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Intervista

Non è qui la noia

Il rapporto tra scuola e alunni diversamente abili risulta sovente stretto tra le richieste scolastiche e la necessità di adattarle alle particolarità individuali. Ne deriva un rapporto a volte conflittuale a volte passionale: i ragazzi non possono fare a meno della scuola che sembra rappresentare il “lato chiaro” della loro vita. Allo stesso tempo, avrebbero bisogno di una scuola più adatta alle loro abilità attentive per non rischiare l’allontanamento mentale, la pura presenza fisica.
Questi allievi, con i loro atteggiamenti, richiedono una scuola flessibile e capace di ascolto. Una richiesta valida, del resto, per tutti gli alunni poiché, come dice Andrea Canevaro, “La scuola dei normali non può che essere la scuola che apprende dalla scuola degli speciali dato che quest’ultima ci obbliga a pensare agli alunni non come categoria, ma come singoli.”

La noia a scuola è una condizione normale per i ragazzi diversamente abili?
Un ragazzo diversamente abile trova spesso nella scuola, con il suo intreccio di relazioni e con i suoi stimoli sociali continui e potenti, la motivazione e l’interesse che a casa non ha. L’andare a scuola piace perché fa uscire dalla condizione di isolamento in cui il diversamente abile sovente si trova, crea una rete di amicizie, permette contatti sociali e costruisce solidarietà impossibili altrove. In alcuni casi, la scuola diventa il suo mondo esclusivo.

La scuola come un’isola felice?
È possibile, ma il ragazzo trasferisce a scuola anche le ansie, le paure, i problemi, le gioie, i disagi che incontra all’esterno dell’edificio scolastico. La vita scolastica è la somma di quanto di bello e di brutto gli succede.

Che cosa può determinare una situazione di noia in classe per l’alunno diversamente abile?
Non viverlo come un ragazzo diversamente abile. Si è detto che siamo tutti uguali, abbiamo tutti le stesse potenzialità e dovremmo avere tutti le stesse possibilità. In linea di principio, questo è sicuramente giusto e valido. Non lo è nell’attività pratica. Loro non sono uguali e non si sentono uguali. Del resto, nessun ragazzo è uguale ad un altro. Nell’attività didattica, nella sua progettazione e nella sua realizzazione è fuorviante pensare che, all’interno della classe, non esistano differenze in relazione alle capacità di attuazione del compito. Il pensare tutti uguali impedisce di sollecitare abilità specifiche del singolo o spinge a voler sollecitare abilità inesistenti con esiti che arrivano fino alla demotivazione. Il rischio che l’insegnante e gli educatori corrono è quello che, per affermare le proprie idee e i propri valori, non si arrivi a valorizzare il vissuto e le potenzialità dell’alunno.

I ragazzi che seguite si annoiano?
La noia non è un dato generalizzabile. E., ad esempio, non è mai annoiata, è sempre entusiasta e motivata, mentre J. patisce i tempi morti e l’impegno.
Le capacità attentive e di lavoro, in certi alunni, sono significativamente limitate dalla scarsa autonomia. Spingerli oltre questi limiti provoca la rottura del contatto con l’adulto e diventa fonte e ragione di noia. È per questo che docenti ed educatori devono trovare un giusto equilibrio tra la pressione educativa e le reali potenzialità dell’alunno. La soglia di resistenza alla fatica è molto soggettiva in alunni diversamente abili. Se sottoposti a richieste pressanti, questa soglia si abbassa ulteriormente. Di qui può nascere la demotivazione e quindi la noia.

Costruire percorsi di apprendimento esterni alla scuola può eludere la noia?
Assolutamente no. Il contatto con il mondo del lavoro, le attività di tirocinio devono essere parte integrante dell’attività scolastica, non una proposta alternativa per evitare il problema della noia. L’interesse dell’attività, invece, sta nel fatto che può rappresentare uno strumento di apprendimento e di costruzione del futuro attraverso delle attività pratiche. Del resto, è possibile che anche queste attività annoino. La condizione per suscitare interesse è che siano modulate e calibrate sulle possibilità dell’alunno perché la noia non è una prerogativa delle attività scolastiche classiche. Abbiamo proposto ad uno dei nostri alunni un tirocinio in una biblioteca. I risultati sono stati buoni per un certo periodo, ma, in seguito, è subentrato il disinteresse. Quello stesso alunno, in un’eliografia, ha manifestato interesse e impegno per un lungo tempo. Non esiste un metodo a priori per capire quale sia l’attività più adatta, è fondamentale l’attenzione verso il proprio alunno, le sue reazioni e la gestione equilibrata della spinta all’impegno e dell’offerta di attività.

Quali sono gli strumenti per agganciare l’attenzione di un ragazzo?
A volte, per far uscire questi alunni dal mondo che si sono costruiti, può essere sufficiente una battuta, un segno di avvicinamento che forse sminuisce il ruolo del docente, ma apre un contatto con un ragazzo che sovente vive una vita di solitudine emotiva. È facile percepire nell’alunno, quando ci si pone in posizione di attenzione e di ascolto, un più vivo stimolo al fare, all’impegno, all’azione. È importante che sia un’azione coordinata di tutto il team docente: se la richiesta proviene da un docente piuttosto che da un assistente educatore è più significativa, perché all’insegnante l’alunno diversamente abile attribuisce un’autorevolezza maggiore. Gli atteggiamenti dei ragazzi, infatti, sono diversi a seconda dell’interlocutore: con gli assistenti educatori si sentono autorizzati a controbattere, mentre raramente se lo permettono con i professori. Noi non valutiamo le prestazioni dei ragazzi, ma è nostro compito stimolarli all’impegno, verificare che svolgano le loro attività e questa necessità di esigere ci impone di non diventare loro amici perché dagli amici è difficile pretendere.

I ragazzi diversamente abili si annoiano più degli altri?
Sovente questi ragazzi non si annoiano a scuola, ma a casa persi e soli davanti alla televisione, senza stimoli e senza la possibilità di avere relazioni. L’unico luogo di relazione con i coetanei è la classe. Per questo a scuola si annoiano molto meno di altri.

Riccardo Abbà
Erica Bassi

 

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