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Là où résonnent les tambours

Un concerto senza applausi, un incontro tra due culture. Nostalgie e ricordi.

Un viaggio nel Terzo Mondo, nell’Africa Nera, in Burkina Faso. Tra tutti i paesi africani, uno dei meno conosciuti, dei più lontani dal nostro immaginario. Una delle classiche nazioni che occorre cercare sull’atlante per poterla situare. Eppure è proprio lì, in Burkina Faso, che l’Etno Sfom Orchestra ha preso vita, grazie al progetto Aniké. Un’amicizia, nata grazie alla musica, tra Marco Giovinazzo, docente di percussioni Sfom, Samanà e Kassoum Diarra, due griots burkinabé (artisti-musicisti con il compito di conservare la tradizione orale degli antenati), ha fatto sì che si creasse una collaborazione tra due diverse culture.
Erano una cinquantina i musicisti dell’Istituto Musicale che, partiti domenica 28 dicembre di prima mattina, sono arrivati a Bobo-Dioulasso, la seconda città del Burkina Faso, il giorno seguente, dopo un viaggio lunghissimo in aereo e pullman.

Tutt’uno con la danza - Un giorno dopo l’arrivo, i musicisti burkinabè si sono aggiunti ai valdostani. È stata una convivenza in tutto e per tutto: venivano condivisi i pasti, i letti, i bagni. Immediatamente sono iniziate le prove per il concerto. Il progetto stava finalmente prendendo vita, l’orchestra comprendeva europei ed africani: i primi con le parti e i leggii davanti agli occhi, i secondi senza nulla. Entrambi i gruppi avevano lavorato i pezzi a casa propria, bisognava solo capire quando entrare, quante volte ripetere un ritornello, limare questi aspetti tecnici. La convivenza è stata facile sia con i ragazzi, che erano percussionisti, sia con le ragazze, che facevano parte del coro, grazie soprattutto alla spontaneità e alla socievolezza degli africani. I più piccoli, che non hanno esitato a saltare in braccio a tutti sin da subito, erano interessati soprattutto ai capelli lisci dei bianchi.
Il primo concerto si è svolto a Bobo-Dioulasso il 3 gennaio e il giorno dopo c’è stata la replica a Ouaga, la capitale. Il repertorio era formato da brani di musica tradizionale africana: alcuni sono stati suonati esclusivamente dall’orchestra africana, uno solo dalla nostra e altri tre da tutta l’orchestra al completo. Inoltre, per il concerto, i valdostani si sono cimentati in un ballo tradizionale, ma raggiungere il livello dei ragazzi africani, che sembravano essere un tutt’uno con la danza, è molto difficile.

E gli applausi? - L’impressione dopo il concerto è stata, se così si può dire, sconcertante. Il direttore e i musicisti europei non sono riusciti a capire se fosse piaciuto o meno, perché il pubblico non applaudiva, se non per brevissimi istanti. Alla fine del concerto, gli africani sono rimasti seduti al loro posto, senza applaudire né alzarsi. Bene, solo scendendo dal palco si è toccato con mano l’enorme successo che l’evento aveva avuto. Tutto il pubblico, contadini vestiti con l’unico abito buono, studenti universitari, c’era persino un ministro, tutti si sono congratulati con gli orchestrali. La musica era piaciuta, il progetto aveva lasciato il segno, si parlava già di ripetere l’iniziativa il prossimo anno. Il pubblico africano non è abituato al tipico concerto europeo; per loro la musica coinvolge artisti e spettatori, il fatto di non applaudire, dunque, è solo un’abitudine, sono rimasti seduti anche dopo la conclusione perché lo spettacolo era piaciuto e avrebbero volentieri ascoltato ancora qualcosa.

Nostalgie - La cultura dell’Africa è completamente diversa dalla nostra; è stato difficile per noi valdostani, una volta tornati a casa, riabituarci alla vita di tutti i giorni. Gli africani non hanno mai fretta: se si prende un taxi si può incappare nella probabilità di allungare il percorso perché l’autista deve andare a casa a posare qualcosa; per passare le varie dogane tra le città occorre aspettare un sacco di tempo; le ore di attesa negli uffici pubblici possono essere eterne. Non c’è mai fretta, il tempo sembra non scorrere mai, nessuno si arrabbia o si mette a urlare. Noi, i protagonisti di questo viaggio in un’altra cultura, abbiamo imparato che “là où résonnent les tambours… il y a la paix”.

Beatrice Crea
Studentessa
Scuola di Formazione Orientamento Musicale di Aosta

 

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