: NDVI=NIR-R/NIR+R, dove NIR e R sono rispettivamente i valori di riflettanza nel vicino infrarosso e nel rosso. La risposta della vegetazione determina che tale indice, compreso tra -1 e 1, assume valori elevati (rappresentati in colori chiari in figura 3) all’aumentare della “quantità di foglie” (biomassa verde).
Le immagini satellitari consentono di analizzare le variazioni dell’indice NDVI in funzione dello stadio di sviluppo della vegetazione allo scopo di individuare le date dei principali fenomeni, come la comparsa delle foglie e l’inizio dell’ingiallimento autunnale. L’accuratezza dei risultati ottenuti viene valutata attraverso il confronto con quanto osservato durante l’attività di campo.
Figura 1, ciclo fenologico osservato nel sito di Torgnon (2090 m s.l.m.). Sono evidenziate le date di budburst (b1), di inizio ingiallimento (b2) e di fine stagione vegetativa (b3). (DOY = Day of Year).La disponibilità di immagini MODIS per il periodo 2000-2005 rende possibile l’applicazione della metodologia sopra presentata per analizzare la variabilità spaziale interannuale dei principali parametri fenologici considerati, nel corso del periodo compreso tra il 2000 e il 2005. In questo modo si definirà un livello di riferimento della durata del ciclo vitale dei popolamenti di larice alpini e subalpini e della sua variabilità a breve termine.
Pur essendo gli ambienti d’alta quota considerati tra quelli che saranno maggiormente colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici, è importante sottolineare che tali potenziali modificazioni si potranno manifestare su scale temporali maggiori di cinque anni.
Il punto di forza dell’attività è dunque quello di aver individuato una strategia di monitoraggio sostenibile nel tempo, come l’utilizzo di immagini satellitari che, se basato su metodi validati con attività di misura sul terreno, consente di ottenere dati di elevata qualità a fronte di costi ridotti.

Il permafrost come indicatore del cambiamento climatico in Valle d’Aosta

Con il termine permafrost, si indica la porzione di terreno che presenta per almeno due anni consecutivi una temperatura media annua inferiore a 0°C. Si stima che la profondità massima del permafrost possa giungere ad oltre 1200 m in Antartide e in Siberia; la media sull’arco alpino varia tra i 50 e i 200 m. Lo strato superficiale stagionalmente sottoposto a fusione, che può variare da pochi centimetri fino a 5-6 metri, è definito strato attivo.
Il permafrost è dunque un elemento direttamente collegato alle condizioni climatiche, che si presenta alle elevate latitudini e nelle regioni montagnose. Gli ambienti interessati dalla presenza del permafrost sono tra quelli in cui gli effetti del riscaldamento globale si manifesteranno probabilmente in modo più intenso: moderati incrementi della temperatura media annua, in queste regioni, possono causare cambiamenti di stato di ampie regioni attualmente occupate da permafrost. Tali alterazioni possono avere significativi impatti sia sugli equilibri naturali (modificazioni nel ciclo del carbonio e nel ciclo dell’acqua indotti da un aumento dello spessore dello strato attivo) sia sulle attività umane in ambiente montano (modificazioni della stabilità dei versanti e relativo danneggiamento delle infrastrutture, crolli in roccia…).
L’ARPA della Valle d’Aosta ha avviato nel 2004 un insieme di attività volte ad affrontare ed indagare il tema del permafrost sul territorio regionale. A questo scopo, attraverso una collaborazione con l’Università degli Studi dell’Insubria, si è provveduto alla realizzazione di un sito per il monitoraggio del permafrost presso il Colle Nord di Cime Bianche, nella conca di Cervinia (Valtournenche). Contemporaneamente, in collaborazione con la Direzione Tutela del Territorio della Regione Autonoma Valle d’Aosta, è stata avviata un’attività di caratterizzazione dei regimi termici di alcune porzioni rocciose della parete sud del Cervino.

Il sito di monitoraggio del Colle nord di Cime Bianche

La zona del Colle Nord di Cime Bianche (Valtournenche) ha le caratteristiche di un altopiano in quota, intorno a 3100 m, con terreno a morbide ondulazioni e pendii debolmente acclivi, ricoperti da estese coperture detritiche e rada vegetazione alpina. Il sito di monitoraggio realizzato ha lo scopo di valutare le caratteristiche termiche del permafrost e dello strato attivo, in rapporto ai principali parametri climatici d’interesse. La scelta del sito giunge a seguito sia di un’attività di modellizzazione della presenza potenziale del permafrost nella zona sia di rilievi eseguiti nella stagione estiva ed invernale. Le attività di indagine hanno consentito di individuare le posizioni ottimali per la realizzazione di sondaggi per il monitoraggio delle condizioni di temperatura del permafrost. Le perforazioni, eseguite nell’autunno 2004, hanno portato alla realizzazione di un foro profondo 41 m, attualmente utilizzato per misure stagionali, e di un foro di 6 m equipaggiato per misure in continuo, adatto al monitoraggio dello strato attivo. L’attività di misura ha avuto inizio nel gennaio 2005. Le misure di temperatura sono accompagnante da rilievi manuali, eseguiti dal personale ARPA, in punti individuati da una griglia permanente di 40x10 m, finalizzati alla valutazione dello spessore del manto nevoso, e di alcune sue caratteristiche fisiche fondamentali (densità, stratigrafia…). La dotazione strumentale del sito di monitoraggio è stata completata, nel corso dell’inverno 2005/2006, dall’installazione di una stazione automatica di misura dei parametri meteorologici maggiormente collegati alle dinamiche evolutive del permafrost.

Le caratteristiche logistiche del sito (figura 4) e la tipologia di misure eseguite ne consentiranno l’ingresso nella rete internazionale GTN-P (Global Terrestrial Network Permafrost), proposta da GCOS (Global Climate Observing System), che ha lo scopo di valutare, a livello globale, l’impatto del riscaldamento climatico sulle aree interessate dalla presenza di permafrost, inaugurata il 31 marzo in presenza del prof. Jerry Brown, presidente dell’Associazione Internazionale del Permafrost.

L’attività di monitoraggio del regime termico della parete sud del Cervino

L’aumento delle temperature e il riscaldamento del permafrost possono influenzare la stabilità delle pareti e dei versanti rocciosi. Il cambiamento climatico in atto rende importante la conoscenza della distribuzione spaziale e della evoluzione temporale dei regimi termici di tali ambienti. Tali considerazioni, insieme ai numerosi eventi di crollo accaduti nell’arco alpino, nel corso dell’estate del 2003, hanno portato all’avvio, nel 2004, di un’attività finalizzata al monitoraggio del regime termico di alcune porzioni della parete sud del Cervino. Il progetto, condotto con la collaborazione della Direzione Tutela del Territorio della Regione Autonoma Valle d’Aosta, rappresenta la fase preliminare del progetto INTERREG III A PERMADATAROC, svolto in partenariato con il CNR-IRPI di Torino (Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica) e l'Università della Savoia e coordinato da Fondazione Montagna Sicura.
Dopo le prime esperienze condotte nel 2004, si è giunti nel 2005 all’installazione di sensori per la misura della temperatura della roccia, a differenti profondità, della temperatura dell’aria e del bilancio radiativo, in tre siti distribuiti lungo la parete sud del Cervino: Capanna Carrel, Lo Riondé e Cheminée, in un’area interessata da un importante crollo nell’estate del 2003 che ha imposto una modifica del tracciato della via normale italiana di salita al Cervino (figura 5). L’obiettivo è di arrivare a fine 2006 con un totale di 6 punti, distribuiti secondo un gradiente altitudinale, dalla base alle porzioni sommitali della parete.
L’attività svolta è da considerarsi fondamentale sia dal punto di vista della sperimentazione strumentale e logistica sia per gli aspetti metodologici: l’esperienza maturata consentirà di sviluppare un protocollo di misura dei parametri in oggetto, esportabile in altri contesti. Nonostante i numerosi problemi incontrati, i primi risultati forniscono informazioni importanti per le successive fasi di spazializzazione e modellizzazione dei regimi termici delle pareti e dei versanti rocciosi.
   
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