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Italiano L2: problema o risorsa?

Un nuovo tassello nel mosaico plurilingue valdostano

La metafora del mosaico per descrivere il variegato repertorio linguistico della Valle d’Aosta non pretende certamente di essere originale. Tradizionalmente impiegata con riferimento alla compresenza, accanto alle due lingue ufficiali (italiano e francese), delle parlate storiche locali (francoprovenzali, piemontesi, alemanniche), può però rendere con efficacia l’immagine di una nuova tessera che, intrecciandosi a quelle consuete, entra a far parte delle componenti linguistiche della società e della scuola valdostana.

Si tratta di una tessera di recente costituzione e dalla natura multiforme. L’italiano L2, in effetti, non è propriamente un nuovo codice; è, semmai, un insieme di varietà in divenire all’interno di un continuum rappresentato da diversi stadi di competenza, stadi che si differenziano sostanzialmente da quelli che si susseguono in un contesto di acquisizione spontanea dell’italiano come lingua madre. Chi impara l’italiano sin dalla primissima infanzia, sia pure in parallelo con altre lingue o dialetti (acquisizione simultanea), attraversa, infatti, fasi che prevedono il progressivo adeguamento al codice condiviso dalla comunità. Chi, invece, si inserisce in un nuovo contesto quando i processi di acquisizione spontanea relativi alla lingua materna sono ormai consolidati (bilingualità successiva), elabora e innesta le proprie ipotesi linguistiche sul codice da acquisire a partire dalle categorie già note, creando in qualche modo varietà caratteristiche e individuali.

L’azione "Italiano lingua seconda: lingua di contatto, lingua di culture"
in Valle d’Aosta

La rilevanza assunta dal fenomeno migratorio e il progressivo aumento del numero di alunni per i quali l’italiano non è lingua nativa ha spinto la Direzione generale per il personale della scuola del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a promuovere il progetto pilota “Italiano lingua seconda: lingua di contatto, lingua di culture” (nota n. 153/2004 e successive). Con questa azione il Ministero si proponeva di formare docenti capaci di operare in classi plurilingui per insegnare l’italiano come seconda lingua e di diventare, in ogni istituzione scolastica, figure di riferimento per l’inserimento di studenti non italofoni.
Nella nostra Regione, la presenza di alunni stranieri è andata aumentando negli ultimi dieci anni anche a seguito del ricongiungimento familiare e della scolarizzazione di nativi di seconda generazione, tanto che in alcune istituzioni scolastiche la percentuale di questi alunni è elevata e la loro accoglienza richiede risposte organiche e istituzionali. Il Dipartimento Sovraintendenza agli studi ha quindi ritenuto importante aderire al progetto ministeriale, pur riservandosi la possibilità di adattarlo al contesto regionale. Le specificità del sistema educativo valdostano, caratterizzato in particolare dalla presenza di più lingue veicolari di insegnamento e dall’inserimento generalizzato dell’inglese nella scuola elementare, e le iniziative già realizzate in precedenza in questo ambito, quali ad esempio il “Progetto Cavanh”, hanno reso infatti necessaria una progettazione attenta, capace di coniugare le esigenze locali con le finalità generali proposte dal Ministero.
Il piano regionale ha seguito il modello nazionale, conservando le fasi e le procedure da esso definite, e se ne è discostato al momento dell’elaborazione del progetto di formazione destinato ai docenti che operano in classi con studenti stranieri. Come previsto nella prima fase del progetto nazionale, il corso di formazione per quattro docenti con funzioni tutoriali è stato erogato dal Ministero in collaborazione con ventuno università italiane e con il supporto della piattaforma Italdue dell’Università “Ca’ Foscari” di Venezia per la parte on line. Questi docenti, selezionati sulla base delle loro competenze specifiche e della loro esperienza professionale pregressa, sono stati formati alle tecniche e strategie di gestione di aule virtuali in corsi di e-learning integrato.
Per la seconda fase del progetto, la Sovraintendenza agli studi ha interpellato l’Università della Valle d’Aosta come risorsa di riferimento sul territorio capace di garantire una maggior adesione ai bisogni del contesto regionale. La collaborazione tra i due organismi è stata formalizzata con la nomina di una Commissione Tecnica Paritetica e la firma di un Protocollo d’intesa che ha definito funzioni e ruoli specifici. L’Università della Valle d’Aosta ha garantito il coordinamento scientifico, la selezione e il coordinamento dei docenti responsabili delle unità in presenza e on line e i criteri di riconoscimento dei crediti formativi universitari per l’attività formativa. La Sovraintendenza agli studi ha assicurato il raccordo con le Istituzioni scolastiche, il coordinamento dei docenti con funzione tutoriale e il monitoraggio dell’iniziativa.
Nell’autunno del 2005, è stato quindi possibile dare il via al “Laboratorio di primo livello per la formazione congiunta iniziale e in servizio nell’ambito dell’italiano lingua seconda” rivolto a docenti di tutte le discipline impegnati in classi con alunni stranieri.
In coerenza con il principio che l’apprendimento linguistico non può essere delegato al solo docente di italiano, il corso ha coinvolto una cinquantina di docenti di lingue, lettere e di discipline non linguistiche in servizio presso le Istituzioni scolastiche della Regione e studenti del Corso di Studi in Scienze della Formazione Primaria. Questa formula ha consentito il raccordo tra formazione iniziale e formazione in servizio degli insegnanti, permesso la condivisione di buone pratiche e favorito l’adozione di un approccio plurilingue e una maggiore attenzione alla continuità tra i cicli. Grazie all’approccio multidisciplinare della formazione erogata è stato possibile affrontare il problema complesso dell’inserimento e dell’integrazione di studenti stranieri da diversi punti di vista e da ambiti disciplinari differenti: linguistico, glottodidattico, psico-socio-pedagogico.
I risultati positivi conseguiti e i pareri favorevoli rilevati con i questionari di valutazione hanno spinto i due organismi a ripresentare il corso di primo livello per l’anno scolastico in corso e l’Università della Valle d’Aosta a proporre un corso di perfezionamento postlauream in “Didattica dell’italiano come lingua seconda” che completa i contenuti del corso di base con un segmento di approfondimento di cento ore.
Al di là degli esiti positivi evidenziati dal monitoraggio in itinere e finale, l’azione “Italiano L2” ha prodotto un risultato non previsto gettando le basi per un sistema di sinergie virtuose tra i soggetti istituzionali coinvolti che ha portato alla firma di un nuovo Protocollo di intesa tra Sovraintendenza agli studi e Università della Valle d’Aosta per una più ampia collaborazione nell’ambito
della formazione, della ricerca e della certificazione.

Gabriella Vernetto
Coordinatrice per la Sovraintendenza agli studi
Servizio Ispettivo Tecnico


Il suo apprendimento si differenzia, d’altra parte, da quello di chi studia una lingua straniera fuori contesto: gli input della realtà quotidiana che lo circonda si intersecano a quelli stimolati dalla scuola e, a differenza di questi, non seguono le gradualità e progressioni delle situazioni di insegnamento formale, ma si offrono secondo una casualità determinata dalle esperienze individuali e dalle singole circostanze di vita. Il ragazzino cinese la cui famiglia gestisce un ristorante, tanto per fare un esempio, specializzerà il proprio serbatoio di lessico italiano nell’ambito della cucina e della gastronomia e acquisirà probabilmente con una certa rapidità formule e routine di cortesia legate a quel contesto, malgrado l’insegnante nella sua programmazione abbia deciso di rimandare l’introduzione di tali contenuti a un momento successivo. Le aspettative della scuola nei suoi riguardi, d’altra parte, potranno apparirgli distanti dai bisogni che sente come prioritari: lo studio di discipline che prevedono l’impiego veicolare di varietà di italiano (e di francese) che rimandano a modelli formali, elevati, settoriali molto differenti da quelli che pratica nella vita quotidiana potranno indurlo a perdere motivazione e interesse per i contenuti proposti. D’altra parte, il suo tendere ad una bilingualità di tipo additivo, che non comprometta, cioè, la competenza in lingua materna, si potrà scontrare, a volte, con incauti consigli che lo indirizzeranno a smettere di praticarla per evitare interferenze e commistioni e quindi, gradualmente, a dimenticarla. A volte sarà l’apprendente stesso - o una famiglia impaziente che l’integrazione del figlio nella nuova comunità implichi una totale identificazione in essa - a procedere a una sistematica cancellazione delle competenze linguistiche preesistenti (bilingualità sottrattiva). In questo modo, l’apprendente rischierà di dirigersi verso vuoti cognitivi determinati dall’assenza di un codice dominato a sufficienza per pensare, per esprimersi, per comunicare. E, molto spesso, la comunicazione sarà ulteriormente ostacolata dalle difficoltà che incontrerà a assumere le modalità relazionali e comportamentali richieste dal contesto scolastico: il come e il quanto si parla, si gioca, si ride, si piange, si gesticola a scuola; il quando si deve entrare, uscire, intervenire, guardare, tacere potranno presentare schemi molto differenti da quelli incontrati nelle esperienze precedenti e, a volte, risultare anche in contraddizione con essi.

Tutorato e attività pratiche

Le attività di gruppo attivate all’interno della prima edizione del Laboratorio sono state svolte con l’obiettivo principale di elaborare materiali didattici in gruppi di apprendimento cooperativo. Questa parte, più operativa, è stata seguita e coordinata dagli stessi tutor che avevano il compito di facilitare e moderare le discussioni all’interno del forum on line.
In questo specifico contesto, sono state richieste ai partecipanti l’ideazione e la conduzione di un percorso di lavoro che costituisse un’elaborazione del loro vissuto didattico nei confronti degli alunni non italofoni. Il lavoro è consistito essenzialmente nell’analisi e nella produzione di materiali didattici, ambito in cui i concetti esposti nelle varie unità, fruite e discusse on line e/o in presenza, hanno trovato una concreta applicazione.
Le proposte di lavoro sono state raggruppate sotto tre categorie generali: l’accoglienza, la dimensione linguistica, l’integrazione. Per la scuola dell’infanzia e primaria, i gruppi di lavoro si sono concentrati sulla didattica interculturale, mentre per la scuola secondaria di primo e secondo grado, le attività si sono piuttosto orientate sulla lingua dello studio con i suoi sottocodici e contenuti disciplinari.
I lavori - di cui qui presentiamo alcune brevi sintesi - sono stati condotti nel quadro metodologico della ricerca-azione in cui l’insegnante svolge ricerca didattica in una prospettiva innovativa per migliorare o cambiare una situazione preesistente, per affrontare e risolvere un nuovo problema.
Molti erano gli spunti di riferimento per i corsisti, i quali, avendo alle spalle periodi più o meno lunghi di esperienza in vari ordini di scuola, hanno potuto attingere alle svariate situazioni presentatesi in classi plurilingui. I lavori si sono così concentrati principalmente su argomenti interdisciplinari che permettevano una trattazione in chiave interculturale oppure su aspetti specifici legati all’apprendimento linguistico, da parte, ad esempio, di allievi arabofoni, oppure ancora sulla creazione di attività ludiche o vocabolari plurilingui.
Per quanto riguarda l’attività di tutoraggio on line, i conduttori-moderatori della discussione, o tutor, hanno avuto il compito principale di stimolare la partecipazione dei corsisti al forum intorno ad argomenti trattati in specifiche unità o moduli, redatti da docenti esperti. Anche in questo caso gli ambiti di discussione erano di tipo socio-psico-pedagogico, ambito che ha offerto la possibilità di approfondire la riflessione in modo attivo su tematiche interculturali, oppure più specificamente linguistici, come nel caso di varie tematiche legate alla didattica dell’italiano a stranieri, come l’ascolto e la comprensione dell’italiano L2, le certificazioni linguistiche, il progetto CLIL, le varietà dell’italiano.
Superate le prevedibili iniziali difficoltà con lo strumento informatico, le discussioni hanno dimostrato interesse vivace da parte dei corsisti che, sotto la guida dei tutor, hanno partecipato attivamente al forum sia portando la loro esperienza sia condividendo il percorso di formazione con nuovi stimoli utili a tutti.
Il ruolo del tutor, se all’inizio può essere sembrato irto di difficoltà, si è rivelato poi, nel corso della discussione, gratificante ed interessante proprio per la possibilità di guidare e facilitare, seppure attraverso un mezzo non familiare ancora a tutti, un percorso di formazione innovativo in campo scolastico.

Melinda Forcellati


Ma, una volta superato lo scoglio dell’adattamento iniziale al nuovo contesto, le difficoltà non saranno finite. Molto di frequente le attenzioni e risorse didattiche della scuola si concentrano nella fase di emergenza iniziale e tendono a scomparire non appena l’alfabetizzazione primaria risulta acquisita in modo soddisfacente. L’apprendente rischia, così, di essere lasciato solo proprio nel momento in cui si trova di fronte al compito più decisivo del suo percorso scolastico, e cioè quello in cui si deve impossessare di competenze e abilità linguistiche che gli permettano di controllare sottocodici, espressioni settoriali e concetti delle diverse discipline di studio e di dominare varietà di italiano con cui - malgrado la situazione di immersione - non ha occasioni di contatto nell’esperienza quotidiana.
I problemi linguistici e culturali che deve affrontare nel suo percorso scolastico un ragazzino straniero, insomma, sono tali e tanto complessi da non poter essere affrontati in solitudine: passa, così, nelle mani degli insegnanti la responsabilità di sostenerlo per il superamento degli ostacoli relativi alle diverse fasi del suo inserimento o, in alternativa, di consentirgli di decidere di prendere le distanze da ogni contesto di apprendimento guidato. Ma, per occuparsi di un incarico tanto delicato, gli insegnanti si devono destreggiare fra compiti in gran parte nuovi, per affrontare i quali sentono spesso di non padroneggiare a sufficienza la strumentazione teorica e pratica, tecnica e metodologica. Di qui l’esigenza di trasferire dal campo della ricerca scientifica a quello delle pratiche didattiche chiavi che possano dischiudere prospettive di insegnamento capaci di rispondere in modo adeguato alle sollecitazioni legate all’inserimento degli allievi stranieri, convertendo quello che può diventare un “problema” in “risorsa” per l’intero gruppo classe e per la crescita professionale dell’insegnante.

LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI

Con l’obiettivo prioritario di fornire agli insegnanti i fondamenti teorici e gli strumenti applicativi di base per rispondere ai bisogni linguistici degli allievi non italofoni, su sollecitazione e in collaborazione con la Sovraintendenza agli Studi, l’Università della Valle d’Aosta ha avviato nell’a.a. 2005-2006 l’azione Italiano L2 in Valle d’Aosta, che ha previsto l’attivazione di uno specifico percorso di formazione, strutturato in due livelli (Laboratorio di base e Corso avanzato). La somma dei due segmenti (Perfezionamento postlauream in didattica dell’italiano come lingua seconda - DIDIT/L2) prevede un riconoscimento congiunto del titolo, corrispondente - sul versante universitario - a 15 crediti formativi (CFU) e - su quello scolastico - a 2 punti per le graduatorie degli insegnanti.
Le modalità di erogazione della formazione sono state concepite per venire incontro alle difficoltà logistiche di coloro che lavorano. Per questa ragione, il percorso prevede l’integrazione tra momenti di formazione a distanza, che consentono maggiore flessibilità di fruizione in termini di spazio (sedi) e tempo (orari), e momenti di formazione in presenza. Questi ultimi, oltre a trattare gli eventuali problemi emersi durante le fasi di autoapprendimento, sono finalizzati a promuovere la conoscenza, la cooperazione e lo scambio fra insegnanti di differenti istituzioni scolastiche, a accrescere e socializzare l’apprendimento, a introdurre o approfondire tematiche specifiche o settoriali. I raccordi tra la dimensione teorica e quella pratica vengono garantiti dalla presenza di insegnanti-tutor, che accompagnano il percorso dei colleghi nella soluzione di problemi di accesso tecnologico, nel superamento di ostacoli motivazionali o organizzativi, nella sperimentazione di materiali, studio di casi, simulazione di esperienze, ecc. attraverso consulenze individuali e attività di gruppo.

Il protocollo di accoglienza
Componenti del gruppo: Cristina De Giovanni, Daniela Levi, Valeria Negri, Danila Norbiato, Serena Pramotton.
Compiti: Analisi, valutazione e redazione di protocolli finalizzati alla creazione di percorsi di accoglienza di alunni stranieri nelle scuole valdostane.
Prodotti disponibili: Dossier (Introduzione / Che cos'è un “Protocollo di accoglienza” / Compiti della Commissione accoglienza / L'iscrizione / La prima accoglienza / La relazione con le famiglie immigrate / Allegati).

Che cos’è un protocollo di accoglienza?
Il protocollo di accoglienza è un documento che intende presentare una modalità corretta e pianificata con la quale affrontare e facilitare l’inserimento scolastico degli alunni stranieri. Esso può essere considerato come un punto di partenza comune, all’interno del percorso dei vari team-docenti.
Deliberato dal Collegio docenti, contiene criteri e prime indicazioni riguardanti l’iscrizione e l’inserimento degli alunni immigrati, definisce compiti e ruoli degli operatori scolastici, traccia le diverse fasi dell’accoglienza e delle attività di facilitazione per l’apprendimento della lingua italiana. Costituisce uno strumento di lavoro che viene integrato e rivisto sulla base delle esperienze realizzate e delle risorse della scuola.
Il protocollo d’accoglienza si propone di:
• definire pratiche condivise all’interno delle scuole in tema di accoglienza di alunni stranieri;
• facilitare l’ingresso di alunni di altra nazionalità nel sistema scolastico e sociale;
• sostenere alunni neo arrivati nella fase di adattamento al nuovo contesto;
• favorire un clima di accoglienza e di attenzione alle relazioni che prevenga e rimuova eventuali ostacoli alla piena integrazione;
• costruire un contesto favorevole all’incontro con le altre culture e con le “storie” di ogni bambino;
• promuovere la comunicazione e la collaborazione tra scuola e territorio.
Il protocollo delinea prassi condivise di carattere amministrativo e burocratico (l’iscrizione), comunicativo e relazionale (prima conoscenza), educativo-didattico (proposta di assegnazione alla classe, accoglienza, educazione interculturale, insegnamento dell’italiano seconda lingua), sociale (rapporti e collaborazioni con il territorio).
Nel protocollo vengono indicate le tipologie d’intervento che la scuola annualmente è in grado di attivare sia attingendo a risorse professionali ed economiche interne sia mediante accordi e convenzioni con enti locali, associazioni, altre scuole e territorio.

Queste ultime, punto di raccordo operativo tra i momenti di formazione teorica (in presenza e on line), gli spazi di discussione e riflessione metodologica e le esperienze professionali dei corsisti hanno dato luogo nella scorsa edizione alla produzione di materiali operativi, alcuni dei quali presentiamo qui in forma di sintesi o schede di lavoro. Coloro che desiderassero consultare la documentazione integrale potranno fare riferimento all’Ufficio Ispettivo, presso il quale sono disponibili copie cartacee ed elettroniche dei diversi prodotti e strumenti elaborati.
Il modello di formazione è concepito secondo un modello sperimentale sotto vari profili. In primo luogo, destinatari del segmento di base - quest’anno alla seconda edizione - sono al contempo gli studenti del Corso di Studi in Scienze della Formazione Primaria (formazione iniziale) e gli insegnanti già in servizio (formazione permanente). I primi, attrezzati di un sapere giovane e aggiornato, ma spesso poco ancorato alla realtà esperita, trovano occasioni di scambio con i secondi, che presentano in genere meno certezze teoriche, ma più robuste consapevolezze ed esperienze concrete.
In secondo luogo, e in dimensione verticale, la formazione si rivolge a insegnanti in servizio presso le scuole di ogni ordine e grado, dalla scuola dell’infanzia a quella superiore. La ragione di una scelta di questo tipo risiede, evidentemente, nella coscienza che il fenomeno dell’inserimento di apprendenti stranieri coinvolge ormai tutti gli ordini di scuola e dalla conseguente necessità di “far dialogare” su un tema comune persone che ne condividono molte problematiche e che tuttavia raramente hanno occasioni di scambio, confronto e passaggio di informazioni.

Vocabolario visuale italiano/francese/arabo

Componenti del gruppo: Simona Baiardi, Giada Bordet, Nadia Borbey, Chantal Foy, Roberta Jans, Sonia Panella.
Compiti: Progettazione di un vocabolario visuale italiano/francese/arabo.
Prodotti disponibili: Presentazione dell’attività in Power Point – flash card inerenti il lessico di base (campi semantici: famiglia, casa, cibo, abbigliamento, corpo umano, materiale scolastico, animali, colori, stagioni).


In terzo luogo, e in dimensione trasversale, la formazione coinvolge insegnanti appartenenti ai diversi settori disciplinari. Questo aspetto rappresenta uno dei punti di maggior significatività dell’intero progetto ed è motivato innanzitutto dalla volontà di sfatare un’opinione tanto diffusa quanto molesta secondo la quale sarebbero unicamente gli insegnanti “di italiano” a doversi occupare dei problemi linguistici degli allievi, italofoni e non. In realtà, tutte le discipline scolastiche sono coinvolte nell’educazione linguistica degli apprendenti, in quanto si servono della lingua per veicolare i propri contenuti e si applicano a contenuti che sono essi stessi linguaggi. La capacità di capire e usare lingua e linguaggi in modo adeguato, d’altra parte, incide sul rendimento scolastico di tutte le materie: da un lato, infatti, ogni apprendimento scolastico prevede la comprensione di contenuti diffusi dalle spiegazioni degli insegnanti e dai libri di testo; d’altro lato le valutazioni sul profitto di qualsivoglia contenuto disciplinare si basano sulla capacità dell’apprendente di dare conto, oralmente o per scritto, di quanto appreso. Questo fa sì che tutti gli insegnanti debbano dotarsi di strumenti teorici e pratici per una corretta comunicazione didattica disciplinare nei confronti degli allievi, italofoni e non, in modo tale da garantire una piena integrazione e maggiori opportunità di successo scolastico.

Giochi visuali plurilingui per la scuola dell'infanzia e primaria

Componenti del gruppo: Joëlle Dalle, Laura Giovanetto, Anna Glesaz, Sonia Peloso, Alice Perrin, Mara Tridente.
Compiti: Ideazione e realizzazione di giochi da tavolo plurilingui (italiano, francese, inglese, rumeno, arabo).
Prodotti disponibili: Presentazione delle attività in Power Point. Giochi da tavolo realizzati in cartoncino.



TEMI E SOGGETTI DELLA FORMAZIONE

I due segmenti che compongono il percorso formativo attivato nell’ambito dell’Azione Italiano L2 in Valle d’Aosta riproducono i due grandi binari entro i quali si articolano le problematiche avvertite dagli insegnanti come urgenze formative. Da un lato, e come sostrato, stanno i temi trasversalmente legati all’inserimento in classe degli apprendenti non italofoni: si tratta di questioni che - su uno sfondo che ne mette a fuoco le dinamiche psico-pedagogiche e le coordinate sociali - evidenziano i principali nodi intorno ai quali si può articolare un progetto didattico centrato sugli apprendenti (aspetti psico-linguistici relativi alle correlazioni tra apprendimento linguistico e fattori interni come motivazione, ansietà, personalità, stili cognitivi dell’apprendente, variabili dell’apprendimento, competenze socio-linguistiche in ingresso, ecc.). D’altro lato, in quello che nel nostro contesto formativo si configura come corso avanzato, viene invece posta l’attenzione sulle specificità applicative della didattica dell’italiano come lingua seconda, e quindi sui processi di alfabetizzazione, di insegnamento/apprendimento delle abilità di base, ricettive e produttive, sulle tappe interlinguistiche delle sequenze di apprendimento, sulle caratteristiche generali e ricorrenti dei diversi livelli acquisizionali, sulle costanti relative a specifici gruppi di apprendenti, sull’analisi delle strategie caratteristiche della processazione di dati linguistici, su glotto-tecniche e glotto-tecnologie, ecc.

Parla come mangi
Componenti del gruppo: Stefania Cassina, Chantal Morosso, Sara Perrucchione, Adele Scherma.
Compiti: Analisi, produzione e sperimentazione di materiali didattici interlinguistici, interculturali e interdisciplinari intorno al tema del cibo.
Prodotti disponibili: Presentazione delle attività in Power Point. Bibliografia di riferimento.

Il nostro gruppo, ben assortito e vario come formazione e aree di insegnamento, ben sintetizza quelle che sono le caratteristiche di questo corso di formazione di italiano L2: la trasversalità, la verticalità e la formazione iniziale ed in servizio. Un cocktail, tutto al femminile, di quattro insegnanti di scuola secondaria di primo e secondo grado, di area linguistica e scientifica, con maggiore o minore esperienza d’insegnamento e, in un caso, al secondo anno della Scuola di Specializzazione.
E così, armoniosamente integrate, abbiamo scelto per il nostro progetto un argomento che ben si prestasse a lavorare in classe sull’interculturalità e non solo in presenza di studenti non italofoni: il Cibo. Perché? Per il suo carattere trasversale e interdisciplinare, perché rappresenta nutrimento per il corpo e per la mente, perché facilita la comunicazione e la socializzazione, valorizza la propria identità linguistica, dà benessere, ben si presta ad allentare eventuali tensioni interpersonali ed agisce da “collante” tra culture diverse.
L’interculturalità, obiettivo del nostro progetto, è stata sviluppata attraverso l’integrazione, intesa come accoglienza, la valorizzazione della differenza, una progettualità condivisa, un’interazione linguistica che prevedeva l’alternanza di L1, L2 e L3 come lingue veicolari, assieme all’uso di una microlingua, utile soprattutto per le classi della scuola secondaria di secondo grado ad indirizzo turistico (alberghiero) in cui c’è stata anche un’applicazione pratica di quanto prodotto nel laboratorio di cucina.
Come strategia didattica, ci siamo avvalse di un approccio operativo-interdisciplinare, con riflessioni metalinguistiche in classe sulla trasversalità dell’argomento, che offrivano l’opportunità di rivedere eventuali preconcetti e/o stereotipi sulle tradizioni e abitudini alimentari di diversi paesi. Essendo due di noi insegnanti di L3, non potevamo non avvalerci anche di un approccio comunicativo, con attività individuali, a coppie e in gruppo.
Gli strumenti utilizzati per la realizzazione del nostro progetto sono stati: libri di testo, fotocopie, riviste, giornali, video e audio-cassette, il computer, programmi quali Word e Power Point e la rete per effettuare le ricerche su internet.
I contenuti, condivisi ed elaborati sono stati, ovviamente, graduati e adattati alle nostre classi: ognuna di noi ha utilizzato la sua parte di progetto come strumento reale che ha trovato un’applicazione concreta in classe.

Adele Scherma


Sfondo integratore di entrambi i segmenti è il grande tema della comunicazione scolastica. Di volta in volta presentato in rapporto alle strutture dell’interazione e della socializzazione linguistica nel contesto scolastico, riferito alla regia di insegnamenti e lezioni, posto in rapporto ai principi della divulgazione disciplinare o alla base di approcci e ipotesi glottodidattiche (progetto CLIL - Content and Language Integrated Learning, educazione linguistica integrata, intercomprensione), il soggetto della comunicazione è stato ritenuto centrale in quanto decisivo dell’efficacia di ogni intervento di insegnamento/apprendimento.
I rapporti tra la “lingua della scuola” e quella dei ragazzi, italofoni e non, sono tipicamente connotati da forte asimmetria: le differenze - di età, istruzione, conoscenze, collocazione socio-economica, provenienza geografica e, non ultimo, lingua madre - tra gli insegnanti o gli autori dei libri di testo e gli allievi sono spesso tali da pregiudicare la comprensione di questi ultimi. Non per nulla, i ragazzi lamentano spesso di non riuscire a seguire lezioni e spiegazioni all’interno delle quali il flusso discorsivo risulta eccessivamente veloce e complesso. Il parlato degli insegnanti si caratterizza, in effetti, per l’impiego di una varietà di italiano elevata, il frequente ricorso a termini settoriali, la densità tematica, l’abbondanza di domande con tempi di risposta molto brevi. In più, mentre nelle conversazioni naturali e spontanee la posizione degli interlocutori è simmetrica, nelle interazioni scolastiche si osserva una spiccata monodirezionalità. All’interno della classe, in altre parole, l’insegnante è l’unico orchestratore della conversazione: decide di che cosa si debba parlare, quando, come e perché. Distribuzione e lunghezza dei turni di parola appaiono nettamente sbilanciate a suo favore, e anche quando la parola viene concessa agli apprendenti, la selezione degli argomenti di discussione (controllo semantico) e l’organizzazione delle sequenze e dei turni (controllo strategico) restano nelle mani dell’insegnante, che agisce secondo un piano prestabilito di cui lo studente non sempre è consapevole. La partecipazione a una lezione presuppone, di conseguenza, una serie di consapevolezze circa lo stile espositivo proprio del “discorso scolastico” e di conoscenze sulle specifiche strutture di tale modalità comunicativa: si tratta, a ben vedere, di un evento complesso, che richiede la capacità di identificare i blocchi espositivi, di cogliere e selezionare informazioni e argomentazioni chiave e di elaborare ipotesi circa i contenuti sulla base di preconoscenze e informazioni ricevute nel corso dell’ascolto. È quindi fondamentale che l’insegnante pianifichi in modo chiaro la regia di ogni proprio intervento, premurandosi di renderne riconoscibile anche ai propri allievi impianto e struttura, per esempio esplicitando le fasi di apertura, ripresa di temi trattati precedentemente, di anticipazione di contenuti, di enunciazione degli obiettivi, ecc. attraverso marche discorsive segnalatrici di blocchi espositivi e confini di enunciati e attività. La disponibilità dell’insegnante a verificare costantemente l’efficacia dei processi di comunicazione e a introdurre - quando necessario - dispositivi di facilitazione (semplificazione lessicale, parafrasi, ridondanze, ripetizione di informazioni fornite in forme differenti) rappresenta un valore aggiunto per ciascun allievo, e non soltanto per quelli stranieri, in quanto soltanto variando quanto più possibile le proprie scelte linguistiche l’insegnante potrà davvero andare incontro alle specifiche esigenze di ciascun apprendente del gruppo classe.

Semplificazione delle consegne nelle verifiche
Componenti del gruppo: Giuliana La Mastra, Antonella Molena.
Compiti: Produzione di materiali sottoposti a semplificazione linguistica.
Prodotti disponibili: Presentazione dei materiali e delle attività in Power Point.

Considerate le difficoltà che incontrano gli alunni nella comprensione dei testi scritti, soprattutto in un momento ansiogeno come la prova di verifica, abbiamo pensato di apportare alcuni correttivi alla formulazione dei compiti in classe di italiano e storia.
Abbiamo lavorato con alunni non italofoni del biennio iscritti al corso diurno di ragioneria e al corso serale Sirio che presentavano età e livello differente: tra A1 e B1 del “Quadro di riferimento delle lingue europee”.
Il nostro obiettivo era verificare la loro comprensione degli argomenti senza penalizzarli per il diverso grado di conoscenza della lingua, perciò abbiamo elaborato consegne semplificate, ma sugli stessi contenuti richiesti ai compagni, avvalendoci come strumento operativo di quanto suggerito dalla prof.ssa Luisa Revelli nel capitolo La semplificazione dei testi, incluso nella dispensa Italiani scritti. Lettura e comprensione.
Dopo aver presentato agli studenti non italofoni alcune prove di diversa tipologia con testo adattato, siamo giunte alle conclusioni che seguono.
In primo luogo, la semplificazione delle consegne, benché non permetta una totale comprensione del testo, favorisce lo svolgimento del compito assegnato. Forse gli alunni non italofoni saprebbero comunque affrontare quella prova con testo non semplificato, ma per loro la semplificazione è rassicurante e a noi consente di misurare con maggiore attendibilità la conoscenza e la comprensione degli argomenti. Va precisato che gli alunni non italofoni del corso serale, per lo più adulti, stentano ad accettare un compito con consegna semplificata temendo di essere facilitati, mentre vogliono dimostrare di conoscere l’italiano come gli altri. A questo si potrebbe ovviare affiancando alla consegna “normale” una versione semplificata.
In secondo luogo, gli alunni non italofoni hanno apprezzato che si riflettesse e si ragionasse con loro sulla lingua da usare quando spieghiamo e quando formuliamo i compiti in classe.
Inoltre non bisogna tralasciare i vantaggi per l’alunno, per i docenti e per la classe.
Infatti, lo studente non italofono può affrontare il compito senza chiedere tante spiegazioni e senza ricorrere troppo spesso al vocabolario. Così si riduce la sua ansia di perdere tempo e di non terminare la prova; si evita in lui la sensazione di non capire quasi nulla e lo si fa sentire al pari con i compagni.
Gli insegnanti, oltre a poter meglio valutare le conoscenze disciplinari dell’alunno, assumono un atteggiamento neutro rispetto alla classe: tutti sono soli di fronte al compito. Infine è più facile mantenere il silenzio durante la prova e favorire la concentrazione.
Ovviamente restano aperti alcuni problemi come quello del lessico specialistico dei manuali. Esso è talvolta così difficile che gli alunni non italofoni richiedono anche una semplificazione del testo. Pertanto l’adattamento delle consegne dovrebbe porsi come l’atto conclusivo di un lavoro più ampio. Sappiamo però che interventi in tal senso richiedono tempi lunghi di preparazione dei materiali e di selezione dei contenuti, con tutti gli interrogativi e i limiti che scelte di questo genere comportano. Forse, vista la presenza crescente di studenti non italofoni, le case editrici dovrebbero maggiormente tenere conto di questa realtà. Oltre a ciò va anche detto che non tutti gli insegnanti si mostrano ugualmente sensibili al problema che, comunque, superata la fase di alfabetizzazione, non concerne solo i docenti di lettere.

Giuliana Lamastra
Antonella Molena


Inoltre, poiché il comportamento verbale dell’insegnante suscita delle aspettative sulle modalità partecipative richieste agli studenti, è opportuno che la conduzione della lezione si sottragga, almeno in parte, agli schemi tradizionali, per arricchirsi di modelli comunicativi maggiormente efficaci: la differenziazione degli stili discorsivi e delle strutture di partecipazione può, infatti, contribuire ad ottimizzare le opportunità di intervento di quegli studenti che hanno lingua, cultura o linee di apprendimento diversi da quelli cui fanno riferimento i modelli dell’insegnante, e favorisce comunque la partecipazione di tutti poiché adotta modalità e stili più simili a quelli riscontrabili al di fuori dell’ambiente scolastico.
Le lezioni impostate secondo modelli alternativi a quello frontale costituiscono, d’altra parte, utili occasioni di pratica delle abilità conversazionali: si tratta di momenti importanti per la socializzazione, l’acquisizione e il consolidamento delle strutture linguistiche all’interno dei quali entrano in gioco competenze fondamentali. Gli stili discorsivi propri dei contesti extrascolastici, di cui hanno esperienza gli allievi italofoni, così come quelli relativi ad altre culture di cui sono portatori gli allievi stranieri, sono manifestazioni di una competenza comunicativa che può risultare difforme da quella che l’insegnante si aspetta venga adottata nell’interazione in classe, soprattutto per quanto riguarda le procedure di base che governano l’alternanza del ruolo di parlante e ascoltatore e la conseguente capacità di rispettare i turni di parola. Sperimentare in classe differenti stili e modelli di comunicazione induce a assumere maggiore consapevolezza delle proprie modalità comunicative e riflettere su di esse consente di interpretare meglio quelle degli altri, anche in rapporto agli obiettivi che l’insegnante indica come desiderabili. E, anche in questo caso, la crescita in fatto di competenze linguistiche e metalinguistiche va a vantaggio di tutti.

Almeno un ultimo importante aspetto, infine, merita di essere segnalato a proposito delle dinamiche della comunicazione scolastica. Si tratta, in questo caso, della comunicazione disciplinare cui abbiamo accennato in apertura, e soprattutto di quella scritta, ovvero dell’italiano dei libri di testo, dell’italiano “per studiare”.
Nella scelta di un manuale, l’insegnante procede, in genere, a valutare validità, attendibilità e aggiornamento scientifico dei contenuti e a verificare se esso si conformi al proprio stile di insegnamento in relazione all’impianto disciplinare e ai processi di apprendimento che si propone di attivare e controllare. Più raramente, ma sempre più spesso, si domanda anche se i modelli comunicativi proposti siano effettivamente adeguati ai destinatari. Il quesito è legittimo; la risposta complessa.
Le numerose ricerche che nell’ultimo ventennio si sono sviluppate in quest’ambito hanno spesso dimostrato che i libri di testo sono troppo difficili per essere oggetto di lettura e studio autonomo da parte di gran parte degli studenti.
La ragione di tale “difficoltà” va imputata a diversi fattori. In primo luogo, esiste un vincolo di brevità imposto dalle disposizione legislative in termini di numero di pagine. Piuttosto che tradursi in una riduzione della quantità di informazioni, tale brevità si traspone sistematicamente in densità informativa: le informazioni scientifiche vengono, in altre parole, sinteticamente concentrate in poche righe, e fornite una sola volta. I principi che garantiscono della chiarezza e comprensibilità di un messaggio rispondono, per contro, a principi di ridondanza informativa: richiami, riformulazioni, ripetizioni e riprese sono meccanismi fondamentali per consentire al destinatario di svolgere appieno i suoi compiti cognitivi.
Il problema diventa particolarmente spinoso quando i concetti da afferrare si pongono a livelli di astrazione molto elevati, e l’organizzazione logico-concettuale non supporta i processi di ragionamento del lettore: se alla linearità espositiva si contrappone la presenza di salti concettuali, se all’esplicitazione di collegamenti fra contenuti si sostituiscono rimandi impliciti a conoscenze presunte, ecc., la comprensione rischia di essere integralmente compromessa. L’italiano impiegato nei testi scolastici disciplinari, in più, presenta le caratteristiche tipiche dei linguaggi settoriali: si differenzia dalla lingua comune perché contiene espressioni e vocaboli con un elevato livello di specificità (tecnicismi), introdotti per evitare quella ambiguità o indeterminatezza che caratterizza, invece, le varietà linguistiche più neutre. L’accesso alle microlingue - o lingue speciali - è, d’altra parte, ritenuto da gran parte degli insegnanti condizione irrinunciabile per uno studio disciplinare di qualità, privo di genericità o banalizzazioni. Se questo è ragionevole, è però altrettanto vero che il “sapere” proposto agli allievi non si deve esaurire nella codificazione di formule e definizioni, rischiando di coincidere con l’acquisizione mnemonica e verbalistica di massime e frasi convenzionali da ripetere meccanicamente.
È perciò opportuno tenere presente che comprendere un testo (conoscerlo a fondo, averne afferrato i contenuti, colto i nessi logici, ecc.) non corrisponde a capire tutte le parole che lo compongono. Troppo spesso, in passato, la spiegazione delle parole tecniche o “difficili” è stata considerata come pratica sufficiente a preparare gli studenti allo studio individuale (e, simmetricamente, la mancata conoscenza dei termini microlinguistici come indizio di mancata comprensione). È certamente vero che capire il senso delle singole parole è utile e importante, ma è altrettanto vero che è possibile comprendere il significato complessivo di una frase anche perdendo il significato di alcune parole. E, d’altra parte, i concetti espressi da una frase o un testo non corrispondono alla somma dei significati delle singole parole, ma al complesso delle informazioni - semantiche, ma anche pragmatiche, psicologiche, sociali e culturali - che si vengono intrecciando. Nei testi scolastici disciplinari tale intreccio di relazioni risulta particolarmente difficile da cogliere e interpretare, anche da parte dei destinatari maggiormente competenti. Per questa ragione, i libri di testo disciplinari rischiano di risultare del tutto inaccessibili agli apprendenti stranieri. E, per questa ragione, l’educazione linguistica trasversale privilegia, innanzitutto, gli aspetti comunicativi legati alla comprensione e alla comprensibilità dei messaggi orali e scritti.

Università della Valle d'Aosta
Université de la Vallée d'Aoste
Azione ITALIANO L2 in VALLE D'AOSTA
CORSO DI PERFEZIONAMENTO IN
DIDATTICA DELL'ITALIANO COME
LINGUA SECONDA

Concepito nel quadro di uno specifico Protocollo d'Intesa siglato con la Sovraintendenza agli Studi, il perfezionamento postlauream in Didattica dell'Italiano come lingua seconda (DIDIT/L2) si rivolge prioritariamente agli insegnanti, cui si propone di fornire strumenti teorici e pratici per rispondere in modo appropriato ai bisogni linguistici degli allievi non italofoni inseriti nelle classi di ogni ordine e grado.
Destinatari
Possono iscriversi coloro che sono in possesso di Diploma di Laurea triennale o quadriennale o di un titolo universitario corrispondente conseguito in un Paese dell'Unione Europea.
Contenuti
Inseriti in uno sfondo psico-socio-pedagogico, i fondamenti di linguistica e glottodidattica costituiscono i temi centrali del percorso, che prevede l'integrazione tra momenti di formazione teorica, spazi di riflessione metodologica e occasioni di riflessione e ricerca sulle pratiche didattiche.
Organizzazione didattica
Il percorso previsto si struttura in due segmenti - un LABORATORIO DI BASE (80 ore) e un CORSO AVANZATO (100 ore) - e si articola in lezioni teoriche (132 ore) e in attività pratiche (48 ore), per complessive 180 ore.
Le lezioni teoriche sono erogate secondo il modello dell'e-learning integrato, che prevede ore di didattica in presenza e ore di didattica on line.
Attestazione e riconoscimento congiunto del percorso
La partecipazione alle attività di didattica in presenza e la frequenza attiva e continuativa delle altre forme di studio guidato e di didattica interattiva, verificate attraverso la rilevazione quantitativa e qualitativa degli interventi on line e in presenza, danno luogo al rilascio di un attestato certificante il conseguimento di 15 crediti formativi universitari (CFU).
La partecipazione alle lezioni in presenza rientra nelle attività soggette alle disposizioni in materia di fruizione del diritto alla formazione del personale docente (applicazione dell'art. 62, comma 3 CCNL comparto scuola). La frequenza dell'intero perfezionamento prevede l'attribuzione di 2 punti per le graduatorie permanenti, ai sensi dell'art. 1 novies della legge 43/05.

INFO DIDIT/L2
Ufficio Placement
Università della Valle d'Aosta
ref. Federica Vielmi
tel. 0165 306763
e-mail: u-placement@univda.it
www.univda.it


Non potendo, in questa sede, dedicarci ad ulteriori approfondimenti, ci limitiamo a presentare la sintesi di un’attività di semplicazione testuale, una fra le diverse tecniche di facilitazione per migliorare la comunicazione disciplinare, sperimentata da due insegnanti all’interno dei gruppi di lavoro del Laboratorio dello scorso anno, rimandando chi fosse interessato a approfondire e tematiche qui accennate a una prossima edizione dell’azione Italiano L2 in Valle d’Aosta.


Luisa Revelli

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