link home page
link la revue
link les numéros
link web école
links

Da piccola mettevo in fila le bambole

Tre insegnanti dell’Istituzione scolastica tecnica commerciale e per geometri di Aosta, raccontano con passione il loro mestiere.

A quando fa risalire la sua passione per l’insegnamento?
Ho sempre avuto la passione per l’insegnamento. Mia mamma racconta che, da piccola, mettevo in fila le bambole e insegnavo loro e che, quando frequentavo la scuola elementare, preparavo le lezioni per i miei compagni, come se fossi la maestra. Ho provato altri lavori, ma non erano fatti per me. Qualcuno dice che l’insegnamento è una vocazione: per me è così. Quando mi
trovo davanti ad alunni, che abbiano 11 o 20 anni, mi sento a mio agio.
Non entro in classe solamente per svolgere un programma: se non si stabiliscono buone relazioni umane, è difficile fare passare qualsiasi contenuto. Mi piace vedere i ragazzi evolvere nella loro formazione, crescere e cambiare nel corso dei mesi. Non valuto soltanto i risultati tecnici (Finalmente Andrea mette l’h al posto giusto!), ma seguo con particolare interesse la loro maturazione personale, in corso d’anno.
Ho anche avuto la fortuna, passando alle superiori, di poter insegnare la materia che ho sempre preferito: l’italiano.

Come affronta le difficoltà in classe?
A volte le classi sono problematiche. Soprattutto al biennio, quando vivono più fortemente i disagi dell’adolescenza. Come cerco di interessarli? Uso l’ironia. Cerco, in qualche modo, di prenderli in giro, prendendo in giro anche un po’ me stessa. Qualche volta mi arrabbio e qualche volta, quando loro si aspettano una nota, riesco invece a smorzare i loro atteggiamenti provocatori, magari ignorandoli, o semplicemente stando in silenzio.

Insegnare, è fonte, per lei, di arricchimento culturale?
Sicuramente e per vari motivi. In primo luogo, perché, per preparare le lezioni, occorre consultare libri e approfondire molteplici aspetti di un tema; secondariamente, perché, quando gli alunni sono interessati, pongono domande che io non interpreto mai come una sfida, ma che vivo come un’occasione di dialogo e di chiarificazioni ulteriori. Mi prendo il tempo per cercare una risposta e riconosco, con facilità davanti ai ragazzi, i miei limiti. Credo, infatti, che la pratica di un atteggiamento intellettualmente onesto possa avere una forte valenza educativa.

È stato “noioso” seguire i corsi SISS?
Ho frequentato il corso della SISS contemporaneamente all’insegnamento e, più che noioso, è stato molto pesante. Ho seguito i due anni di specializzazione per l’insegnamento delle mie materie (italiano, storia, geografia, latino). In più, ho frequentato un semestre per il sostegno. Ho acquisito così tutte le abilitazioni che mi era possibile ottenere. È stato un impegno molto gravoso. La parte teorica mi ha interessato molto e mi ha aiutato ad elaborare una particolare forma mentale.
Aveva proprio ragione Vitale Brovarone, un mio insegnante, quando diceva che vero obiettivo del corso era fondare nei nuovi insegnanti la competenza di saper strutturare una lezione. Le nozioni teoriche del corso e le attività di laboratorio mi hanno portato, infatti, a privilegiare naturalmente un’impostazione didattica attiva, problematica, non solo frontale, che richiede un’organizzazione della classe centrata sul fare degli allievi, più che sulla trasmissione dei saperi da parte del solo insegnante. Quindi, posso sicuramente dire che il corso della SISS mi sia servito molto: ha completato la mia formazione di insegnante consentendomi di trasformare in azioni didattiche concrete le conoscenze teoriche che sono andata accumulando negli anni.

Anna Piccirilli

Perchè ha scelto di fare l’insegnante?
Secondo me, la passione per l’insegnamento è strettamente legata all’interesse per la materia che s’insegna. Io insegno matematica, la disciplina che ho sempre preferito.
In realtà, l'insegnamento mi incuriosiva anche per un altro motivo: alle superiori ho avuto un rapporto conflittuale con alcuni insegnanti, molto polemico. Mi chiedevo, quindi, se dovesse per forza andare così o si potesse instaurare un rapporto diverso con i docenti, basato non solo su provocazioni e valutazioni.
Quindi alla base del fatto che oggi sono diventato un insegnante, ci sono la passione per la matematica e la scommessa di instaurare un rapporto costruttivo e rispettoso con gli alunni.
Sono diventato un insegnante un po’ per caso: mentre cercavo lavoro, ho provato anche a fare domanda nelle scuole e sono stato chiamato per una supplenza annuale. In quella occasione, ho verificato che, come supponevo, insegnare la matematica mi piaceva e che ero in grado di stabilire un buon contatto con le classi. Ancora adesso mi piace dialogare con i miei studenti.

Nel tempo, è cambiato il suo modo di insegnare?
Insegno per il quarto anno consecutivo e la passione è sempre la stessa.
All’inizio, insegnavo al triennio delle magistrali, le classi erano tranquille. I ragazzi studiavano quasi autonomamente senza che l'insegnante dovesse lottare troppo per spingerli a farlo. Quando sono passato all’istituto tecnico pur mantenendo un buon rapporto con le classi, ho dovuto imporre delle regole, soprattutto nel biennio. Gli studenti erano meno motivati, per cui ho dovuto ingegnarmi per stimolarli a seguire le lezioni, per coinvolgerli.
Convincere i ragazzi a studiare, mi stimola e mi stanca. Costituisce una grande parte del mio lavoro d’insegnante. Per me non è tanto difficile insegnare la matematica, quanto coinvolgere i ragazzi e motivarli allo studio della matematica. Fortunatamente sono paziente e sono convinto che la pazienza sia una caratteristica indispensabile per un insegnante.

Che cos’è indispensabile per mantenere intatta la passione per l’insegnamento?
Non bisogna smettere di coltivare lo studio e l’approfondimento della disciplina insegnata.
È necessario anche apprendere e sperimentare metodi, tecniche d’insegnamento e argomenti nuovi. I ragazzi sono molto svegli, ma si annoiano velocemente, bisogna sempre cercare di mantenere viva la loro motivazione. L’altro giorno, ad esempio, ho fatto ricorso a dei giochi matematici, anche complessi; stimoli nuovi e un po' di gioco durante la lezione sono fondamentali per ottenere la loro attenzione.

E se la lezione di matematica capita di pomeriggio?
Non mi demoralizza il fatto che i ragazzi non siano sempre attenti anzi che, a volte, siano passivi.
Ad esempio, ho lezione all'ultimo modulo del lunedì pomeriggio. So che è l’ora debole del mio orario e non posso pretendere di fare una lezione frontale. In sede di programmazione, prevedo, infatti, attività meno impegnative e svolgo una vera e propria lezione solamente se sono i ragazzi a chiederlo, in vista del compito. So per esperienza che se sono gli studenti a decidere di impegnarsi, sono in grado di fare anche notevoli sforzi.

Che rapporto instaura con i ragazzi?
Mi piace fare capire ai ragazzi che provo affetto nei loro confronti, che sono aperto al dialogo, anche su argomenti estranei alla materia che insegno. Devono sentire che possono trovare in me, un adulto con cui dialogare, che possono approfittare del fatto che la mia generazione è ancora molto vicina alla loro. Ho pochi anni più di loro. Mi ricordo ancora benissimo della mia condizione di adolescente e posso provare ad aiutarli, magari, condividendo un’esperienza vissuta.
Penso che gli insegnanti non debbano aver paura di “perdere tempo”: se migliora il nostro rapporto con gli studenti, aumenta anche il loro impegno.

Paolo Paciello

Perché ha scelto il mestiere dell’insegnante?
Per me, insegnare è stato realizzare un sogno, anche se, alle superiori ho incontrato alcune difficoltà a causa del susseguirsi di docenti supplenti, proprio nello studio della materia che preferivo e che avrei voluto insegnare: la matematica.
È sempre stata la disciplina che mi spingeva a sfidare me stessa alla scoperta dei passaggi logici più oscuri. Mi sono laureata in matematica con una tesi sulla didattica della fisica.

Qual è la sua prima esperienza di insegnamento?
Ho iniziato ad insegnare nel 1999. All’epoca, insegnavo al liceo classico e, si sa, gli allievi del classico amano maggiormente le materie umanistiche.
Nel tentativo di accrescere la loro motivazione, ho provato a proporre una lettura storico-filosofica della disciplina. Non è stato facile, ma questa esperienza mi ha fatto maturare e soprattutto mi sono accorta di quanto sia importante la relazione con gli allievi, al di là del contenuto da insegnare.

È difficile motivare gli allievi allo studio di una materia che è stata definita “arida come i sassi”?
Mi sembra di poter dire che gli alunni chiedono attenzione e affettività, sovente con atteggiamenti provocatori e sbagliati. Ho la sensazione che lancino una richiesta di aiuto: chiedono che la scuola si accorga di loro come individui. Sovente è difficile condurre la lezione per le molteplici richieste, a volte non immediatamente decifrabili, che esulano dalla disciplina.
In alcune classi numerose, fare lezione è stancante. Ci vuole moltissima pazienza per passare i concetti, non bisogna stancarsi di riprendere un ragionamento, anche più volte, magari utilizzando formulazioni linguistiche diverse.
Quando ho iniziato la SISS, sono rimasta colpita da un motto “Se ascolto, dimentico. Se vedo, capisco. Se faccio, imparo”. Penso che questo principio educativo sia veramente adatto per la matematica, infatti, per acquisire una competenza, l'allievo deve lavorare attivamente. Solo così apprende meglio, perchè, a poco a poco, costruisce il suo sapere. Apprende quando è capace di riconoscere in ciò che ha fatto un carattere universale; ossia quando si accorge di aver reso il sapere riutilizzabile.
Per questo motivo, spesso, preparo delle attività didattiche, ossia delle situazioni problematiche sulle quali ogni allievo è chiamato a lavorare in prima persona, create in modo da stimolare l'alunno a interrogarsi, a congetturare, ad argomentare e pertanto a costruirsi un “pezzo di matematica”; il segreto è cercare di rendere l'allievo protagonista.
La risposta? Si instaura un clima di maggior cooperazione e piano piano si fa spazio il pensiero che “Capire si può; se si vuole”, anche in coloro che hanno avuto sempre un rapporto conflittuale con la matematica.

E quando la lezione capita di pomeriggio?
È spesso difficile insegnare di pomeriggio: i ragazzi sono reduci da sei moduli di lezione mattutina e, in alcuni casi, sono già saturi. Quando entro in classe per il secondo modulo pomeridiano organizzo attività diverse: navigando su internet, faccio visitare ai ragazzi dei siti matematici e li invito a svolgere degli esercizi on-line. È un metodo efficace per mantenere la loro attenzione.
È vero, ho ancora molto da imparare, ma, d'altra parte, ritengo che insegnare non sia arte empirica o un dato spontaneo; la costruzione di un bagaglio professionale passa per la pratica quotidiana: solo così è possibile acquisire una certa esperienza.

Simona Audisio

Nota
Le illustrazioni sono tratte dal cartone animato elaborato dai bambini della scuola di Gressoney-la-Trinité, cfr. articolo p. 30.

 

 

couriel