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Narrare

Appunti di un viaggio con il corpo e nel corpo.

Si narra attraverso una duplice direzione: per l’altro e con l’altro. Narriamo per qualcuno, nel senso che offriamo e riempiamo uno spazio e un tempo di espressione, verso un soggetto scelto. Cosa vuol dire, invece, narrare con l’altro? Significa che né il narratore viene tradotto totalmente dalla parola detta né l’ascoltatore dalla parola udita. Non si narra per essere i protagonisti di un evento, ma per creare un processo di interazione e di scambio. La narrazione e la parola non sono il dipanarsi statico di un avvenimento, ma sono il ricostruire e il ricostruirsi attraverso la modificazione che insorge dall’incontro/scontro tra soggetti, intorno ad un esterno che è il narrare.
Il raccontare non è una parola imperativa che reclama l’ascolto e l’obbedienza ma il cooperare attraverso un rituale nel quale i protagonisti, partendo da ruoli diversi, convergono insieme verso uno specifico del linguaggio. Non abbiamo un oggetto, il narrare, per due soggetti, ma due soggetti che creano e si creano, cioè che vengono raccontati e si raccontano nella narrazione. Nel racconto non replichiamo esclusivamente un fatto attraverso il linguaggio, ma formiamo, attraverso il linguaggio stesso, un fatto nuovo. Indagare la narrazione richiede un’investigazione che si ramifica su molteplici strade per giungere alla lettura e alla decifrazione del senso; si richiama in questo modo, come si dovrebbe richiamare sempre, l’altro come necessario completamento di ogni processo.

Narrare il diversamente abile - Se parliamo di narrazione relativamente al diversamente abile, ci troviamo di fronte ad un opposto problematico: da una parte, è un soggetto già narrato, cioè raccontato da parole d’altri (istituzioni, figure mediche, assistenziali, sociali e scolastiche), dall’altra, la sua diversità accentua il suo essere individuale, come sottolineatura ontologica.
Quale parola può liberare il disabile dal potere forte altrui, rendere meno rigido il senso del suo ruolo ed al contempo esporlo verso un ruolo comunicativo privo di connotazioni correttive ed istituzionalizzate? Cosa può fare o non fare un insegnante, un narratore, all’interno di una istituzione scolastica insieme al soggetto in questione?
È difficile trovare una soluzione, forse perché di soluzione non si tratta.
Narrare è la parola dello spostamento, parola a volte inutile, parola a volte superflua, ma risulta essere sempre una parola aperta, verso altre parole, gesti e contesti. È proprio questa sua caratteristica che le permette di flettersi verso vari orizzonti di diversità. L’insegnante, nella trasmissione di un sapere, deve prima di tutto riconoscere l’altro come portatore di un’estrema plasticità del senso.
La difficoltà consiste quindi non tanto nel riconoscere ai disabili uno statuto di esistenza paritario rispetto ai normabili, ma nell’assorbire la loro diversità come caratteristica principale di ogni narrazione. La parola, proprio quando si estende e si deforma alla ricerca della sua verità, completa quel percorso di arricchimento e di significato che è proprio del linguaggio e attraverso il quale ogni soggetto viene riconosciuto.

Luca Robino

 

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