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Il corpo racconta

Come coniugare corpo, cultura ed emozioni? Coinvolgendo i ragazzi nella realizzazione
di uno spettacolo che parli di loro.

Avendo insegnato per anni educazione fisica, praticato vari sport a diversi livelli e danzato, recitato, suonato i tamburi, fatto muovere bambini, adolescenti, adulti e anziani…sono obbligata ad amare il corpo. Mi piace il corpo, lo adoro.
A scuola, adoro osservare i movimenti coordinati, la flessibilità, la velocità e l’elevazione, ma anche i piedi e le braccia che non riescono ad allinearsi, i toraci che non si espandono, le schiene rigide e le mani che non accettano il contatto perché tutti, indistintamente, mi raccontano delle storie, sono delle storie. Nei gesti dei miei studenti leggo la loro relazione col mondo, la loro educazione, il loro ambiente, la loro costituzione psicologica, la loro biografia. Essi mi comunicano, attraverso il movimento, la loro energia vitale, ad un tempo fisica e mentale, muscolare ed emozionale. Il loro corpo mi parla e mi racconta, usando un suo linguaggio di segni dinamici portatori di propri significati e di messaggi.

Messaggi corporei - Nella nostra quotidianità i messaggi corporei ricevono poca attenzione, fatta eccezione per il linguaggio del corpo dei più piccoli. Il cosiddetto corpo vissuto continua a subire una sorta di svalutazione a tutto vantaggio della comunicazione a livello verbale. Eppure le parole, che esprimono sentimenti, emozioni o determinati stati mentali e spirituali, sfiorano solo marginalmente la profondità d’espressione di un atteggiamento corporeo che, in tutta la sua brevità, può dire di più che intere pagine di descrizione verbale. Se consideriamo che i momenti più emozionanti della nostra vita ci lasciano generalmente senza parole, è più facile capire come il corpo si prenda carico di esprimere ciò che altrimenti sarebbe inesprimibile.
Anche i bisogni espressivi dei nostri giovani non possono prescindere dal corpo e dai suoi codici. Questo è molto evidente in ambito educativo, dove spesso s’impone la necessità di attivare linguaggi diversi e più coinvolgenti, capaci di dare spessore e corpo alla parola per renderla effettivamente comunicativa.

La traduzione scolastica - Tutto questo si può tradurre a scuola creando contesti dove percezioni, sensazioni, emozioni si possano raccontare attraverso un disegno, una produzione musicale, un grande collage, una danza collettiva, una canzone, dei giochi, delle improvvisazioni teatrali, delle forme di animazione, il contatto del corpo. Ed è proprio nel favorire il contatto con un corpo, atto dal forte valore cognitivo, affettivo, relazionale e comunicativo, che l’educazione fisica scolastica si colloca tra le discipline che si rivolgono alla totalità della persona. Lo sappiamo bene noi docenti di ginnastica, anche se ci siamo presi le gambe dei nostri studenti, mentre altri si sono tenuti la testa ed altri ancora l’occhio, senza escludere la mano.
Noi educatori fisici e sportivi navighiamo spesso inconsapevoli lungo un canale privilegiato: quasi immuni dalle pressioni esercitate dalla società e dalle famiglie sugli altri colleghi, possiamo spaziare in una grande pluralità di tecniche e di linguaggi e molti di noi ne hanno la competenza, senza paura di perdere del tempo. Quando facciamo muovere i nostri alunni, attiviamo le loro risorse nascoste, ancora di più, spalanchiamo le porte al loro immaginario.

Dal movimento al racconto

Là dove la parola a volte non riesce ad arrivare, anzi si ferma e può diventare angusta, il corpo in movimento, invece, può aprirsi e raccontare.
I miei studenti di una quinta prossima alla maturità (a.s. 2008/2009) avevano visto uno spettacolo di danze singolari. Un gruppo di giovani provenienti dalla Germania aveva rappresentato, nella palestra della nostra scuola, uno spettacolo di danza su temi d’interesse sociale quali la non violenza, l’uguaglianza dei sessi, delle razze, la pace, l’eliminazione della povertà. Il gruppo Diversity Dance Theatre era nato dal desiderio di comunicare a coetanei e non un messaggio di fratellanza universale e di rispetto delle diverse opinioni, culture e tradizioni. Attraverso le loro danze, tra le quali ricordo la Danza del razzismo, la Danza delle religioni, la Danza delle donne come portatrici di pace, quei giovani danzatori-attori volevano confrontarsi e riflettere sui temi proposti, partendo dalla frase: “No movement without meaning”. Per l’occasione avevano distribuito tra i presenti dei questionari. Ne ho conservato uno dove, alla domanda C, si chiedeva: “Attraverso una riflessione su ciò che hai visto durante lo spettacolo, quali messaggi e sensazioni hai ricevuto dal movimento e dall’espressione corporea dei danzatori?" E, alla F: “Il corpo è un mezzo di comunicazione di sé, com’ è usato dai giovani quale veicolo d’espressione?
Anche i miei studenti avevano ricevuto il questionario. “Prof! Vogliamo esprimere attraverso il movimento la nostra idea di libertà! Ci dà una mano?”.
Così aiutai quei giovani a costruire la loro Danza della libertà.
Ogni gesto, ogni espressione del viso, ogni postura s’impregnava di significato: “…in quest’angolo raccontiamo la solitudine, là il disorientamento, al centro danziamo la confusione delle idee e i condizionamenti… tieni le spalle più strette come se tu fossi costretto in uno spazio angusto… interrompi la tua respirazione come se tu stessi per soffocare… apriti, apri lo sterno, rilassa la tua mascella e sorridi, sei libera ormai… sdraiati a terra e cerca una posizione per raffigurare la lettera D!”.
La musica, proposta dai ragazzi, creava l’ambiente sonoro adatto alle emozioni, mentre il ritmo ne sottolineava l’intensità, resa visibile soprattutto dai movimenti. Il ricorso ad una pluralità di linguaggi era diventata per loro un’esigenza spontanea e naturale: avevano riscoperto la necessità di un’espressione varia ed articolata, si erano riappropriati della propria integrità! Avevano chiuso la danza scrivendo con i loro corpi la parola FREEDOM, di fronte ad una commissione d’esame senza parole… ma dall’entusiasmo facilmente leggibile nell’espressione dei volti.
In questa rappresentazione, il gruppo si esprimeva dando vita ad una narrazione spontanea frutto di stimoli reciproci, di esperienze e valori comuni. La trama del racconto era molto semplice: il sentimento di repressione vissuto da un gruppo di giovani portava inevitabilmente alla ricerca della libertà. Durante le lezioni di educazione fisica avevo sollecitato le loro risorse espressive attraverso attività di danza, espressione corporea e animazione teatrale.
Era il periodo in cui le commissioni ministeriali di saggi avevano lavorato sulla revisione dei saperi e, a conclusione dei lavori, avevano diffuso in tutte le scuole del territorio nazionale, in un’atmosfera di disorientamento generale, il documento relativo ai contenuti essenziali per la formazione di base. Ci fu un’indicazione che mi colpì in modo particolare, anche se non riguardava l’ambito motorio, perché diceva: “Accanto all’esperienza del lettore catturato dal testo si dovrebbero anche coinvolgere i giovani nell’esperienza del lettore partecipe-cooperante, del lettore-attore e, al limite, del lettore-autore”. Volli interpretare, esagerando, quell’indicazione come un invito alla ricerca dell’interazione fra i linguaggi della mente e quelli del corpo, all’abbattimento della tradizionale barriera fra processi cognitivi ed emozioni per far emergere un’idea di persona come sistema integrato. Quelle indicazioni mi piacquero al punto che, nelle mie lezioni, rincarai la dose di attività espressive, convinta di procedere nella direzione giusta. Fu così che misi in scena Il diario di Eva di M. Twain.

Dal racconto al movimento

In questo caso l’opera preesisteva al gruppo: si trattava di farla conoscere ai ragazzi, trasformarla in testo teatrale ed assegnare i vari ruoli. Era l’inizio di un atto creativo e, come tale, di una bellissima avventura che avrebbe coinvolto studenti e docenti nello stesso processo, con l’obiettivo comune di trasferire in scena contenuti di sé, stimolati a manifestarsi dall’approccio collettivo con i personaggi di M. Twain.
Oggi ho un giorno di vita è il titolo scelto per lo spettacolo. Eva scopre in età matura il proprio diario, una raccolta di ricordi e di immagini della sua vita nell’Eden. Attraverso la rilettura nasce dentro di lei l’idea di essere un esperimento e, come tale, si sente continuamente osservata da un grande occhio che la spia e la valuta in tutte le sue reazioni. Eva si muove spinta dalla curiosità che le ispira Adamo, uno sconosciuto che si aggira nell’Eden con aria intontita e sognante. Nonostante le diversità tra i due e le svariate personalità che emergono dall’uno e dall’altro, scocca la scintilla dell’amore che non ha motivazioni: semplicemente accade.
Ho davanti a me un avanzo sgualcito di quell’opera riletta all’esasperazione; una tristissima striscia di carta ingiallita tenta invano di tenere insieme pagine zeppe di sottolineature ed annotazioni. A pagina 43, sotto la frase: “…quello fu il mio primo dolore”, trovo scritto: “MUSICA - si avvicinano a lei, i due Adamo scortano Eva e la portano via”.
In alto, sulla prima pagina del quaderno di appunti, leggo: “EVA - tante personalità, tante donne in una, almeno tre interpreti”.
Si erano presentati in tanti alla convocazione di un giovedì pomeriggio a scuola. Un gruppetto voleva recitare, alcuni sapevano suonare, un consistente numero di ragazzi e ragazze preferiva danzare, uno aveva una bella voce, ma non voleva recitare, altri si sarebbero adattati a diversi ruoli, qualcuno sapeva disegnare. Il cast era al completo: quattro docenti animatori (due di educazione fisica, uno di lettere, uno di musica) e 45 giovani attori che non vedevano l’ora di cominciare le prove!
Al ritmo di uno o due incontri settimanali, e talvolta anche durante le ore curricolari, impiegammo otto mesi per portare a termine il nostro progetto. In scena, parti recitate si alternavano a coreografie di danza, musiche d’atmosfera supportavano movimenti evocativi di azioni quotidiane, musicisti in erba accompagnavano continui cambiamenti d’umore da parte di Eva, ragazzi spiritosi coglievano l’ingenuo umorismo di Adamo e, per finire, un cantante solista dalla voce calda avvolgeva il gruppo in un lungo abbraccio canoro.
Come Eva scopriva il mondo attorno a sé, così tutti noi scoprivamo nuove possibilità d’espressione… e si sa che la scoperta è l’avventura per eccellenza. La semplicità e lo spirito avventuroso tipici di Twain si erano insinuati in noi e avevano spalancato le porte al nostro immaginario, producendo conoscenza.

Quale corpo a scuola?

Credo in una cultura del corpo rispettosa dell’individuo, fondata sulla conoscenza di sé e dei meccanismi del movimento, focalizzata sull’esperienza che produce conoscenza, che veicoli attraverso l’apprendimento di tecniche comunicative, terapeutiche e sportive un processo di consapevolezza e di gestione della propria persona. Mi riferisco a quella pratica del movimento in cui l’aspetto espressivo è patrimonio da recuperare e da valorizzare per non limitare i saperi motori al solo aspetto sportivo e salutistico. L’arricchimento delle pratiche sul versante espressivo e comunicativo consentirebbe l’accesso a capacità creative e permetterebbe la sensibilizzazione alle arti del teatro e della danza, dove il corpo acquista significato simbolico, evocativo e artistico, diventando nucleo centrale e patrimonio della cultura contemporanea. La scuola, per me, è un concentrato di esperienze, una grande avventura che può essere vissuta come se fosse un libro da scrivere insieme, uno spettacolo teatrale, un viaggio, un evento sportivo e, perché no, un sogno da raccontare.

Nadina Capitanio
Docente
I.M.R.Maria Adelaide - Aosta

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