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Per la grande maggioranza dei bambini latino americani, appena approdati in Italia l’inserimento alla mensa scolastica non è facile. Fortunatamente le difficoltà iniziali si risolvono rapidamente. Emigrare è un trauma. Abituarsi alla cultura del nuovo paese è complesso e faticoso. Tra gli elementi culturali con cui tutti gli immigrati devono fare i conti ci sono le abitudini alimentari.
Per i bambini di cultura latino-americana, quelli che io conosco meglio e con cui lavoro come mediatrice culturale, anche solo il fatto di mangiare a scuola è una novità.
Nei loro paesi di origine, il pranzo non viene mai consumato a scuola, non esistono mense scolastiche. A scuola, come prima colazione, ai bambini viene dato solo un bicchiere di latte con un biscotto. Durante l’intervallo di metà mattina, è normale che genitori, soci di cooperative entrino nelle scuole e vendano biscotti, merendine, spremute.
La prima difficoltà che i bambini di cultura latino-americana incontrano è dunque quella di abituarsi alla mensa. La prima, ma non l’unica. Devono poi affrontare l’impatto con la cucina italiana.
Il riso, ad esempio, che hanno l’abitudine di consumare tutti i giorni, un po’ come la pasta per i bambini italiani, secondo i loro gusti andrebbe cotto maggiormente, e i salumi e i formaggi stagionati risultano al loro palato salati.
Anche il modo di proporre le pietanze è diverso: sono abituati al piatto unico, non a più portate.
I bambini, in un primo momento sono in difficoltà, cercano cibi che conoscono, quelli abitualmente cucinati dalla mamma. Non trovandoli, devono cambiare abitudini.
In ogni caso la mensa è una comodità che interrompe piacevolmente le lunghe ore di lezione.
Non è raro, infatti, che le mamme lavorino e non abbiano la possibilità di preparare il pranzo di mezzogiorno.
Mi ricordo che una cuoca di una refezione scolastica si rivolse a me, in quanto mediatrice culturale, perché un bambino di nove anni, arrivato da poco dalla Repubblica Dominicana, non voleva assaggiare alcuni cibi, li rifiutava senza riuscire a spiegare perché, non essendo in grado di esprimersi in italiano. Quando c’era spezzatino, era l’unica occasione in cui mangiava tutto e inzuppava anche il pane nel sugo. Ho parlato con lui e con la mamma, che era molto dispiaciuta. Mi ha spiegato che suo figlio non apprezzava i cibi privi di colore. Non mangiava il petto di pollo, non mangiava le verdure, se non le vedeva colorate. Allora, per abituarlo alla mensa, ho consigliato alla cuoca di mettere un po’ di sugo di pomodoro per colorare le pietanze. La cosa ha funzionato. Nel giro di poco tempo, il bambino si è abituato al cibo cucinato all’italiana.

Martha Herrera

Di solito, nelle scuole, è già predisposto un modulo sul quale la famiglia può indicare i cibi che i bambini non possono consumare per motivi religiosi. Noi musulmani mangiamo la carne macellata in modo particolare, ma soprattutto, non consumiamo carne di maiale, cibi cucinati con lo strutto e con il vino.
Il cibo, nella mia attività di mediatrice culturale, non è mai stato un vero problema; le maestre si sono sempre dimostrate molto disponibili.
Il bambino, appena arrivato, deve abituarsi a un nuovo modo di mangiare certe pietanze. In Marocco alcuni sono abituati ad inzuppare direttamente il pane nel sugo e, i primi giorni, i nostri bambini, appena inseriti alla mensa, possono incontrare qualche piccola difficoltà di adattamento.
Per quanto riguarda il periodo del ramadan, i ragazzi sono tenuti a rispettarlo solo a partire dalla pubertà. Il problema, dunque, non si pone per i piccoli e non sono mai stata interpellata per il caso di qualche ragazzo più grande.
Conosco una ragazza marocchina che adesso frequenta l’università e che mi ha raccontato che, durante il periodo del ramadan, quando si mangia solo prima dell’alba e dopo il tramonto, per rompere il digiuno, porta con sé alcuni datteri che sgranocchia prima di arrivare a casa, dopo che il sole è tramontato.

Khadijia El Amrani

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