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Xiao Nu ha imparato l'italiano

L’esperienza di una giovane insegnante chiamata a tenere corsi di Italiano Lingua 2 ad alunni molto diversi per provenienza e livello di padronanza linguistica.

Una nuova esperienza, un nuovo modo di insegnare, nuove culture e persone. Tutto questo venne proposto a me, giovane insegnante di scuola elementare, nell'anno scolastico 2001-2002, dall'Istituto Scolastico Comprensivo di Revello, situato nella fascia montana della provincia di Cuneo.
Perché non accettare? La curiosità era tanta. Così mi avvicinai al mondo dell'insegnamento della lingua italiana agli alunni stranieri, attraverso un progetto di alfabetizzazione linguistica.
Ricordo ancora i loro occhi, grandi, scuri, profondi, che scrutano, cercando un sorriso, qualcuno che sapesse capirli e che sapesse offrire loro uno strumento: la lingua per comunicare, giocare, ridere insieme, per muoversi nella vita di ogni giorno.
Il bambino immigrato quando giunge in un nuovo paese esprime la fatica di crescere, è fragile, vulnerabile. L’insegnante deve tenere presente che il ragazzo ha lasciato la sua città, i suoi familiari, i suoi amici, la sua scuola, la vita di sempre e che, per questo, può essere colto da crisi di identità. Chi si trova di fronte a questi bambini deve cercare di capire i loro sogni, trasmettere loro coraggio, fiducia, valorizzare le capacità e abilità, individuare abitudini, doti, insomma esaltare il loro vissuto.
Il progetto di alfabetizzazione è nato con l'idea di istituire una classe di “accoglienza linguistica” per favorire la socializzazione e l'immersione nella classe ordinaria e di far acquisire correttamente la lingua come mezzo di comunicazione.
Dalle ricerche, e dalla mia esperienza personale, è emerso che gli alunni stranieri non possono impadronirsi del nuovo codice contando unicamente sulla situazione di “bagno linguistico spontaneo” nella quale si trovano a vivere, cioè assumendo e utilizzando spontaneamente la lingua della strada, della televisione, della vita quotidiana. Pensare in questo modo significa, di fatto, penalizzare l'allievo, rallentare le capacità di apprendimento e pregiudicarne lasocializzazione.
Nel corso della mia esperienza, ho notato che la modalità e l'approccio alla parola cambia a seconda della provenienza culturale delle persone che si hanno di fronte. Ho incontrato allievi, come i ragazzi albanesi e marocchini che hanno stabilito un contatto attivo con la lingua; si sono espressi fin da subito senza avere il timore di sbagliare e hanno intrecciato rapporti immediati con le persone e i servizi del nuovo paese. Ho visto, invece, individui e gruppi più isolati, come i cinesi, le cui comunicazioni di vita quotidiana si svolgono quasi esclusivamente nella lingua d'origine, avvicinarsi all'italiano in modo più silenzioso, privilegiando l'ascolto, studiando il materiale, ma esprimendosi di meno.
L'arrivo in classe dell'allievo straniero genera sentimenti contrapposti: gioia per i compagni che trovano un nuovo amico, ansia per l'insegnante che si preoccupa di aiutarlo nel modo migliore. Bisogna prendersi del tempo, osservare il bambino, comprendere la nuova realtà e poi agire. Ricordando che la parola scritta e parlata è un diritto, è lo strumento che permetterà di muoversi nella società, di intrecciare rapporti, di sentirsi cittadino italiano, di trovarsi un lavoro e di formare una famiglia.

La mia esperienza di insegnante-facilitatore

Negli ultimi anni mi sono dedicata all'insegnamento della lingua italiana agli alunni stranieri delle scuole primarie e secondarie di primo grado degli Istituti Comprensivi di Revello e di Paesana.
Nell'anno scolastico 2000-2001 ho insegnato ad alunni di origine marocchina e lbanese: quattro della scuola primaria e tre della scuola secondaria di primo grado. Nell'anno colastico 2004-2005, i mie alunni erano nove di origine cinese, una nella scuola primaria e otto nella scuola secondaria di primo grado.
L'intervento di alfabetizzazione è iniziato attraverso delle semplici domande. Si è trattato di verificare il livello di conoscenza della lingua italiana del gruppo, azione basilare che ha consentito di riunire gli allievi in tre categorie: livello dei neo arrivati (non parlanti), livello intermedio (già alfabetizzati), livello avanzato (buone capacità di comprensione e di comunicazione). A questo punto è stato elaborato un piano di lavoro mirato per ogni gruppo.
In particolare, per il gruppo dei neo arrivati, il primo approccio è stato di tipo comunicativo-situazionale. L'obiettivo era di avviare alla conoscenza e all'uso delle funzioni comunicative primarie come, ad esempio, salutare, presentarsi, affermare e negare. Fin da subito, in quanto insegnante-facilitatore, ho dovuto rendere ogni aspetto della routine scolastica accessibile all'allievo straniero. Su ogni oggetto della classe e sul materiale personale di ogni bambino o ragazzo è stato apposto il suo nome. Sono seguiti giochi che hanno consentito a tutti di pronunciare il nome scritto sui cartellini. Successivamente si è passati alla drammatizzazione di situazioni di vita reale legate alle esigenze personali e alla quotidianità dell'alunno: l'andare in bagno, il mangiare la merenda…
Nelle prime settimane l'attività è stata condotta soprattutto in forma orale per rendere naturale al bambino la discriminazione dei suoni e favorire l'assuefazione alla musicalità propria della lingua. Ogni discorso è stato, da parte mia, accompagnato da una forte gestualità, in modo da unire l'aspetto visivo a quello sonoro.
Il passaggio dalla lingua parlata alla lingua letta e scritta è avvenuto più tardi, in modo graduale. Quando ci siamo avvicinati allo studio dell'alfabeto ho avuto cura di associare fonemi simili per facilitare la discriminazione, in quanto mi ero accorta che gli errori più comuni e radicati si collocavano nella pronuncia e nella scrittura di parole che contengono, ad esempio, B/P, C/G, D/T, F/V, L/R, M/N, E/I, O/U… Mentre i bambini cinesi rivelavano difficoltà nel discriminare i suoni R/L, quelli marocchini avevano più problemi con E/I e con O/U. Dopo aver trasmesso la nomenclatura e l'alfabeto, l'attività è proseguita sviluppando argomenti prossimi agli interessi dell'allievo: la mia classe, i colori, il mio corpo, le azioni, gli abiti, la casa, a tavola, la cucina…
Il progetto è stato condotto con una certa regolarità, circa otto ore la settimana, durante un semestre, permettendo agli allievi di ottenere risultati soddisfacenti, diventare abili a comprendere semplici discorsi e ad esprimersi.
L'esercizio, la costanza, la perseveranza e la curiosità di conoscere nuovi modi di vivere sono stati alla base di un lavoro sereno e del superamento dell’ostacolo linguistico che, in un primo momento, mi era sembrato insormontabile, ma che presto mi ha regalato tanta soddisfazione nel mio ruolo di insegnante-facilitatore.

Xiao Nu ha imparato a parlare l'italiano

Xiao Nu ed io ci incontriamo in un bar di Saluzzo e davanti ad una tazza di caffè provo a porle alcune domande sulla sua esperienza linguistica. Il mio intento è di farle scrivere alcune righe, ma la ragazza preferisce parlare e rispondere alle mie domande.
Xiao Nu ha frequentato il mio corso di alfabetizzazione, tra gennaio e giugno 2005. Allora aveva 15 anni ed era arrivata in Italia nell'estate precedente.
Con grande soddisfazione posso constatare come Xiao Nu sia riuscita a far diventare sua la lingua italiana: sa farsi comprendere, anche se ha ancora qualche problema con la grammatica e la frase non è sempre costruita correttamente, ascolta, capisce quasi tutte le parole, è capace di affrontare una conversazione.
Con un bel sorriso sulle labbra e con la voglia di dimostrarmi come è diventata “brava in italiano” mi racconta dell'arrivo in Italia della sua famiglia: “Papà arrivato a Paesana nel 1999. Io, Li Mu, mamma arrivati 12 luglio 2004. Papà in Cina lavoro pietre nove, dieci ore al giorno, mamma casalinga. In Italia papà lavora pietre a Bagnolo otto ore al giorno, mamma nella frutta”.
Le chiedo di parlarmi delle difficoltà che ha avuto con la lingua italiana, appena giunta in Italia, e di raccontarmi del suo primo giorno di scuola: “Quando sono arrivata non conosci niente italiano, niente persone. Studiavo con mia amica cinese, già arrivata in Italia prima, Jing Jing. Primo giorno, sono entrata in classe ho paura perché i miei compagni cattivi. Primo giorno entra in classe, no capito niente italiano. Inizio, prima del corso di italiano, io uso del vocabolario italiano-cinese comprato a Torino”.
Il corso di alfabetizzazione, che Xiao Nu chiama “scuola di italiano”, prevedeva nove ore di lezione alla settimana, nell’ambito di un programma individualizzato per l'apprendimento della lingua italiana. Xiao Nu ed altri ragazzi cinesi hanno integrato queste ore con un ulteriore corso pomeridiano organizzato dalle scuole secondarie di primo grado di Saluzzo.
Per ottenere dei buoni risultati è necessario mantenere una certa continuità nel tempo; alcuni studi affermano che la durata deve essere di almeno tre anni. Purtroppo, non sempre le scuole ottengono i giusti finanziamenti o non sempre investono su questo genere di progetti.
I corsi a sostegno dell'apprendimento linguistico dell'italiano, sono molto utili, anche perché spesso l'allievo straniero, in classe, non viene seguito in modo adeguato, anzi, talvolta, viene trascurato nelle sue specifiche esigenze, soprattutto nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado.
Xiao Nu continua il racconto e mi elenca le difficoltà incontrate nell'apprendere la lingua italiana: “Per me molto difficile imparare verbi e grammatica. Più facile parole come casa, quaderno, diario… In scuola italiano diventato più facile per me parlare, prima capivo di meno, poi capivo di più. Tu hai insegnato a tutti cinesi parlare. Io capivo italiano in tua scuola”.
Xiao Nu vorrebbe imparare ancora moltissime cose, vorrebbe esercitarsi nella lettura, fare conversazione, frequentare la scuola secondaria di secondo grado come i suoi coetanei, intrecciare nuovi rapporti, invece: “Tutti miei amici Jing Jing andare a scuola a Saluzzo, fare segretaria, io non andare, andare a lavorare, mia famiglia è in difficoltà. Io lavoro a Lagnasco nove ore al giorno. Lavoro solo con pesche, nel frigo fa freddo. Vado in bicicletta fino a Lagnasco. Quando piove mio padrone viene con la macchina. Italiano ora sul lavoro io capisco tutto. Solo io cinese nel frigo”.
Domando poi a Xiao Nu la votazione con cui ha superato l'esame conclusivo della scuola secondaria di primo grado: “Esame? Io buono… no sufficiente, sì sufficiente!
A questa frase segue una smorfia: secondo lei è troppo poco, ma secondo me è già un buon traguardo. Ma quali sono i suoi desideri per il futuro, che cosa vorrebbe fare “da grande”?
Cercare lavoro come cameriera. Tu aiutare me a scrivere domanda? Così studio italiano e così prossimo anno prendo patente è più facile”.
Con il suo sorriso mi accompagna all'automobile, mi indica la sua nuova casa, mi abbraccia e mi lascia dicendomi: “Ciao prof. Elisa, io telefonare a te! Ok? Così scrivere insieme domande lavoro! Ciao, ciao”.

Elisa Perotti

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