LA TERRA COME TERMOMETRO
Il clima esercita una sensibile influenza sulla vita del suolo, generalmente in equilibrio con le condizioni climatiche che hanno portato alla sua formazione. I cambiamenti climatici in atto possono mettere in crisi tale equilibrio, esercitando una sensibile influenza sulle proprietà del suolo.
SUOLO E CAMBIAMENTI CLIMATICI
di G. Filippa, M. Freppaz, S. Stanchi, E. Zanini
Introduzione

Figura 1: suolo a permafrost nella pianura siberiana (Labytnangi, Estate 2004).Tra i fattori di formazione del suolo, il clima è probabilmente quello che esercita la maggiore influenza sulle sue proprietà. Le componenti climatiche che intervengono al momento della nascita del corpo suolo sono l’umidità e la temperatura: esse iniziano immediatamente a controllare la velocità dei fenomeni chimici, fisici e biologici della pedogenesi, soprattutto i processi di alterazione della roccia madre e di lisciviazione. L’umidità agisce in funzione dell’intensità e della distribuzione annua delle precipitazioni, dell’evaporazione (inizialmente dal suolo e successivamente anche come traspirazione dei vegetali) e della possibilità dell’acqua di scorrere sulla superficie o penetrare nel suolo secondo la morfologia e la permeabilità del substrato. La temperatura influenza in vario modo il processo di pedogenesi, controlla la velocità delle reazioni chimiche e biologiche ed è fattore essenziale della vita del suolo. Definisce l’entità dell’evapotraspirazione e regola, quindi, la presenza dell’acqua e dell’aria. Agisce sullo sviluppo radicale delle piante superiori, influisce sul tipo e sulla quantità di vegetazione che si insedia e, quindi, sul tipo e la quantità di residui organici che arrivano al suolo. La distribuzione in profondità del calore nel suolo varia con il ciclo giornaliero e stagionale. Si ha passaggio di calore verso gli orizzonti più profondi del suolo durante le ore di insolazione e allontanamento di calore dal suolo durante le ore notturne. Alla profondità di circa 20 metri nel suolo il livello termico resta però pressoché stazionario nel corso dell’anno. Le quantità di radiazioni solari che pervengono al suolo variano con la latitudine; con l’aumentare della distanza dall’equatore è minore l’energia termica che giunge sulla superficie terrestre. In linea generale, al diminuire della temperatura ed all’aumentare del contenuto idrico i colori del suolo tendono al grigio, con sfumature bluastre e verdastre, ed il contenuto di sostanza organica diventa più importante. Figura 2: Sorted stripes nel sito LTER (Long Term Ecological Research Network) del Parco Nazionale della Majella (Estate 2007).L’eccesso d’acqua e le basse temperature infatti rallentano l’alterazione della sostanza organica che così può accumularsi in grande quantità mentre il colore grigio deriva dalla presenza di ferro non ossidato. All’aumentare della temperatura il colore del suolo tende ad essere meno grigio e più rossastro. Questo è dovuto al fatto che il processo di alterazione con conseguente accumulo in superficie di ossidi di ferro è molto spinto, così come la decomposizione della sostanza organica. Ogni incremento termico di 10 gradi centigradi nel suolo determina infatti un aumento di 2 – 2.5 volte della velocità delle reazioni biochimiche, dovuto all’incremento di attività microbica del suolo, che si traduce in una più rapida decomposizione della sostanza organica. Il maggior tasso di mineralizzazione della sostanza organica si osserva a temperature comprese tra 30 e 40 °C. Quando si supera tale intervallo di temperatura massima la velocità delle reazioni decresce sensibilmente a causa di processi degradativi a carico della biomassa microbica del suolo. Le maggiori controversie riguardano, però le temperature minime alle quali si può osservare attività dei microrganismi nel suolo. Recenti ricerche hanno evidenziato come i microrganismi del suolo siano vitali fino a temperature prossime a –7 °C. Vi sono batteri, definiti criofili, perfettamente adattati alla vita nel suolo a basse temperature. Questo gruppo di microrganismi è in grado di sopravvivere per migliaia di anni nel permafrost (il termine permafrost indica un qualsiasi terreno che rimane al di sotto della temperatura di 0 °C per almeno due anni consecutivi) e nelle superfici ghiacciate, come evidenziato da recenti studi nei ghiacciai dell’Artico e dell’Antartide (figura 1). Le basse temperature influenzano quindi fortemente l’attività biologica del suolo ma sono responsabili anche di importanti fenomeni fisici. I principali fenomeni di disgregazione fisica delle rocce sono legati agli effetti del gelo e disgelo o crioclastismo. L’acqua negli interstizi allo stato di ghiaccio aumenta di volume ed esercita pressioni tali da fratturare la roccia. Un tipico esempio dell’azione delle basse temperature sulle caratteristiche fisiche del suolo è rappresentata dai suoli poligonali. Si tratta di fenomeni crionivali, associati ai cicli di gelo e disgelo dell’orizzonte superficiale di suolo, che alle nostre latitudini caratterizzano gli ambienti d’alta quota. L’alternanza di gelo e disgelo nel suolo può inoltre essere responsabile della ridistribuzione delle rocce alle quote più elevate, con la formazione di particolari figure (cerchi, strisce) che sembrerebbero essere opera dell’uomo ma che invece sono una mirabile espressione della natura (figura 2, figura 3).

Suolo e ciclo del carbonio

Figura 2: Sorted stripes nel sito LTER (Long Term Ecological Research Network) del Parco Nazionale della Majella (Estate 2007).Il clima esercita quindi una sensibile influenza sulla vita del suolo, generalmente in equilibrio con le condizioni climatiche che hanno portato alla sua formazione. I cambiamenti climatici in atto possono mettere in crisi tale equilibrio, esercitando una sensibile influenza sulle proprietà del suolo. Il suolo stesso, d’altra parte, può giocare un ruolo fondamentale nel mitigare o rendere ancora più critica la tendenza all’aumento di concentrazione nell’atmosfera di alcuni gas (anidride carbonica, protossido d’azoto e metano) responsabili del cosiddetto effetto serra. Infatti il suolo può funzionare da trappola o fonte per l’anidride carbonica (CO2) ed il metano. Trappola molto efficace se si pensa che la quantità di carbonio organico immagazzinata nel suolo è pari a 1500x109 tonnellate (1500 Gt), quantitativo nettamente superiore alle 720 Gt contenute in atmosfera come CO2 e le 600 Gt nella vegetazione. Il suolo può però diventare una fonte di carbonio per l’atmosfera. Infatti l’aumento di temperatura atmosferica può incrementare l’attività dei microrganismi del suolo e quindi la mineralizzazione della sostanza organica intrappolata, con maggiore produzione di anidride carbonica e quindi con un ulteriore aumento di temperatura dell’atmosfera. Altri processi possono però contrastare la diminuzione del contenuto di sostanza organica del suolo provocato dall’aumento di temperatura. Infatti l’incremento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera può influire positivamente sulla velocità del processo fotosintetico con una maggiore produzione del mondo vegetale e quindi con un maggior apporto di residui organici (ad esempio foglie, aghi) al suolo. Se la velocità di accumulo della sostanza organica è superiore alla velocità di degradazione aumenta il contenuto di carbonio nel suolo, a scapito del carbonio dell’atmosfera. Se la velocità di accumulo è inferiore alla velocità di mineralizzazione, il contenuto di carbonio nel suolo diminuisce ed il suolo agisce come un’ulteriore fonte di CO2 per l’atmosfera. La parte di comunità scientifica che si occupa di cambiamenti climatici e suolo sta tentando da diversi anni di comprendere come verrà modificato il ciclo del carbonio all’interno del suolo e all’interfaccia tra suolo ed atmosfera in un mondo più caldo. Ciò che emerge dagli studi in corso è senz’altro che una risposta univoca non è possibile. È stato evidenziato che in ambienti diversi (come ad esempio la tundra artica o l’ambiente alpino), il riscaldamento globale può sortire effetti opposti in termini di emissioni di CO2 dal suolo. In altri casi, addirittura in ambienti confrontabili, gli esperimenti simulanti il cambio climatico determinano effetti opposti. Ciò evidenzia la complessità del sistema suolo e la difficoltà di dare risposte semplici a problematiche complesse, ed evidenzia altresì che le conoscenze attuali in termini di ciclo del carbonio in un suolo (e un mondo) che cambiano, non sono ancora sufficienti. Negli ambienti coperti da un manto nevoso stagionale, come buona parte dell’Arco Alpino Italiano, la complessità di tali fenomeni è ulteriormente incrementata. Infatti i suoli coperti da un manto nevoso stagionale rimangono biologicamente attivi anche durante l’inverno, grazie all’azione isolante del manto nevoso che garantisce temperature del suolo miti rispetto a quelle dell’aria. L’attività biologica invernale rappresenta di conseguenza una fonte non trascurabile di CO2 ed i tassi di emissione invernale di tale gas sono quindi stati inseriti nei bilanci globali del carbonio. Ciononostante, molto lavoro è ancora necessario, non solo per completare i database di emissione dei differenti ecosistemi, ma anche per affinare le tecniche di misura che sono ancora per vari aspetti deficitarie. Una promettente tecnica di recente impiego, ad esempio, sembra essere la cosiddetta snow flux tower, un sistema di misura ideato da ricercatori dell’Università del Colorado che permette la misura in automatico delle emissioni gassose durante il corso di un intero inverno (figura 4). L’applicazione e la diffusione di tale tecnica, che fin ora non è mai stata utilizzata in ambiente alpino, permetterebbe da una parte di ottenere stime dei tassi di emissione estremamente più precise, dall’altra di indagare a fondo i processi che portano alle emissioni gassose dal suolo durante l’inverno al fine di comprendere, in ultimo, come tali emissioni potrebbero essere influenzate da un mondo più caldo.

Suolo ed erosione

Figura 5: esempi di dissesto superficiale (colate) a seguito di intense precipitazioni (foto giugno 2008).L’erosione idrica rappresenta uno dei più importanti fenomeni di degradazione del suolo a livello mondiale. L’erosione ed il ruscellamento superficiale influenzano in maniera diretta la qualità delle acque, con il trasporto di sedimenti, inquinanti legati ai sedimenti ed in soluzione. L’erosione del suolo ed il ruscellamento superficiale sono influenzati dai cambiamenti climatici, in seguito a cambiamenti della biomassa vegetale, dei tassi di degradazione dei residui organici e della velocità di evapotraspirazione, così come dei cambiamenti di destinazione d’uso del suolo. I più importanti effetti del cambiamento climatico sull’erosione e sul ruscellamento superficiale sono però legati a cambiamenti nel volume e nell’azione erosiva delle precipitazioni, che sempre più spesso si presentano improvvise e con notevole intensità. La quantità e l’intensità delle precipitazioni influenzano la quantità di suolo che può essere erosa, così come il volume e la velocità del ruscellamento superficiale. Nel corso di una precipitazione, la capacità di un suolo di assorbire l’acqua (velocità di infiltrazione) tende a diminuire ed il ruscellamento superficiale ad aumentare. In una prima fase il flusso dell’acqua è omogeneo lungo la superficie, per poi concentrarsi in piccoli solchi che successivamente tendono ad unirsi in canali via via più profondi. La quantità di suolo che può essere erosa in seguito al ruscellamento superficiale dipende dallo spessore e dalla velocità della lama d’acqua, così come dal numero delle particelle in movimento e dalla loro energia, nonché da alcune proprietà chimicofisiche del suolo quali il contenuto in sostanza organica e le classi dimensionali delle particelle che lo compongono (argilla, limo e sabbia), e la copertura vegetazionale che, a seconda del grado di copertura e del tipo di apparato radicale, può esercitare un’utile azione protettiva. L’erosione idrica ed altri fenomeni di perdita di suolo legati alle intense precipitazioni (scivolamenti, sovrascorrimenti, colate) sono stati oggetto di una Convenzione tra l’Assessorato Territorio, Ambiente e Opere Pubbliche della Regione Autonoma Valle d’Aosta ed il DIVAPRA (Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali) dell’Università di Torino sul tema della vulnerabilità del suolo a fenomeni di dissesto superficiale (alcuni decimetri di profondità) (figura 5). Tale collaborazione ha prodotto, per alcuni siti pilota, una valutazione delle criticità pedoambientali riportata su base cartografica, individuando una scala crescente di vulnerabilità potenziale dei suoli.

Suoli più freddi in un mondo più caldo?

La pratica delle attività alpinistiche sulle Alpi rappresenta un’importante settore dell’offerta turistica delle località di montagna. Negli ultimi anni, però, i cambiamenti climatici in atto hanno condizionato la praticabilità e l’accessibilità di numerosi itinerari alpinistici. Si tratta di effetti legati all’arretramento ed all’ablazione delle unità glaciali ed alla degradazione del permafrost, con conseguenti crolli di roccia. Tali fenomeni interessano in modo particolare le aree a quote più elevate. Se si considerano invece le aree a quote inferiori, ed in particolare quelle comprese fra i 1200 e 1500 m, uno degli effetti più appariscenti del cambiamento climatico in atto sembra essere legato ad una generale diminuzione della permanenza della neve al suolo, con importanti conseguenze sulla qualità del suolo e delle coperture forestali che caratterizzano questa fascia altitudinale. Lo spessore ed il periodo di accumulo del manto nevoso esercitano infatti una notevole influenza sulla temperatura del suolo. La neve è un mezzo poroso ed i cristalli di neve imprigionano l’aria che, in relazione alla sua bassa conducibilità termica, è in grado di isolare il suolo dall’ambiente esterno. In particolare è stato evidenziato come un manto nevoso di almeno 40 cm di spessore, accumulatosi presto nella stagione invernale, sia in grado di isolare il suolo dall’ambiente circostante, mantenendone la temperatura prossima a 0 °C. Per il flusso continuo di calore emanato dalla Terra, la neve che si trova a contatto con il suolo è riscaldata fino al suo punto di fusione o almeno molto vicino a questo limite. La neve al suolo si comporta quindi come un cappotto o una coperta, ed i nivologi utilizzano comunemente il termine manto nevoso (manteau neigeux in francese, schneedecke in tedesco, snowcover per gli anglosassoni, capa de nieve in spagnolo che letteralmente significa coperta di neve). Il ritardo nell’accumulo nevoso tardo autunnale o addirittura l’assenza di manto nevoso, come si è verificato negli ultimi anni lungo l’arco alpino italiano, determinano invece un minor effetto isolante, con una conseguente riduzione della temperatura del suolo ed un aumento dei cicli gelo/disgelo. La basse temperature che si registrano nel suolo possono inibire l’attività dei microrganismi e conseguentemente le velocità dei processi di trasformazione dei nutrienti presenti nel suolo. I meccanismi che entrano in gioco sono molto complessi ma possiamo comunque affermare che in questo modo il suolo riduce la sua capacità di rifornire di elementi nutritivi le specie vegetali, gia sotto stress a causa dell’azione del gelo sull’apparato radicale. La riduzione delle precipitazioni nevose, ad esempio, sembra essere responsabile
della moria dell’Acero saccarino (Acer saccharinum) in Canada ed alcuni ricercatori hanno evidenziato come sul lungo periodo la resistenza agli stress da congelamento potrà rivestire un ruolo fondamentale nel condizionare la composizione specifica dei popolamenti forestali nelle regioni temperate. Colder soils in a warmer world, suoli più freddi in un mondo più caldo, è questo l’efficace slogan coniato da alcuni ricercatori statunitensi per definire questo fenomeno che conferma come i cambiamenti climatici possano avere una sensibile influenza sul funzionamento degli ecosistemi, anche se con effetti spesso non cosi spettacolari, come ad esempio il ritiro dei ghiacciai, ma non per questo meno importanti.
   
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