LA TERRA COME TERMOMETRO
L’innalzamento delle temperature potrebbe determinare vere e proprie migrazioni vegetali, con conseguenze (positive o negative) ad oggi poco prevedibili.
BIODIVERSITÀ E CAMBIAMENTI CLIMATICI
di Chantal Trèves
In un momento in cui il tema del cambiamento climatico è analizzato da tante diverse angolazioni e sembra sempre più presentarsi come il problema che, insieme a quello della disponibilità energetica, condizionerà
il futuro prossimo dell’umanità, pare utile iniziare a valutare come questo fenomeno possa condizionare anche la biodiversità degli ambienti naturali delle nostre montagne. Infatti, gli studiosi concordano sul fatto che uno degli ambienti più minacciati è quello della montagna, dove una elevata percentuale di specie (30%) è a rischio di estinzione anche con un incremento di temperatura media annua inferiore ai 3 °C. Gli effetti dei cambiamenti climatici, inoltre, si andranno a sommare alle altre pressioni antropiche già presenti e derivanti principalmente da un continuo incremento di intensità nell’utilizzo dei suoli e nella conseguente distruzione di habitat. Diventa perciò urgente e imperativo stabilire in quale misura i cambiamenti climatici influiscono sulla biodiversità e per poter definire le politiche e le misure necessarie per cercare di ridurre un impatto che sembra delinearsi come devastante. È risaputo che la Valle d’Aosta ospita una ricchezza di specie molto elevata in rapporto alle sue ridotte dimensioni. Ciò è dovuto principalmente al suo essere territorio di montagna, dai dislivelli marcati e rilievo complesso, collocazione intralpina, posizione di cerniera tra diverse regioni biogeografiche. Questa complessità rende le nostre montagne veri e propri centri di ricchezza genetica, specifica ed ecosistemica e impone agli uomini che le abitano la responsabilità di garantirne la perpetuazione. Il principale fattore di minaccia sulla biodiversità dell’insieme dei fenomeni fisici che sono in genere raggruppati sotto il termine di cambiamento climatico è attribuibile non solo all’incremento di temperatura e alla conseguente variazione delle stagioni ma anche ad altri fattori quali
l’aumento di CO2 in atmosfera e nei cicli biogeochimici. Conseguentemente, i cambiamenti nei sistemi atmosferico, climatico e biofisico osservati nel corso del XX secolo hanno portato verso una regressione sensibile dei ghiacciai, una riduzione delle giornate di gelo, un probabile scioglimento localizzato del permafrost montano, una diversa distribuzione delle precipitazioni e l’aumento degli eventi estremi. La Strategia Britannica sull’adattamento della biodiversità al cambiamento climatico (nota 1) individua le seguenti tipologie di cambiamento:

• cambiamenti nella fenologia (nota 2) che possono portare a una perdita di sincronismo tra le specie;

• cambiamenti nella distribuzione delle specie;

• cambiamenti nella composizione delle comunità;

• cambiamenti nelle funzioni degli ecosistemi;

• perdita di spazio fisico causato dall’innalzamento marino e dall’incremento delle tempeste.

Volgendo lo sguardo in particolare alla situazione degli ambienti montani, le conseguenze individuabili sulle specie sono legate dunque ad una maggiore disponibilità di condizioni favorevoli allo sviluppo vegetativo con ricadute sensibili sulla fenologia, la riproduzione delle specie animali e la distribuzione dei popolamenti: inizio e fine della fioritura, cambiamento dei regimi migratori, variazione della distribuzione della fauna e della vegetazione, cambiamento dimensionale degli individui.
In generale, è stato osservato per le Alpi che la flora nivale pare arricchirsi rapidamente. Numerose sono
le osservazione di incremento del numero di specie in questo orizzonte vegetazionale. L’incremento di ricchezza specifica sarebbe registrato in 21 su 30 tra le cime delle Alpi poste sotto controllo, rispetto alle osservazioni di 50-100 anni or sono (Grabherr et al., 2002). Uno studio condotto da WWF con l’Università di Pavia ha messo a confronto la flora alpina della Valtellina (nota 3) a circa 45 anni di distanza; i risultati evidenziano la migrazione di 56 specie vegetali, tra le quali si conta lo spostamento verso l’alto della Genziana bavarese, una pianta legata agli ambienti nivali, e l’arrivo dal basso di specie di salici arbustivi finora non presenti a queste quote e dell’Epilobio angustifolio, specie pioniera dell’espansione del bosco.
Pare proprio che le specie degli ambienti montani siano particolarmente vulnerabili al cambiamento climatico; le ragioni sono così sintetizzabili:

• probabilmente sono più sensibili della vegetazione di bassa quota all’incremento della CO2;

• sono caratterizzate da piccoli range climatici, severe condizioni climatiche e popolazioni isolate;

• sono incapaci di migrare a causa della mancanza di aree adatte a quote maggiori.

Con l’incremento della temperatura, alcune specie possono migrare verso l’alto andando a competere per lo spazio con specie adattate a climi più rigidi, le quali sarebbero minacciate, in qualche caso, anche di estinzione. Le piante alpine infatti presentano una elevata specializzazione e adattamento a condizioni di grande povertà di nutrienti. Esse potrebbero non reggere lo stress determinato dall’arrivo di specie più robuste in un contesto in cui la rusticità non è più l’elemento che condiziona la sopravvivenza degli individui ed essere quindi perdenti nella competizione con specie a crescita più rapida; inoltre, il loro tentativo di migrare verso territori più freddi potrebbe non avere successo per mancanza di spazio disponibile: verso la cima delle montagne lo spazio si riduce. Il cambiamento nella distribuzione delle specie è stato tra i primi effetti ad essere previsto e descritto ed è oggetto di un programma di monitoraggio internazionale denominato GLORIA (nota 4), cui partecipa anche la Valle d’Aosta, dove ARPA e Parco Naturale del Mont Avic collaborano per i rilevamenti necessari in un sistema di stazioni appositamente selezionate. In questo quadro fosco, uno sprazzo di luce può darlo la constatazione che i territori montani si caratterizzano per la presenza di climi locali e di habitat specifici in cui specie endemiche possono riuscire a sopravvivere anche se altrove i cambiamenti climatici superano i limiti di tolleranza. La possibilità di riuscire a conservare stazioni isolate di specie già attualmente poco diffuse o addirittura rare o particolarmente rappresentative,
come le endemiche, non è tuttavia una soluzione che ci possa oltremodo tranquillizzare. L’innalzamento delle temperature e l’estensione della stagione vegetativa hanno creato condizioni favorevoli per la risalita
verso orizzonti superiori di piante che vengono così a competere con quelle locali, minacciando in particolare proprio le endemiche (nota 5). Lo spettro dell’estinzione è tanto più inquietante quanto più è ridotto lo spazio disponibile idoneo alla sopravvivenza delle specie. Se il fenomeno del riscaldamento climatico prosegue e si amplifica, si può ipotizzare un innalzamento dei limiti ecologici altitudinali. Un riscaldamento da 3 ° a 4 °C potrebbe implicare un innalzamento dell’ordine di 600-700 m. Nelle Alpi, ogni orizzonte biologico verrebbe a prendere il posto di quello che attualmente lo precede in altitudine. Le superfici occupate dall’orizzonte alpino rischiano di diminuire sensibilmente e di non essere presenti in
tutti i settori dove ora può essere osservato. Al contrario, la media montagna potrebbe trovarsi arricchita dalla risalita di specie dai livelli inferiori. Queste migrazioni presuppongono tempi molto lunghi di riequilibrio: se la risalita delle specie animali può avvenire in tempi rapidi, la crescita degli alberi e la maturazione dei suoli richiedono un intervallo di tempo plurisecolare. L’apparizione di nuovi adattamenti non è esclusa ma supporrebbe un tempo infinitamente più lungo di quello richiesto dalle migrazioni di quota (nota 6). Oltre alle migrazioni verticali avranno anche importanza le traslazioni e le migrazioni da regioni diverse di piante ed animali. Ciò da un lato potrebbe implicare l’arrivo di specie competitive e invasive ma anche la possibilità di offrire nuovo territorio a specie a rischio di estinzione. L’estensione delle stagioni vegetative o l’anticipo della riproduzione, uniti alla tendenza a migrare verso l’alto di alcune specie hanno come conseguenza anche la perdita di sincronismi fondamentali nelle dinamiche di popolazione. È probabile che nei raggruppamenti vegetali si creino nuove combinazioni di specie derivanti da migrazioni verso l’alto delle specie con caratteristiche favorevoli al loro sviluppo nelle condizioni mutate dal cambiamento in corso. Ciò può indurre sugli ecosistemi e sul paesaggio conseguenze ancora da esplorare a fondo da parte della comunità scientifica. L’anticipo della ripresa vegetativa, in primavera, sembra poter avere effetti importanti anche sulle popolazioni animali a livello di successo riproduttivo. Alcuni grandi erbivori come lo stambecco potrebbero avere problemi nell’allevamento della prole qualora le qualità nutrienti dei pascoli cambiassero per effetto di una anticipazione della fioritura delle piante foraggere rispetto al periodo delicato di avvio dei piccoli ad una alimentazione erbacea. Si tratta di ipotesi attualmente allo studio degli specialisti, ad esempio nel Parco Nazionale Gran Paradiso; ipotesi comunque plausibili.
La migrazione delle specie potrà avere anche un altro effetto non trascurabile: la presenza di nuovi parassiti
e piante infestanti con conseguenze importanti non solo sulla biodiversità delle specie di ambiente naturale ma sull’agricoltura e sulla salute umana. Si pensi, alla rapida diffusione in questi ultimi anni della zanzara tigre. Non è attualmente possibile conoscere né le dimensioni della risposta degli ecosistemi al cambiamento climatico, né i tempi di attuazione. Le capacità di adattamento (resilienza) delle specie e degli ecosistemi non sono così ben conosciute e potrebbero anche cambiare in futuro; previsioni precise non possono, allo stato, essere fatte. È comunque evidente che cambiamenti di questo tipo portano verso una trasformazione del paesaggio significativa che potrà avere conseguenze ad esempio sul livello di apprezzabilità turistica, con le implicazioni economiche ad essa legate. Almeno in questa fase, l’argomento
dovrebbe essere affrontato dalla comunità scientifica e dai decisori da punti di vista diversi ma comunque
volti a definire gli elementi essenziali per conoscere e consentire una reazione efficace a quanto sta accadendo, che potremmo sintetizzare nei seguenti quattro quesiti:

• quali sono gli effetti diretti e indiretti del riscaldamento climatico su piante e animali;

• in che modo questi rispondono a questo fenomeno (il cosiddetto adattamento);

• quali possono essere le conseguenze dell’adattamento delle specie sugli ecosistemi che le contengono e in particolare sui servizi che questi rendono all’uomo;

• quali sono le politiche da mettere in atto per contrastare la perdita di biodiversità, favorire l’adattamento delle specie, assicurare il mantenimento dei servizi ecosistemici.


Note:

1 DEFRA, 2007.

2 Studio dei fenomeni naturali che accadono stagionalmente quali fioriture e migrazioni.

3 http://beta.WWF.it/ - 27/4/2007 Aumentano le temperature, flora alpine in fuga verso l’alto.

4 GLORIA (Global Observation Research Initiative in Alpine Environments), www.G.L.O.R.I.A..ac.at

5 EEA – Epaedia: Mountain distribution of plants.

6 Ozenda, 2002.


Bibliografia:

- IPCC, – Les Changements climatiques et la biodiversité. Document technique V., 2002

- COM(2006) 216 - Communication from the Commission – Halting the Loss of Biodiversity by 2010 – and Beyond

- IPCC - Climate Change 2007: Impacts, Adaptation and Vulnerability. Working Group II. Fourth Assessment Report

- IPCC - Climate Change 2007: Mitigation of Climate Change. Working Group III. Fourth Assessment Report

- DEFRA – England Biodiversity Strategy – Towards adaptation to climate change. Final Report tio Defra for contract CR0327. May 2007

- C. Parmesan, 2006 - Ecological and Evolutionary Responses to Recent Climat Change. Ann. Rev. Ecol. Evol. Syst. 2006.37: 637-669

- GLOCHAMORE - Global Change in Mountain Regions (una strategia globale di ricerca).

- Ozenda P., 2002 – Perspectives pour une géobiologie des montagnes. Presses Polytechn. et Univers. Romandes, Lausanne, 195 p.

- Ozenda P., Borel J.L., 2006 – La végétation des Alpes occidentales, un sommet de la biodiversité. Braun-Blanquetia, vol. 41, 45 p.
   
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