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Dalla gravitas alla drammatizzazione

La drammatizzazione narrativa diventa lo strumento fondamentale per appassionare gli alunni allo studio delle lingue classiche.

La didattica, oggi, è più dinamica, attenta ai problemi e agli interessi degli allievi, soggetti ad innumerevoli impulsi e sollecitati da stimoli più cogenti e, per certi versi, più coinvolgenti. La tecnologia si impone sempre di più, a tutti i livelli; conquista spazi ogni giorno più ampi, soprattutto tra i giovani e i ragazzi. Anche la didattica, in particolare delle lingue classiche, deve muoversi di pari passo, sviluppare nuove tecniche, strategie efficaci, innovative; deve avere il coraggio di percorrere nuove vie, messe a disposizione dei docenti dalla ricerca scientifica e dall’esperienza quotidiana.
La didattica è un’arte e, come tutte le arti, si acquisisce con lo studio e la pratica; si acquisisce in particolar modo con l’esperienza, con il contatto diretto con gli allievi, con i loro problemi, con i loro interessi. Il docente, interessato a trasmettere il sapere insito nelle lingue classiche, non può prescindere da questo binomio.

L’allievo al centro

La didattica, di solito, è intesa come farraginoso complesso di regole e norme da applicare puntualmente, appena si mette piede in cattedra. Tutti sanno parlare di didattica, ma pochi la conoscono veramente e, al momento opportuno, la mettono in atto. La concentrazione sulla didattica porta immancabilmente a trascurare la personalità degli allievi, considerati ricettacoli passivi, nei quali si suole versare la dottrina spesso male appresa e sovente elaborata nel peggiore dei modi dal docente.
È normale e inevitabile il divario tra il docente e il discente, ma se non si adopera una strategia coinvolgente, che ponga al centro dell’attenzione e della scena proprio il discente, questo diviene sempre più profondo, e l’uno è all’altro estraneo.
Inevitabile è anche la diversità di vedute, di esperienza, per cui non di rado, tra discente e docente, si crea uno iato e i due mondi non riescono a comunicare, ad interagire, a trovare un punto sul quale convergere e muoversi per un’intesa comune. Scopo e fine della didattica e dell’insegnamento è il conseguimento di risultati positivi a breve, a medio e lungo termine; avvicinare i discenti al complesso e sollecitante mondo della conoscenza e della cultura, nonostante molti docenti siano convinti che l’insegnamento sia solo trasmissione di dati, di date, di formule, di concetti più o meno elaborati, di eventi e riflessioni spesso poco attinenti agli interessi immediati del discente che, non di rado, assume un atteggiamento passivo. Compito dell’insegnante non è solo veicolare quanto ha appreso, ma, dopo lunga riflessione e assimilazione di contenuti, interessare alla scoperta e spingere alla curiosità il discente, perché trovi una ragione ad apprendere quanto gli viene trasmesso.

Svecchiare la didattica

Per conseguire, quindi, effetti lusinghieri nella trasmissione del sapere di sua competenza, non sarebbe disdicevole se l’insegnante deponesse la veste cattedratica ed indossasse per un po’ la maschera del giullare e, come un attore professionista, si servisse di espedienti efficaci per avvincere l’attenzione dell’allievo. Per cui la drammatizzazione, più che nei tempi passati, oggi riveste un ruolo particolare, perché gli allievi, come è stato ampiamente dimostrato da studi scientifici, hanno capacità e durata di concentrazione molto limitata e spesso, nelle ultime ore di lezione, la concentrazione cala sensibilmente e si interrompe dopo brevissimo tempo. Per sopperire a questa naturale disposizione e tener desta l’attenzione bisogna ricorrere anche a mezzi che, qualche tempo fa, erano ritenuti poco idonei alla gravitas professorale. La didattica va svecchiata, adeguata ai tempi.
A tal proposito il professore può prendere esempio, nonché insegnamento, dagli attori e dai presentatori dei vari programmi televisivi. Questi, per tenere il pubblico incollato davanti al teleschermo, non esitano a drammatizzare quanto dicono e riescono, grazie alla consumata esperienza, a veicolare in brevissimo tempo idee e concetti che un allievo anche bravo e capace apprende con fatica e sperpero di tempo. Questo espediente, sfruttato con abilità, costituisce un ottimo sussidio per veicolare nelle menti e nelle coscienze degli allievi idee e concetti, in altri modi aridi e incomprensibili.
La drammatizzazione, come ho sperimentato da qualche anno, acquista importanza particolare nella didattica del latino e del greco soprattutto con allievi refrattari a seguire e ad assimilare alcune norme grammaticali e concetti particolarmente complicati, come il periodo ipotetico e le completive di vario genere e valore, per rendere immediatamente percepibili le cause prossime e remote che hanno scatenato la guerra di Troia; per spiegare la presenza a Roma di Livio Andronico, di Plauto o Terenzio, Ennio o Nevio; per comprendere le conquiste e l’uccisione di Giulio Cesare, il primo triumvirato, e così via.

Bufera sulle lingue classiche

Buona parte della società, oggi, dopo abile propaganda di esperti mistificatori e cultori dell’effimero e di una modernità piuttosto becera, considera l’apprendimento di queste due discipline una perdita di tempo e quanto queste trasmettono ciarpame di nessuna importanza perché gravano sulle menti degli allievi e li sottraggono a discipline più importanti e utili.
Questi presupposti, da una quarantina d’anni, hanno scatenato sul latino e sul greco una violenta bufera e, di conseguenza, l’inesorabile mannaia del boia. Ciò ha portato non pochi pedagogisti e ricercatori ad affermare e proporre di abolire il latino e il greco nei licei e relegarli solo all’insegnamento universitario, come appannaggio di menti elette che potranno in quella sede sviluppare e sfoggiare il loro acume nelle speculazioni e nelle elucubrazioni filologiche. La proposta non sarebbe da respingere se la nostra scuola fosse strutturata su basi e parametri diversi. L’abolizione del latino e del greco dalle scuole secondarie è stata avanzata e caldeggiata solo per livellare verso il basso la formazione culturale degli allievi. Osservo, per inciso, che la cultura è data dall’assimilazione e dalla rielaborazione personale dei contenuti necessari. E la proposta tende ad eliminare dal curriculum scolastico proprio i contenuti trasmessi dal latino e dal greco, con poca attenzione alla formazione umana e culturale degli adolescenti. È probabilmente frutto di poca esperienza, perché sfugge a quanti hanno avanzato la proposta che gli studi universitari, almeno così come sono strutturati oggi, non possono offrire, se non in modo sommario e approssimativo, gli elementi basilari della lingua che si apprendono, dopo un adeguato tirocinio, nelle scuole di propedeutica agli studi universitari.

Una nuova cattedra

Altro problema di non poca importanza è che sovente approdano nelle classi, per inveterata tradizione familiare o per ambizione, elementi non predisposti al particolare tipo di apprendimento offerto dal liceo classico. Anche per questi allievi, vittime di un sistema familiare poco attento alle vere aspirazioni e alle reali possibilità dei figli, l’insegnante deve, in un certo qual senso, sopperire a quanto è naturalmente negato loro ed escogitare un rimedio che attutisca o elimini, in parte, le carenze di base.
Perciò, per un approccio meno traumatizzante, si ricorre alla drammatizzazione, coinvolgendo anche i refrattari e poco inclini alle due discipline. Si sa che l’allievo, quando è sollecitato e si vede valorizzato, apprende più facilmente norme e concetti anche poco comprensibili a primo approccio.
È certamente più interessante e proficuo presentare il giudizio di Paride prendendo le mosse da quanto scrive Luciano nello spigliato e spiritoso dialogo Il giudizio delle dee, con interpreti idonei che proiettano gli allievi nel concorso di miss Italia o miss Universo, con giudici attenti e attratti dalla bellezza femminile.
Con questo espediente si richiama e ferma l’attenzione degli alunni sul fatto che gli antichi, per certi versi, avevano precorso certi fenomeni, oggi presenti in maniera massiccia nella loro esperienza quotidiana.
L’allievo, inoltre, in certe situazioni, è particolarmente sensibile ad interpretare ruoli e rendere sfumature che a volte sfuggono anche all’insegnante; si sente orgoglioso e stimolato se si proietta in ruoli consoni alla sua natura. La sua valorizzazione diventa elemento vitale ed offre un valido contributo perché lo trasforma da soggetto passivo ad elemento attivo. In questo modo la via per apprendere e trasmettere alcuni concetti è più breve ed efficace, perché il discente convoglia l’attenzione sul dramma, su quanto viene detto, senza lasciarsi trascinare altrove.
Anche il complesso sistema del periodo ipotetico può essere efficacemente illustrato e spiegato con un’accorta drammatizzazione della protasi e dell’apodosi. In questo aspetto della lezione il professore deve porre particolare attenzione agli esempi che propone sia in latino sia in greco. Nella spiegazione di regole particolarmente impegnative e, al primo approccio, alquanto difficili, efficace è risultato imbastire opportuni esempi, nei quali i protagonisti sono gli allievi più inclini alla distrazione.
In questo modo, oltre a leggere e capire quanto propone la grammatica, devono porre maggiore attenzione per rendere in latino e in greco ciò che hanno letto e compreso.
La lezione, con l’apporto fattivo degli allievi imperniato sulle loro capacità comunicative, diventa interattiva e lo studio assegnato per casa più accessibile e meno dispersivo, perché semplificato e reso con la drammatizzazione immediatamente comprensivo. Un gesto vale spesso più di un lungo e articolato discorso cattedratico, privo d’anima, di mordente e d’immediatezza.
Mi sono infatti accorto più volte, nel corso della mia esperienza di insegnante, che non occorre solo preparare una lezione brillante, precisa nei dettagli, accurata nelle informazioni; esporre agli allievi quanto appuntato e preparato con serietà, professionalità e proprietà di linguaggio. Spesso una lezione così impostata riesce fredda, distaccata, monotona. La comunicazione, invece, deve essere semplice, sentita, colloquiale, con frequente ricorso alla drammatizzazione, per tener desta l’attenzione degli ascoltatori: la lezione, infatti, è più efficace solo se è partecipativa e coinvolge emotivamente e intellettualmente gli ascoltatori i quali non devono essere considerati solo ragazzi da indottrinare, ma persone fornite di propria personalità e autonomia critica. Gli alunni, infatti, sono persone cui viene veicolato un messaggio mediante schemi e norme da assimilare e rielaborare in modo personale.
L’esposizione monotona, fredda, calcolata e impostata secondo rigidi schemi professorali può, forse, essere accettata e condivisa in un ristretto ambiente filologico, con ascoltatori di ben altra levatura, in possesso di una formazione culturale solida ed orientati verso obiettivi chiari e condivisi. Ma non è assolutamente indicata nell’ambiente scolastico, davanti a ragazzi poco più che adolescenti i quali desiderano un’esposizione viva, brillante, coinvolgente: vogliono toccar con mano quanto realmente sente il professore, nel quale vedono l’interprete qualificato sia del messaggio che si aspettano come delle conoscenze che desiderano apprendere.
La cattedra, contrariamente a quanto si credeva tempo addietro, non è più il pulpito dal quale il professore, depositario di un sapere esclusivo, trasmette come vangelo e dogma quanto ha appreso e, forse acriticamente, appuntato. La cattedra, invece, nella nuova ottica diventa la scena, sulla quale il professore, senza scadere nell’istrionesco, interpreta quanto vuol trasmettere agli allievi; veicola il messaggio oppure la regola con chiarezza, semplicità, efficacia, con tono di voce caldo, mutevole, calmo ed incisivo; a seconda delle circostanze, deve coinvolgere il giovane ascoltatore, senza annoiarlo o fuorviarne l’attenzione. Non deve mai dimenticare di coinvolgere l’allievo. Particolare cura deve porre nella scelta del linguaggio, nell’ortoepia, nell’impostazione della voce, nello sguardo: gli ascoltatori devono tutti aver la sensazione che il professore stia guardando tutti e stia parlando con ciascuno di loro. Per ottenere la massima attenzione deve spesso rinunciare al suo posto dietro la cattedra e aggirarsi tra i banchi, magari scherzando con gli alunni, i quali dalla risata, spesso fragorosa ed incontrollata, traggono un respiro, si riprendono e seguono con rinnovata attenzione.

Orazio Antonio Bologna
Docente
Liceo Classico Giulio Cesare - Roma

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