Aborto: Uaar,diritto alla privacy non può essere a pagamento

12:34 - 30/09/2020 


(ANSA) - ROMA, 30 SET - "Non pensiamo a presentare esposti, il nostro obiettivo è verificare se ci siano oltre alla violazione del Gdpr altri spunti per impugnare il regolamento e le convenzioni che ne derivano. Ci sembra che ci siano gli estremi. E' sconcertante che sia una realtà presente in molti Comuni italiani". Così all'ANSA la responsabile Azioni legali dell'Uaar - Unione atei agnostici razionalisti Adele Orioli, in merito alla vicenda della donna di Roma il cui feto è stato sepolto in un cimitero con una croce che ne riportava il nome. "Il procedimento - aggiunge - potrebbe anche essere formalmente legittimo, ma eticamente no. La 194 impone una tutela che ci sembra non sia stata rispettata, a prescindere dal consenso. C'è un altro aspetto discriminatorio dell'attuale regolamentazione - prosegue - l'alternativa è occuparsi personalmente dello smaltimento, cioè con un esborso economico. Questo crea un diritto a pagamento e il diritto all'anonimato non può essere a pagamento. Di fatto però oggi a Roma lo è". Orioli afferma di non conoscere la protagonista della vicenda, ma di essere stata contattata da persone che la conoscono: "L'Uaar si è sempre occupata delle ingerenze specifiche confessionaliste - spiega - Le sepolture per beneficenza del Comune di Roma sono affidate in convenzione alla Caritas e a Sant'Egidio. La vicenda ha scoperchiato che di default c'è questa pratica criminalizzante, che è non solo seppellire con la croce ma addirittura di indicare il nome della madre. Una consuetudine che dura da anni: la convenzione con Caritas e S.Egidio e con l'associazione Difendiamo la vita con Maria è stata rinnovata nel 2019. A Torino, nel 2015, un caso identico fu risolto attribuendo nomi fittizi e cambiando il regolamento. Le istituzioni sono laiche. Ci preme indagare poi - afferma ancora Orioli - se questa apposizione del nome della madre viene fatta a discrezione dell'Asl, perché ci risulta che sia il S.Camillo che lo ha richiesto, ci interessa sapere quanto può essere ampia questa discrezionalità. C'è il Gdpr che tutela la privacy: le era stato fatto presente cosa sarebbe successo, dunque si tratta di un consenso non del tutto disinformato - conclude - ma non c'è una vera informazione alle pazienti nè un intento di protezione delle pazienti stesse". (ANSA).


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