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Mamma, vivrai all'infinito?

Molte delle attività di conversazione, in una scuola dell’infanzia possono essere lo stimolo per un dialogo filosofico. L’autrice ha ascoltato con orecchie più attente le "proposte filosofiche" che suo figlio ha riportato a casa, al termine della sua giornata di scuola, traendone materiale per una tesi di ricerca.


L’infanzia si trova, per definizione, in una condizione di dipendenza dall’ambiente in cui vive; questa dimensione, grazie all’intervento educativo dell’adulto, deve mano a mano diminuire dando al bambino occasioni e strumenti atti a comprendere, interpretare e modificare la realtà spingendolo ad un’attenuazione dei legami di dipendenza. Ora, se l’adulto individua come obiettivo prioritario, durante un’attività rivolta ai bambini, quello di “non farli annoiare” è votato all’insuccesso: in tal modo, infatti, si pone in una posizione di competitore nei confronti della realtà-zapping che l’infanzia di oggi vive. Cercando di offrire delle attività e delle lezioni a tutta velocità, inseguendo l’obiettivo di mantenere elevata la soglia di tensione-eccitazione nervosa, si incrementa ulteriormente la difficoltà all’attenzione. Infatti, l’attività neuronale cui i bambini sono abituati, a motivo dell’esposizione sempre più massiccia e frequente ai video-giochi e ai programmi televisivi iper-veloci, crea tutti i presupposti per plasmare un pubblico di allievi consumatori sempre più esigenti, ma non in grado “di sviluppare una vera capacità di vivere, con diversi ritmi e diverse intensità”.(1) Oltretutto, questo tipo di offerta formativa non sostiene l’allievo nella conquista di un’autonomia di pensiero e di una capacità critica; lo fa, invece, permanere in una dimensione di dipendenza dal materiale già elaborato sottraendolo ad esperienze di emancipazione nella formazione del giudizio.
Un possibile antidoto alla produzione di una cultura “prêt à porter”, che non accetta la riflessione, la fatica e la noia come elementi indispensabili alla formazione della persona, è l’offerta in contro-tendenza di una non-attività, di un indugio nel territorio del pensare. Questo tipo di proposta è realizzabile attraverso la pratica filosofica con i bambini.

Avvicinare infanzia e filosofia può apparire azzardato; in realtà, il bisogno di capire e domandare, come dice Mattew Lipman, è quasi innato nel bambino: egli “è immerso in un mondo totalmente nuovo per lui ed ogni oggetto, ogni situazione lo obbliga a ricercarne il significato, a porsi delle domande e immaginarne i propositi(2). Muovendo da questo intrinseco bisogno è opportuno proporre all’infanzia un modello culturale basato sulla domanda, sul dialogo e sull’appropriazione, da parte di ciascun bambino, di spazi di riflessione autonoma.
Si fa qui riferimento ad una pratica filosofica intesa come analisi, problematizzazione ed articolazione di un’idea per poterla poi confrontare con un’altra; citando il filosofo Brenifier, “l’exercice philosophique se résume à travailler l’idée […] à la sortir de son statut d’évidence pétrifiée, à ébranler un instant ses fondements(3).
In Italia, sulla scia delle esperienze all’estero, si è oramai diffusa la proposta della pratica filosofica a partire dalla scuola primaria e, in alcuni casi, anche alla scuola dell’infanzia: alcune esperienze, come quella della scuola di Scampia, fanno riferimento al “curricolo Lipman”, conosciuto anche col nome di Philosophy for Children(4); altre sperimentazioni, come il corso di filosofia svoltosi presso la scuola elementare di San Felice a Cancello alla periferia di Caserta, partono da progetti di collaborazione tra docenti universitari di filosofia ed insegnanti della scuola primaria interessati ad inserire questo tipo attività all’interno delle loro classi(5).
Il mio lavoro di tesi, volto a considerare la pregnanza filosofica delle domande infantili, sebbene prevalentemente teorico, ha potuto avvalersi di un supporto esperienziale che, pur nella sua limitatezza, è stato utile per meglio comprendere che cosa si intende per “pratica filosofica con l’infanzia”. Le riflessioni e i dialoghi che mio figlio di cinque anni mi proponeva quotidianamente potevano essere presi in considerazione come “pensieri filosofici tipici dell’infanzia”. Le attività che le sue maestre proponevano alla classe, nella Scuola dell’Infanzia O. Marcoz dell’Istituzione Scolastica E. Martinet, potevano essere lo spunto per indurre lui e gli altri bambini a riflettere su alcuni argomenti: la vita, Dio, la morte, la famiglia…
Chiedendo alle due insegnanti, Cristina Peota e Nicoletta Gallucci, di tenermi informata rispetto agli argomenti trattati ed agli stimoli offerti, ho potuto seguire il cammino concettuale di mio figlio; ciò ha permesso di tenere insieme i differenti livelli di richiesta che il bimbo ha espresso: quello affettivo e quello cognitivo che, nell’infanzia, sono indissolubilmente legati.
Cristina e Nicoletta non parlano di “pratica filosofica con l’infanzia”, ma sono maestre che mostrano una particolare propensione a credere che ciascun bambino possieda una propria idea del mondo, una propria filosofia; che tale idea possa essere comunicata anche agli altri, soprattutto se supportata, nella sua espressione, da un adulto attento e sensibile; vedono, insomma, nei bimbi dei plausibili interlocutori con cui immaginare e costruire una rappresentazione del reale.
L’attività, da cui è scaturita la riflessione che è qui presentata, è stata quella proposta dalle insegnanti a tutta la classe, composta di bimbi dai tre ai sei anni. Essa prevedeva la visione del cartone animato Bambi e la produzione successiva di disegni ad esso ispirati da parte degli alunni. L’intento era quello di proporre uno stimolo per far riflettere i bambini sul processo di crescita ed, in particolare, cercare di comprendere come i bimbi di cinque anni, in uscita dalla scuola dell’infanzia, percepiscono questa loro fase di passaggio.
Il protagonista di questa storia, il cerbiatto Bambi, passa, infatti, attraverso tutti gli stadi di crescita: ancora cucciolo, perde la mamma perché uccisa dai cacciatori; incontra, poi, il padre cervo, che è anche il re della foresta, che lo induce a riprendersi dalla disgrazia subita e ad abbandonare i comportamenti infantili; prima di diventare adulto, Bambi conoscerà l’amicizia, l’appartenenza al gruppo e s’innamorerà. Solo dopo aver costituito una famiglia sua potrà succedere al padre.
Dopo aver visto il cartone animato a scuola, a casa, mio figlio ha espresso queste riflessioni:
S.: - Tu vivrai all’infinito, fino a duecento anni!
Mamma: - Tu dici?
S.: - Puoi contare fino all’infinito…
M: - Se posso contare fino all’infinito allora dici che posso vivere fino all’infinito?
S.: - Si.
S.: - Ma perché Dio ha fatto così la vita?
M.: - Così come?
S.: - Che finisce…
M.: - Sai che non lo so, fai delle domande difficili…!
S.: - Forse perché la Terra non è infinita come l’Universo!
M.: - … e allora?
S.: - … la Terra finisce e non basterebbero le strade. Ci sarebbero le strade tutte piene di persone…non sarebbe bello così! Sarebbe brutto!
M.: -… forse hai ragione: è meglio così.

La prima questione è espressa attraverso un’affermazione: “Tu vivrai fino all’infinito, fino a duecento anni!”, ma, molto probabilmente sta a significare: “Mamma, anche tu morirai, un giorno?” ed è questo il quesito, insieme filosofico ed emotivo, sia per il bambino che per la madre. La madre è costretta a confrontarsi con il tema della sua finitezza: le si parla della Morte, e della “sua morte”; il figlio la investe dell’emozione di essere lui stesso a porle la domanda.
Successivamente la richiesta è di senso: “Perché, se Dio c’è ed è così potente, così buono ed è infinito, a noi ci ha fatti così piccoli e così finiti? Ecco posta una domanda prettamente filosofica, di senso, di ricerca di nesso delle e tra le cose.
Il tema della morte attraversa diversi piani: quello della razionalità logico-deduttiva, alla ricerca di un filo logico che leghi l’esperienza possibile (il poter contare fino all’infinito) alle possibilità reali (quanto tempo si può vivere?); quello della razionalità ipotetico-deduttiva che consente al bambino di leggere i segni di realtà per costruire un quadro di riferimento intelligibile e sensato. Pensa infatti il bambino: “La Terra non è infinita” quindi se la vita degli uomini fosse infinita, la Terra sarebbe soffocata da troppi abitanti e questo non sarebbe bello. Ovvero non sarebbe giusto, non avrebbe senso. Il tema della morte muove da un terzo piano, squisitamente emotivo e contingente, dall’esperienza che questo bambino fa ogni giorno della separazione e della finitezza attraverso il rapporto con la madre, i compagni, la maestra, le sue azioni; su questo piano il bambino chiede alla madre di essere rassicurato e confortato riguardo al destino della condizione umana e alla loro in particolare. A questo punto la situazione si complica: qual è la risposta? Quella rassicurante che tenderebbe a rimandare l’angoscia alla prossima occasione? Quella razionale basata su prove empiriche e scientifiche, ma che elude la componente emotiva?(6)
Il disegno che ciascun bimbo ha fatto, dopo la visione del cartone, è stato analizzato e successivamente illustrato ai genitori in sede individuale dalle maestre; quello di mio figlio, riportato qui di seguito, ha potuto essere esaminato alla luce della conversazione avvenuta a casa.


Superando in parte le sue paure, rappresenta un cervo adulto sopravissuto all’incendio: è forse Bambifiglio che, diventato grande, sembra aver dimenticato la morte della mamma.
Che cosa domandano, dunque, i bambini quando pongono delle questioni? Le loro domande sono del tutto manifeste o devono abituare l’adulto a “guardare oltre”? In questo caso, l’azione ristretta(7) su cui il bambino richiede attenzione è: “Mamma, il tuo agire in questo contesto che è la nostra esistenza, sarà in grado di farmi sentire sicuro?
Le domande dei bambini chiedono di essere accompagnate, aiutate ad essere espresse più chiaramente; chiedono all’adulto di partire dall’attualità del divenire del processo educativo e procedere verso l’universale concreto(8); perché il senso è nel processo stesso.
Non è tanto necessario chiedersi quanto di filosofico possa esserci nelle domande dei bambini, piuttosto quanto l’adulto riesca ancora a scorgere di vitale e significativo nelle domande che i bambini gli pongono; è la sua interpretazione della domanda che ne determina il successivo sviluppo; è l’attenzione, la capacità di cogliere sfumature, di porsi come sostenitore e contenitore della ricerca avviata da un semplice quesito che staglia sullo sfondo ancora informe il valore e l’essenza della domanda stessa.
Questo breve excursus nel mondo della filosofia con i bambini dice molto di questo bambino e dei temi che sono cari all’infanzia; evoca scenari che stridono con un’idea di educazione votata alla performance ed alla rapidità. Permette, invece, di riflettere sulla possibilità di innescare la trasformazione della relazione educativa da contesto di trasmissione a contesto di ascolto; ciò renderebbe immaginabile una conversione della proposta formativa da pacchetto predisposto input-output ad una dimensione in cui vi sia posto, sia per l’adulto che per il bambino, per i tempi lunghi e per lo sforzo che richiede esprimere sé stessi e gli altri in maniera comprensibile. Una strategia possibile per allontanare momenti di noia e di demotivazione.
Ecco allora che, già a partire dalla scuola materna, accendere il desiderio all’apprendimento attraverso la motivazione che deriva dal partire da sé, dall’espressione dei propri pensieri può diventare qualcosa di più di una strategia per rendere sopportabili ed accettabili anche la noia e fatica, inevitabili compagni di strada di tutti i percorsi formativi.

Monica Guttero

 

Note
(1) BENASAYAG M., SCHMIT G. (2004), L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano (trad. it. Missina E., tit. orig. Les passions tristes. Souffrance psychique et crise sociale, La Découverte, Paris, 2003).
(2) BECK C. (2003-2004), L’enfant est-il philosophiquement questionneur ?, dissertation inédite discutée à l’Université Paul Valéry – Département des sciences de l’éducation, Montpellier.
(3) BRENIFIER O. (2003), " Conditions de la discussion philosophique en classe ", Diotime-L’Agora, n° 17, mars 2003, CRDP Languedoc-Roussillon.
(4) Cf. COSENTINO A. (a cura di) (2002), Filosofia e formazione. 10 anni di “Philosophy for Children” in Italia (1991-2001), Liguori, Napoli.
(5) Al riguardo cfr. i due testi: FERRARO G. (2005), La filosofia spiegata ai bambini, Filema, Napoli e IACONO A.M., VITI S. (a cura di) (2003), Per mari aperti. Viaggio tra filosofia e poesia nelle scuole elementari, manifestolibri srl, Roma.
(6) TOZZI M. (2001), " Entendre philosophiquement une question d’enfant ", Diotime-L’Agora, Revue internationale de didactique de la philosophie, n° 14 juin 2002, CRDP Languedoc-Roussillon.
(7) (8) BENASAYAG M. (2005), Contro il niente. Abc dell’impegno, Feltrinelli, Milano (trad. it. Sartorio G., tit. orig. Abécédaire de l’engagement, Bayard, Paris, 2004).

Alcuni testi di riferimento
LIOTTA E. (2001), Educare al Sé. Formarsi per incontrare i bambini, Edizioni Scientifiche Magi, Roma.
MONTESARCHIO P. (2003), La metafisica dei bambini paragonata a quella degli adulti, Morlacchi, Perugia.
MUNTONI L. (2005), I bambini pensano difficile. L’organizzazione delle idee nella scuola dell’infanzia, Carocci, Roma.
LAING R.D. (2000), Conversando con i
miei bambini, Einaudi, Torino (trad. it. Bossi F. (1978), tit. orig. Conversation with Children).
SHARP A.M. (1999), L’ospedale delle bambole, Liguori, Napoli (trad. it. Striano M. (1999), tit. orig. The Doll Hospital, A.C.E.R., Camberwell, Melbourne, Victoria).

 

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