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        De gustibus disputandum est 
        Riflessioni linguistiche a proposito di cibo 
          e di gusti Occuparsi di didattica della lingua all'interno di un percorso 
          dedicato al cibo significa aprire un numero di potenziali finestre 
          di approfondimento sul “sistema lingua” pressoché 
          infinito. Le specificità relative al dominio della cucina, 
          della gastronomia, dell'alimentazione offrono molteplici 
          occasioni di riflessione linguistica, a partire dall'osservazione delle 
          dinamiche conversazionali caratteristiche dei contesti comunicativi 
          conviviali: un gruppo di commensali seduti intorno a un tavolo utilizza 
          battute rituali codificate (ad esempio formule e routines di cortesia: 
          mi passi ***, per favore? Ne vuoi ancora? No, basta; Sì grazie; 
          di compiacimento: che bontà! È squisito!; di 
          chiusura: sono sazio, satollo, pieno, pieno come un uovo); 
          misura gli scambi di turno scandendo l'alternanza delle battute sul 
          ritmo della degustazione dei cibi; impiega con disinvoltura tecnicismi 
          esclusivi o per lo meno specifici di quell'ambito contestuale (leccarda, 
          schiumarola, trinciapollo) e tende a utilizzare - molto più 
          che in altre situazioni - parole che rispecchiano specifiche esperienze 
          linguistiche, sociali, culturali e geografiche. Pensiamo, ad esempio, 
          all'ambito dei geosinonimi, ovvero delle varianti lessicali impiegate 
          nelle varie aree della Penisola per fare riferimento a un medesimo referente. 
          A seconda della sede geografica, il grosso frutto estivo con scorza 
          verde e polpa rossa verrà denominato anguria (area settentrionale), 
          cocomero (area meridionale) o pasteca (alcune zone 
          della Liguria; cfr. fr. pastèque). In Toscana, per melone 
          si utilizzerà popone, e cacio per formaggio; 
          i cornetti, che alludono in centro Italia alle brioches 
          a forma di mezzaluna (croissants), saranno altrove i fagiolini 
          (che in Veneto sono chiamati tegolini) o, per influenza di 
          un noto marchio commerciale, coni gelato confezionati industrialmente. 
          Al sud Italia i maccheroni sottintenderanno genericamente qualsiasi 
          tipo di pasta alimentare, lunga o corta, forata o meno, mentre le costine 
          saranno considerate piccole bietole per frittate e ripieni soltanto 
          da parte di valdostani e piemontesi, corrispondendo a tagli di maiale 
          o agnello con l'osso in tutto il resto d'Italia. La selva di denominazioni 
          si fa particolarmente intricata quando ci si addentri nell'ambito delle 
          specificità relative, per esempio, alle preparazioni di carne 
          e verdure, ai tipi di pasta o ai formaggi. Emblematiche in questo senso 
          risultano le denominazioni dei prodotti da forno e delle varietà 
          di pane, differenti non soltanto da regione a regione, ma addirittura 
          tra località. Poche di esse, come grissini (dal piemontese 
          grissin o ghersin, diminutivo di ghersa “filone 
          di pane”), risultano convalidate a livello nazionale. Per biove, 
          micche (forse da una voce latina; cfr. fr. miche “pagnotta” 
          e, in area svizzera e belga, “panino”), micconi, 
          grisse, spaccate e rosette il dominio di 
          condivisione resta tutt'al più quello relativo all'Italia nord-occidentale. 
          
  Della 
          marcatezza regionale di molte espressioni gastronomiche i parlanti - 
          adulti e bambini - sono spesso inconsapevoli, così come tendono 
          a non percepire, a meno di essere condotti a rifletterci, l'origine 
          dialettale di alcune denominazioni penetrate nell'italiano corrente. 
          È il caso dei piemontesi gianduia, bagna cauda 
          e vitello tonnato (vitel toné), dei liguri 
          trenetta, pesto, panissa; dei lombardi gorgonzola, 
          ossobuco, panettone, risotto; dei romaneschi 
          abbacchio, stracciatella e supplì; 
          dei napoletani pizza, mozzarella, sfogliatella, 
          babà; dei siciliani cannolo e cassata. E, d'altra parte, i nomi di alimenti e pietanze possono avventurarsi 
          anche molto oltre i confini di una lingua o nazione. Se è vero 
          che di termini (e dei relativi referenti) come pizza e spaghetti 
          ci è debitrice gran parte del mondo occidentale, è 
          altrettanto vero che anche l'italiano nel corso dei secoli ha attinto 
          a piene mani da altri idiomi e culture. Abbiamo, così, forestierismi 
          gastronomici integrati in tempi così lontani da non essere più 
          certamente percepiti come tali: alla dominazione araba nel bacino del 
          Mediterraneo risalgono, per esempio, voci come carciofo, melanzana, 
          zucchero e caffè; agli storici contatti con 
          la Francia entrate adattate come cotoletta e filetto, 
          e altre conservate in veste esotizzante come bignè (fr. 
          beignet derivato di buigne “bernoccolo”), 
          entrecôte e vol-au-vent; alla veicolazione dell'olandese 
          prestiti come baccalà, stoccafisso, pompelmo 
          (dal tamil pampalimasu); all'influsso dell'inglese tipi come 
          punch e roastbeef, oltre all'apparentemente nostrano 
          bistecca (beef-steak, composto di beef “bue” 
          e steak “fetta di carne”) e ai più recenti 
          hamburger (tratto dalla locuzione Hamburger steak 
          “bistecca amburghese”) e ketchup. Esempi di prestiti 
          di necessità, ovvero di importazioni sincrone di referente e 
          significante, sono rappresentati dal turco yogurt, dall'ungherese 
          gulasch, dal russo vodka o da esotismi introdotti 
          attraverso mode o occasioni di contatto linguistico più recenti 
          (giapp. sushi e surimi; sp. tapas; ar. cuscus).
 I viaggi delle parole non si limitano, però, a superare i confini 
          politici e geografici; sfidano anche quelli grammaticali, osando passaggi 
          di status - da nome proprio a nome comune (besciamella, prestito 
          adattato dal francese béchamel, dal cognome del cuoco 
          Louis de Béchamel, inventore della salsa nel XVII secolo; gorgonzola, 
          dal toponimo della cittadina lombarda) - o di consistenza e significato. 
          È il caso dei numerosi termini gastronomici entrati nell'uso 
          con accezioni traslate o metaforiche: di un individuo noioso o seccante 
          si dice che è una pizza, di uno ottuso o insignificante 
          che è una rapa o un baccalà, di uno 
          privo di vigore fisico o morale che è una mozzarella, 
          di un altro eccessivamente magro che è uno spaghetto, 
          di uno di indole mite che è un pezzo di pane. Una persona 
          con presa malsicura ha le mani di pasta frolla; chi mescola 
          impropriamente elementi eterogenei fa una macedonia e chi combina 
          un guaio o un pasticcio una frittata. Pur senza fare riferimento 
          a riti cannibali, è possibile cucinarsi una persona (“adesso 
          me lo cucino per bene”), arrostirsi al sole, cuocere 
          nel proprio brodo o in un brodo di giuggiole, essere divorati 
          dall'invidia, bollire di rabbia, stufarsi, stufare, 
          friggere per l'impazienza e eventualmente mandare a farsi 
          friggere qualcun altro.
 Le possibilità di esplorazione linguistica offerte dal tema del 
          cibo, insomma, sono particolarmente stuzzicanti e appetitose.
 I percorsi che andiamo a proporre prendono in considerazione, pur sotto 
          differenti aspetti, soltanto una porzione del potenziale linguistico 
          offerto dal dominio: quella legata al lessema gusto. Si tratta 
          di una sintesi di esperienze compiute da un gruppo di studenti del corso 
          di laurea in Scienze della Formazione Primaria dell'Università 
          della Valle d'Aosta frequentanti il corso e il laboratorio di Didattica 
          della lingua italiana condotti da chi scrive nell'anno accademico 
          2004/2005. Gli studenti, futuri insegnanti di scuola dell'infanzia e 
          elementare, sono stati sollecitati a produrre riflessioni e proposte 
          didattiche a partire dal tema-stimolo. Le idee si sono moltiplicate, 
          ispirando molti e variegati percorsi che sono stati poi sperimentati 
          in differenti scuole, dove sono stati accolti con curiosità e 
          entusiasmo da bambini e insegnanti.
 Ciò che qui presentiamo è una sorta di rassegna delle 
          esperienze più significative, rassegna necessariamente schematica 
          e stringata, e che tuttavia speriamo possa risultare utile per la progettazione 
          di analoghe esperienze, da graduare e variare nella loro realizzazione 
          a seconda del livello di scuola e, naturalmente, sulla base di interessi, 
          competenze e bisogni dei giovani interlocutori.
 
 De gustibus disputandum est I gusti, questo è pacifico, non si discutono, ma a proposito 
          di gusti e di gusto si può discutere - parlare, 
          ragionare, dibattere - per occuparsi di educazione linguistica. Questo, 
          per lo meno, è quanto si è proposto di dimostrare il gruppo 
          di studenti cui è stato chiesto di elaborare e sperimentare alcune 
          proposte didattiche ispirate al tema del gusto. L'idea di partenza 
          è stata quella di raccogliere curiosità e interrogativi 
          intorno al lessema, per poi immaginare approfondimenti relativi a aspetti 
          differenti della didattica della lingua madre. Il primo quesito, solo 
          apparentemente semplice o anche banale, ha riguardato gli aspetti semantici 
          del termine (§: I significati di gusto). Poiché 
          le differenti accezioni sono risultate essere in stretta relazione con 
          l'origine e la storia della parola, l'interesse si è poi indirizzato 
          da un lato verso il settore onomasiologico, ovvero in direzione di un 
          confronto con i termini impiegati in altre lingue e culture per esprimere 
          il medesimo significato (§: La storia del gusto), d'altro 
          lato verso gli aspetti pragmatici, legati alla collocazione e agli usi 
          concreti della parola all'interno dell'italiano contemporaneo (§: 
          La famiglia del gusto). In quest'ambito ci si è domandati 
          con quale frequenza la parola “gusto” ed altre parole ad 
          essa connesse vengano utilizzate (§: La frequenza del gusto) 
          e in combinazione con quali termini e gesti nello specifico della produzione 
          infantile (§: I gesti del gusto).  I significati di gusto  Che cosa intendiamo quando parliamo di gusto? Il gusto 
          può essere, innanzitutto, il senso che permette di percepire 
          e distinguere i sapori, ma anche, per estensione, il sapore stesso (per 
          esempio “una caramella al gusto di limone” o “una 
          caramella senza gusto”). Sempre per estensione, con gusto 
          si può fare riferimento al piacere che si prova mangiando e bevendo 
          (“mangiare con gusto”, “bere di gusto”), 
          ma non soltanto. In senso figurato, infatti, è possibile ridere 
          di gusto, prendere gusto a un'azione che si presumeva 
          indifferente o fastidiosa e fare il gusto a attività 
          inconsuete. Appagamento e piacere possono essere espressi in senso metaforico 
          (“ci provo gusto”) o antifrastico, quando si intenda 
          mettere ironicamente in discussione la presunta piacevolezza di un'esperienza 
          o attività (“sai che gusto!”). L'idea della 
          soddisfazione accompagna anche l'idea di gusto come voglia 
          o capriccio (“mi sono preso / tolto il gusto di dire 
          quello che pensavo”), preludio all'identificazione di gusto 
          con quel senso estetico che consente di distinguere ciò che è 
          bello e raffinato (“una scelta di gusto”, “una 
          persona di buon gusto”) da ciò che risulta volgare, 
          privo di delicatezza, inopportuno (“cattivo gusto”, 
          “dubbio gusto”). Ancora, gusto può 
          alludere allo stile condiviso da un'epoca e un ambiente (“gusto 
          liberty”) o, soprattutto se flesso al plurale, a inclinazioni, 
          preferenze e percezioni del tutto soggettive e personali (“non 
          è di mio gusto”, “è questione di 
          gusti”). Il plurale gusti, d'altra parte, viene 
          anche più prosaicamente utilizzato in riferimento alle erbe aromatiche 
          utilizzate in cucina per insaporire le vivande (“cucinare l'arrosto 
          con i gusti”).Ci troviamo, dunque, di fronte a un sostantivo polisemico, a proposito 
          del quale - per lo meno di fronte a parlanti ancora acerbi - non ci 
          si può accontentare della frettolosa domanda di rito “sapete 
          che cosa vuol dire?”. Per verificare e rafforzare i livelli di 
          consapevolezza di questa sua ricchezza semantica in bambini di età 
          diverse, alcuni gruppi di studenti hanno elaborato differenti tecniche 
          di elicitazione e rafforzamento degli aspetti della competenza lessicale 
          ricettiva e produttiva. Presentiamo qui la scheda di sintesi relativa 
          ad alcune delle attività volte a verificare quanti e quali accezioni 
          del termine gusto risultassero effettivamente accessibili ai 
          giovani parlanti, ed altre finalizzate alla rilevazione delle competenze 
          semantiche ricettive e produttive preesistenti ai fini di un loro potenziamento.
 
          
            | DA PASSIVO A ATTIVO: SCORCIATOIE DEL 
                LESSICOAntonia Malara, Stefania Mastroianni, Monica 
                Romeo, Loredana Rossi, Antonella Sorace
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            | PremesseIl patrimonio lessicale di ciascun parlante comprende una parte 
                di vocabolario costituito da parole che usa normalmente, in modo 
                più o meno pertinente (lessico attivo o produttivo), e 
                da una parte, molto più consistente, comprensiva invece 
                di termini che solitamente non utilizza, ma di cui è in 
                grado di comprendere, almeno in parte, il significato (lessico 
                passivo). La didattica del lessico di stampo tradizionale focalizzava 
                la propria attenzione sul lessico attivo, proponendosi di aumentare 
                il numero di parole utilizzate da un parlante senza, però, 
                tenere conto di numerosi aspetti legati all'uso linguistico in 
                situazione (In quali contesti può essere utilizzata 
                la parola? Con quali altre parole entra solitamente in combinazione? 
                In quali parti può essere scomposta?…). La competenza 
                lessicale di un parlante può invece essere più opportunamente 
                rinforzata sulla base del potenziale racchiuso nel serbatoio del 
                lessico passivo, attraverso interventi finalizzati a fornire più 
                precise informazioni semantiche, ma anche fonetiche, morfo-sintattiche, 
                pragma-linguistiche, ecc. che mirino innanzitutto a un potenziamento 
                qualitativo che doti il parlante, oltre che di significati, di 
                concrete possibilità d'impiego dei nuovi lessemi.
 In ambito scolastico, tale processo può essere favorito 
                da uno stretto ancoraggio delle proposte di educazione lessicale 
                al mondo delle esperienze infantili, ovvero da un approccio metodologico 
                di ricerca 'ambientale' che stimoli spontaneamente il bisogno 
                di approfondimenti semantici pregnanti e motivanti rispetto a 
                concetti, oggetti, eventi già noti. È quello che 
                abbiamo verificato durante la conduzione del lavoro che non ha 
                privilegiato il solo aspetto quantitativo dell'arricchimento lessicale, 
                ma su sollecitazione degli stessi bambini si è aperto alla 
                prospettiva qualitativa, favorendo così l'adozione di un 
                metodo di lavoro più aderente agli interessi degli apprendenti 
                e quindi più motivante. La ricerca di nuovi vocaboli e 
                la comprensione di nuovi significati sono avvenute a partire da 
                “bisogni linguistici” concreti, attraverso una costante 
                negoziazione e rinegoziazione dei significati già posseduti 
                e il sistematico confronto tra pari. Grazie a questa attività 
                i bambini hanno avuto modo di approfondire la conoscenza semantica 
                di numerosi termini legati al concetto di “gusto” 
                già presenti nel loro lessico potenziale, ma non ancora 
                inseriti nel dominio del loro lessico attivo, e quindi non utilizzabili.
 L'attivitàIl percorso, che si è svolto in due classi quinte della 
                scuola elementare del quartiere Cogne di Aosta, ha avuto inizio 
                con un'attività di brainstorming. Ogni bambino 
                è stato invitato a scrivere su di un foglio quanto gli 
                venisse in mente riguardo alla parola “gusto”. La 
                lettura delle risposte è stata accompagnata da una discussione 
                collettiva finalizzata alla determinazione di macrocategorie all'interno 
                delle quali potessero essere inseriti singole parole, concetti 
                e definizioni emersi nella fase precedente. Tale operazione ha 
                richiesto l'individuazione di criteri di suddivisione capaci di 
                rappresentare gerarchicamente la varietà di tipologie di 
                risposta presenti, facendo emergere i differenti approcci possibili 
                allo studio della parola: quello propriamente referenziale, legato 
                ai rapporti tra l'immagine acustica del termine e i significati 
                da essa veicolati; quello morfologico, inerente le categorie grammaticali 
                tradizionali (nome, aggettivo, verbo, ecc.); quello pragmatico, 
                centrato sui concreti usi linguistici e i contesti d'impiego. 
                Ciascuno degli aspetti emersi ha ispirato la produzione da parte 
                dei bambini di una specifica attività (raccolte di locuzioni, 
                proverbi, modi di dire; invenzione di storie; ideazione di cruciverba; 
                ricette gastronomiche, ecc.), finalizzata alla pubblicazione di 
                un numero speciale del giornalino di plesso sul tema del “gusto”.
 Riferimenti bibliografici
 GHISELLI F., Didattica del lessico e del significato, Brescia, 
                La Scuola, 1987;
 D'AMICO S., DE VESCOVI A., Comunicazione e linguaggio nei bambini, 
                Roma, Carocci, 2003;
 PRAT ZAGREBELSKY M.T., Lessico e apprendimento linguistico. Nuove 
                tendenze della ricerca e pratiche didattiche, Firenze, La Nuova 
                Italia, 1998.
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            | ATTIVITÀ DI ELICITAZIONE NELLA 
                SCUOLA DELL’INFANZIADaniela Belley, Manuela Dalle, Deborah Dayné, 
                Silvia Ducourtil, Katya Foletto, Alessandra Genova, Federica Giunta
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            | Per verificare quali associazioni di significato 
                vengano compiute in età infantile relativamente al termine 
                “gusto”, è stata elaborata e somministrata 
                a un gruppo di bambini di 5 anni una breve intervista. Le risposte 
                ad alcune delle domande, proposte individualmente, hanno evidenziato 
                come il termine singolare “gusto” venga prevalentemente 
                associato al significato di sapore alimentare (alla domanda 
                “se dico la parola ‘gusto’, che cosa ti viene 
                in mente?” undici bambini su venti hanno elencato i cibi 
                preferiti) mentre il plurale “gusti” (“quali 
                sono i tuoi gusti?”) evochi più genericamente significati 
                riferiti a preferenze e inclinazioni personali di ambiti diversi 
                (giocare, colorare, disegnare, ecc.). |  La storia del gusto Il termine italiano gùsto deriva dal latino GUSTUM 
          (GUSTUS, ÛS)(2), di origine indoeuropea(3) (cfr. gotico 
          kustus, greco gêusis). Un confronto tra le due forme consente 
          di individuare con immediatezza i fenomeni di caduta della consonante 
          finale, che in latino svolgeva funzioni morfologiche perdute nell'italiano, 
          e la riduzione di -U finale ad -o. Solo apparentemente usuale è, 
          invece, la conservazione della U tonica, che nel passaggio dal latino 
          all'italiano si sarebbe dovuta ridurre ad ó (cfr. ad esempio 
          NUCEM > nóce, CRUCEM > cróce, 
          GULAM > góla)(4). La conservazione della 
          vocale latina si spiega, in effetti, per analogia con la forma verbale 
          GUSTARE, ricavata dal sostantivo, che ha continuatori, oltre che nell'italiano 
          e nei suoi dialetti, in spagnolo (gustar), francese (goûter, 
          e francese medievale goster-gouster), rumeno (gustare) 
          e in numerosi altri idiomi d'area romanza. Questo rapidissimo excursus storico-linguistico ci serve per 
          introdurre una proposta relativa all'inserimento in classe dell'osservazione 
          comparata di forme etimologiche e forme derivate in italiano e nelle 
          altre lingue di studio. Esplorare, confrontare, individuare analogie 
          e differenze tra strutture della lingua madre e esiti presenti nelle 
          lingue straniere - se fatto a livelli di approfondimento commisurati 
          alle reali potenzialità degli apprendenti - conduce, infatti, 
          non soltanto a percepire in modo meno superficiale le caratteristiche 
          della propria lingua, ma anche a distinguere ciò che è 
          generale nell'organizzazione linguistica da ciò che è 
          specifico di un particolare codice. La formulazione di generalizzazioni 
          e ipotesi sul funzionamento di idiomi differenti porta gradualmente 
          allo sviluppo di strategie capaci di attivare il trasferimento di processi 
          cognitivi, conoscenze, esperienze ed abilità da una lingua all'altra, 
          favorendo l'apprendimento ricettivo, quando non produttivo, di più 
          idiomi. In questa direzione vanno le indicazioni del Consiglio d'Europa, 
          che anche attraverso il Quadro comune europeo di riferimento per 
          le lingue individua nella promozione dell'intercomprensione o comprensione 
          multilingue una delle soluzioni strategicamente più efficaci 
          per il superamento delle situazioni di monolinguismo. E in questa dimensione 
          si inscrive la proposta elaborata dalle studentesse Antonella Jacquin 
          e Lea Zoja, già docenti di lingua inglese nella scuola elementare. 
          Presentiamo qui di seguito una scheda di sintesi delle attività 
          da loro ideate e sperimentate con bambini di 6-8 anni nell'ambito di 
          un percorso a proposito dei “gusti” alimentari.
 
          
            | CONFRONTI INTERLINGUISTICI E INTERCOMPRENSIONEAntonella Jacquin, Lea Zoja
 |  
            | PremesseImparare una lingua, oggi, non è un fatto puramente strumentale, 
                ma è anche un fatto culturale e di sensibilizzazione estetica 
                e morale; è per questo che l'insegnante deve tener conto 
                dell'ambito in cui opera al fine di stimolare una riflessione 
                sulla realtà linguistica contestuale ed arricchirla con 
                l'apporto di altre realtà con le quali il bambino entra 
                in contatto. L'apprendimento di più lingue, in effetti, 
                avvalendosi di approcci metodologici coordinati mobilita processi 
                di integrazione, rafforza lo sviluppo cognitivo e facilita l'interazione 
                culturale.
 Adottando un punto di vista storico-linguistico e comparativo, 
                è possibile affrontare la didattica delle lingue, per esempio, 
                attraverso il confronto di semplici frasi e termini nelle tre 
                lingue insegnate nella scuola primaria (italiano, francese, inglese). 
                L'affinità sarà di norma più marcata tra 
                le lingue romanze (italiano e francese), in quanto entrambe derivate 
                dal latino parlato, rispetto all'inglese, tuttavia se opportunamente 
                guidati anche nella fascia di età della scuola elementare 
                gli alunni saranno in grado di operare confronti di natura fonetica, 
                grafica e anche morfo-sintattica nei confronti di idiomi anche 
                tipologicamente molto distanti.
 L'attivitàLettura di una storia legata al tema del “gusto” alimentare. 
                Discussione a proposito dei termini rappresentativi dei sapori 
                dolce-amaro-salato-aspro. Degustazione di alimenti; espressione 
                di gradimento in italiano, francese, inglese (i like / i don't 
                like). Comparazione di significanti relativi a cibi nelle 
                tre lingue (es. carota / carotte / carrot; spinacio / épinard 
                / spinach; cioccolato / chocolat / chocolate; arancia / orange 
                / orange; cereale / céréal / cereal; limonata / 
                limonade / lemonade).
 
 Riferimenti bibliografici
 BANFI E., La formazione dell'Europa linguistica. Le lingue d'Europa 
                tra la fine del I e del II millennio, Firenze, La Nuova Italia, 
                1993.
 BENUCCI A. (a cura di), Capirsi tra parlanti di lingue romanze, 
                Torino, UTET Libreria, 2005.
 CALZETTI M.T., L'intercomprensione: possibile soluzione alla babele 
                linguistica? in “Progettare la formazione linguistica con 
                Leonardo da Vinci”, ISFOL, Roma, 2001.
 DESIDERI P. (a cura di), L'universo delle lingue. Confrontare 
                lingue e grammatiche nella scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1995.
 |    
 Parentele del gusto Ogni lingua accresce costantemente il proprio patrimonio lessicale 
          creando parole a partire da basi già esistenti. La consapevolezza 
          dei meccanismi che governano tali processi (prefissazione, suffissazione, 
          composizione) permette non solo di cogliere la struttura delle parole 
          conosciute, ma anche di intuire il significato di quelle che si incontrano 
          per la prima volta. Di questo sono ben consapevoli i pubblicitari, che, 
          per catturare l'attenzione del pubblico moltiplicando il valore elativo 
          delle espressioni, sfruttano spesso le potenzialità derivative 
          della lingua per coniare espressioni non convalidate dall'uso ma facilmente 
          decifrabili. È il caso, tanto per rimanere nell'ambito dei “gusti” 
          alimentari, di coniazioni trasparenti come extra-gusto (di 
          una gomma da masticare), scioglievolezza (di un cioccolatino), 
          frescosità (di una caramella alla menta), sciropposità 
          (di un succo di frutta), croccantezza (di un cracker), ecc. 
          I bambini, anche quando inconsapevoli dei processi che regolano tali 
          formazioni, sono tuttavia in grado di decodificarne il significato analizzandone 
          la struttura alla luce delle coordinate interlinguistiche che li stanno 
          sostenendo nel perfezionamento acquisizionale dell'italiano. Non per 
          nulla, utilizzano solitamente il lessico potenziale di una 
          lingua in modo assai più libero di quanto facciano gli adulti, 
          come dimostrano le formazioni creative che compaiono diffusamente nelle 
          loro produzioni orali e scritte.
 
          
            | PARADIGMI DERIVAZIONALI |  
            | 
 
                 
                  | da nome m. | a aggettivo |  |   
                  |  |  | + - mente = avverbio GUSTOSA-mente |   
                  | GUST-o + -oso = | GUST-oso/a |  |  
                  |  |  | + ità = nome f. GUSTOS-ità |  Una volta costruito il modello derivazionale, 
                è possibile:• sperimentare il funzionamento dello schema utilizzando 
                altre parole (appetito, sapore, gola, 
                delizia, ecc.);
 • riflettere sui possibili tranelli (fam-oso deriva 
                da fam-e? Da arom-a si ricava arom-oso?);
 • osservare i fenomeni morfologici. Gli avverbi, ad esempio, 
                sono formati a partire dall'aggettivo nella forma del femminile 
                (gustosamente, golosamente, saporosamente, ecc.). Il 
                suffisso -mente deriva, infatti, da un sintagma latino, 
                frequente in epoca tarda e soprattutto in ambito cristiano, che 
                veniva formato accostando un aggettivo al sostantivo femminile 
                MENTE (ablativo di MENS MENTIS ‘intenzione, sentimento’) 
                a formare espressioni del tipo DEVOTA MENTE ‘con intenzione 
                devota’. Con l'intensificarsi dell'uso del sintagma, il 
                sostantivo perse la sua autonomia semantica, e si ridusse a semplice 
                suffisso. La sua storia resta però testimoniata dalle modalità 
                attraverso le quali si sono formati in italiano gli avverbi qualificativi 
                in -mente, i quali continuano a presentare la base aggettivale 
                al femminile, e cioè accordata al genere del sostantivo 
                latino*;
 • verificare la creatività reale e potenziale di 
                differenti parole provando a introdurre nuovi suffissi (gust-ino, 
                gust-accio, ecc.) e prefissi (dis-gusto, dis-sapore; 
                retro-gusto, extra-gusto, ecc.).
 Nota
 * A questa regola si sottraggono gli aggettivi che presentano 
                un'unica terminazione singolare in
 - e, i quali vengono derivati nella loro forma ambigenere (velocemente: 
                veloce + mente), ma non quando l'ultima sillaba corrisponda a 
                -le o -re. In questo caso, infatti, la composizione dell'avverbio 
                comporta la soppressione della -e finale (gradevol + mente).
 |  Per condurre i bambini a riflettere sui meccanismi relativi alla suffissazione, 
          è possibile proporre loro varie attività di manipolazione 
          delle parole, che conducano all'individuazione di paradigmi derivazionali 
          costanti e rappresentativi di fenomeni morfologici, come il passaggio 
          di categoria grammaticale. Un ulteriore stimolo attraverso il quale i giovani parlanti vanno guidati 
          nella scoperta di come una lingua possa autoalimentare il proprio serbatoio 
          lessicale riguarda i meccanismi di attribuzione di nuovi significati 
          a voci già esistenti. Similitudini e metafore entrano, in effetti, 
          molto spesso a far parte di combinazioni fisse di parole - locuzioni, 
          espressioni polirematiche, modi di dire - il cui significato rischia 
          di essere colto in modo indistinto e impreciso.
 Con l'obiettivo di offrire loro le chiavi necessarie per dischiudere 
          l'universo degli usi figurati del “gusto”, Arline Menghi 
          e Simon Jeantet hanno proposto a quindici allievi di una classe quinta 
          della scuola elementare di Gignod una serie di percorsi di semantica, 
          di cui qui presentiamo i risultati.
 
          
            | LA RICERCA DEI SIGNIFICATIArline Menghi, Simon Jeantet
 |  
            | L'attività è nata dalla necessità di 
                verificare se i bambini avessero coscienza delle diverse accezioni 
                e possibilità d'uso che una parola possiede, non soltanto 
                quando viene considerata isolatamente, ma soprattutto quando entra 
                in combinazione con altre parole e contesti differenti. Tenendo 
                presenti tutti gli aspetti considerati fondamentali per la valutazione 
                della conoscenza pragmatica di un termine, abbiamo strutturato 
                un repertorio di accezioni e modi di dire contenenti i termini 
                gusto, dolce, salato, amaro, aspro. A partire da questo, abbiamo 
                predisposto un test di riconoscimento dei significati letterali 
                e figurati all'interno di frasi campione da proporre ai bambini 
                (ad es. dolce: un pescatore d'acqua dolce; sento una dolce melodia; 
                questo è un ricordo dolceamaro; casa, dolce casa; il dolce 
                far niente, ecc.). Successiva-mente allo svolgimento della prova, che ci ha consentito di stimare 
                i livelli di competenza lessicale sotto il profilo passivo, abbiamo 
                proceduto a indagare la consapevolezza semantica attiva dei bambini 
                chiedendo loro di fornirci una definizione dei cinque lemmi citati. 
                Com'è noto, la capacità definitoria è un'abilità 
                molto raffinata, che interviene soltanto ad un certo stadio di 
                maturità linguistica. Non ci ha quindi stupiti il fatto 
                che per spiegare il significato delle parole i bambini abbiano 
                spesso fatto ricorso a esempi concreti (dolce è un pasticcino; 
                aspro è come il limone), tautologie (dolce è una 
                cosa dolce, con lo zucchero), sinonimie (aspro è acido) 
                e antonimie (amaro è il contrario di dolce). Non sono mancati, 
                tuttavia, tentativi di definizione maggiormente orientati alla 
                spiegazione descrittiva dei significati (gusto è una cosa 
                che si sente in bocca quando mangi), che però soltanto 
                in casi isolati ha compreso anche i significati metaforici (dolce 
                è qualcosa di piacevole e calmo, gentile).
 Poiché entrambe le sperimentazioni hanno messo in luce 
                la tendenza dei bambini a ricondurre e confinare i termini gusto, 
                dolce, salato, amaro, aspro ai loro significati concreti, letterali 
                e “alimentari”, il percorso è proseguito con 
                un'ulteriore serie di stimoli (ricerca dei termini sui dizionari; 
                raccolte di modi di dire; associazione di un sapore a un colore, 
                a uno stato d'animo, ecc.) destinati a condurli gradualmente verso 
                una maggiore disponibilità agli usi polisemici e astratti 
                del linguaggio figurato.
 Riferimenti bibliograficiCORDA A., MARELLO C., Insegnare e imparare il lessico, Torino, 
                Paravia Scriptorium, 1999.
 LO DUCA M.G., Lingua italiana ed educazione linguistica, Roma, 
                Carocci, 2004.
 GAMBARARA D., Semantica. Teorie, tendenze e problemi contemporanei, 
                Roma, Carocci, 1999.
 ALTIERI BIAGI M.L., Insegnare lingua italiana, Milano, Fabbri, 
                1986.
 FASULO A., PONTECORVO C., Come si dice? Linguaggio e apprendimento 
                in famiglia e a scuola, Roma, Carocci, 1999.
 |  La frequenza del gusto   I 
          più ampi e aggiornati dizionari oggi disponibili per la lingua 
          italiana contengono più di duecentomila voci, corrispondenti 
          ai lemmi cui i più di due milioni di forme esistenti 
          possono essere ricondotti (gustavi, gustammo, gusterete…? 
          gustare; gustosa, gustose, gustosi? gustoso). Se è vero 
          che nessun parlante - per quanto erudito - conosce e utilizza realmente 
          una simile quantità di parole, è altrettanto vero che 
          la scuola deve proporsi di condurre tutti i parlanti a conoscere e utilizzare 
          almeno una quantità di esse sufficiente a comunicare in modo 
          sicuro e efficace. Sulla base di complesse ricerche svolte dal linguista 
          Tullio De Mauro e dalla sua équipe di collaboratori, tale quantità 
          può essere in primis identificata nel cosiddetto vocabolario 
          di base, vale a dire in un insieme di circa 7 000 lemmi, a frequenza 
          altissima, che costituiscono da soli il 90% di tutto ciò che 
          viene detto, scritto o letto. A una buona conoscenza del vocabolario 
          di base è auspicabile, poi, che con il procedere del percorso 
          di alfabetizzazione si accompagni un uso pertinente dei termini appartenenti 
          al cosiddetto vocabolario comune, comprensivo di altri 45 000 
          lemmi mediamente compresi e utilizzati da chiunque abbia un grado di 
          istruzione medio-alto. Sulla base di questi presupposti, nell'ultimo 
          decennio sono stati pubblicati alcuni dizionari caratteristici per la 
          presenza, a fianco della glossa relativa a ciascun lemma, della “marca 
          d'uso” che ne indica il livello e l'ambito di diffusione. Dal 
          più importante di questi, il Grande dizionario italiano dell'uso 
          diretto da T. De Mauro (Torino, Utet, 1999: 260 000 lemmi), sono 
          stati ricavate edizioni ridotte per l'infanzia, all'interno delle quali 
          il codice relativo alla marca d'uso è sostituito da simboli accessibili 
          anche ai più giovani. Facendo riferimento a questi strumenti, 
          e riconducendosi alla metodologia sviluppata nell'ambito delle ricerche 
          sui lessici di frequenza, un gruppo di studentesse ha elaborato un percorso 
          di rilevazione dei dati statistici relativi agli usi lessicali in bambini 
          di 6-7 anni, per procedere poi a ideare attività di potenziamento 
          e rafforzamento della produzione.
 
          
            | STATISTICA DEL GUSTOCristina Amato, Carla Berlier, Tiziana Bois, 
                Romina Costaz, Sara Peller, Mariagrazia Tedesco, Maria Grazia 
                Tetto
 |  
            | PremesseLo sviluppo semantico e lessicale è forse l'aspetto della 
                competenza linguistica sul quale la scuola primaria ha maggiori 
                possibilità d'intervento. Benché il processo di 
                acquisizione lessicale segua itinerari non lineari, legati alle 
                esperienze che il bambino compie sin dai primi anni di vita e 
                ai modelli offerti dai parlanti dell'ambiente circostante, intervenire 
                con precocità e sistematicità sulle potenzialità 
                ancora inutilizzate dal bambino significa consentirgli di superare 
                punti di arresto che condizionerebbero altrimenti tutti i suoi 
                apprendimenti futuri. Più le capacità intellettive 
                riescono a svincolarsi dall'aspetto percettivo delle cose, cogliendo 
                le relazioni possibili tra i dati dell'esperienza, più 
                il lessico si articola e si arricchisce di vocaboli anche astratti 
                e dei relativi significati.
 L'attivitàPer verificare quali e quanti parole appartenenti al dominio semantico 
                del “gusto” alimentare fossero possedute a livello 
                produttivo nella fascia d'età dei 6-7 anni, 79 bambini 
                frequentanti quattro classi prime della scuole elementari di “Aosta 
                4” e “Aosta 5” sono stati invitati a produrre 
                individualmente, in coppia e in gruppi, vari elaborati appartenenti 
                a tipologie testuali differenti (definizioni, testi argomentativi 
                ispirati al tema “mi piace…, non mi piace; filastrocche). 
                A partire dal corpus delle produzioni così ottenute 
                si è proceduto a selezionare le diverse voci (sostantivi, 
                aggettivi, verbi, avverbi) riconducibili al dominio semantico 
                individuato. Di ogni termine, ricondotto laddove necessario al 
                lemma di riferimento (saporita, saporite, saporiti > saporito; 
                mangio, mangiavate, mangeranno > mangiare), sono state 
                calcolate le occorrenze, in modo tale da ottenere una lista di 
                frequenza. Si è, quindi, proceduto a confrontare i dati 
                statistici relativi al corpus con le liste di frequenza contenute 
                nel “Lessico elementare” e a verificare le marche 
                d'uso attribuite ai diversi lemmi nei dizionari per l'infanzia 
                (cfr. riferimenti bibliografici).
 L'analisi dettagliata delle occorrenze ha messo in rilievo una 
                tendenza dei bambini all'impiego standardizzato e anche sovraesteso 
                di alcuni termini, come gli aggettivi buono e dolce, 
                utilizzati come passe-partout generici per esprimere 
                un'indeterminata indicazione di gradimento (buono: 42 
                occ., dolce: 26 occ., saporito: 12 occ., gustoso: 
                10 occ., squisito: 2 occ., appetitoso: 1 occ.). 
                Le attività di potenziamento successive hanno, d'altra 
                parte, rivelato una crescente disponibilità dei giovani 
                apprendenti a impiegare produttivamente termini a bassa frequenza, 
                spesso assenti nella produzioni precedenti.
 Riferimenti bibliograficiBALBONI P.E., Tecniche didattiche per l'educazione linguistica, 
                Torino, Utet Libreria, 1998.
 BURANI C., BARCA L., ARDUINO L.S. (2001), “Una base di dati 
                sui valori di età di acquisizione, frequenza, familiarità,, 
                immaginabilità,, concretezza, e altre variabili lessicali 
                e sub-lessicali per 626 nomi dell'italiano” in Giornale 
                Italiano di Psicologia, 4 (2001), pp. 839-854.
 DARDANO M., TRIFONE P., La nuova grammatica della lingua italiana, 
                Bologna, Zanichelli, 1997.
 MARCONI L., OTT M., PESENTI E., RATTI D., TAVELLA M., Lessico 
                elementare. Dati statistici sull'italiano letto e scritto dai 
                bambini delle elementari, Bologna, Zanichelli, 1994.
 MARELLO C., Le parole dell'italiano. Lessico e dizionari, Bologna, 
                Zanichelli, 1996.
 DizionariPrime parole. Dizionario illustrato di base della lingua italiana 
                a cura di D'ANIELLO E., De Mauro T., Moroni G., Torino, Paravia, 
                1997;
 DIB. Dizionario di base della lingua italiana a cura di DE MAURO 
                T., MORONI G., Torino, Paravia, 1999.
 |  I gesti del gusto Il linguaggio gestuale, a lungo trascurato dagli studiosi di linguistica, 
          è stato tradizionalmente oggetto di grande interesse da parte 
          di differenti settori della ricerca semiologia, psicologica e socio-antropologica, 
          che ne hanno messo in evidenza le valenze simboliche e la complessità 
          culturale. È soltanto a partire dagli anni Ottanta che le potenzialità 
          della competenza gestuale hanno cominciato ad essere prese in considerazione 
          anche come strumenti dell'educazione linguistica per il consolidamento 
          delle abilità comunicative. Una buona conoscenza del significato 
          dei gesti, del registro cui appartengono, delle espressioni verbali 
          cui corrispondono può, in effetti, aiutare a sviluppare migliori 
          capacità di ricezione e interpretazione dei messaggi e a raffinare 
          la produzione del parlante, soprattutto quando questi debba sopperire 
          a carenze del linguaggio verbale, come nel caso di parlanti stranieri 
          o persone afasiche. Come è noto, i bambini sperimentano in genere il linguaggio gestuale 
          molto prima di quello verbale: aprire e chiudere la mano in segno di 
          saluto, mettere l'indice davanti alla bocca per invitare a fare silenzio, 
          battere le mani, scuotere la testa per rifiutare… sono routines 
          che anche i più giovani riescono molto in fretta a decodificare, 
          e che in genere amano riprodurre. A questi - convenzionali, socialmente 
          codificati e espliciti - si affiancano gesti eseguiti senza che il soggetto 
          abbia l'intenzione e la volontà di trasmettere una certa informazione. 
          Si tratta, per lo più, di espressioni del viso o posture del 
          corpo assunte inconsapevolmente, che possono rivestire all'interno di 
          un'interazione un ruolo anche più significativo di quello rappresentato 
          dalle parole e dai ruoli degli interlocutori. All'osservazione dell'una 
          e all'altra tipologia di gesti ha dedicato l'attività di sperimentazione 
          un gruppo di studentesse che si proponeva di individuare i comportamenti 
          non verbali riscontrabili in un gruppo di bambini fra i 3 e i 5 anni 
          sollecitati a esprimersi a proposito dei gusti alimentari, 
          dominio indubbiamente significativo per i giovani parlanti sia sotto 
          il profilo affettivo che sotto quello esperienziale.
 
          
            | PROVA DI DEGUSTAZIONEDaniela Belley, Manuela Dalle, Deborah Dayné, 
                Silvia Ducourtil, Katya Foletto, Alessandra Genova, Federica Giunta
 |  
            | 
                L'attività proposta ai bambini, consistente in una prova 
                  di degustazione individuale di alimenti e bevande, è 
                  stata integralmente videoregistrata. Questo ha consentito la 
                  successiva analisi delle produzioni verbali e gestuali. Relativamente 
                  a quest'ultimo aspetto, si è provveduto a catalogare 
                  e etichettare i diversi gesti registrati per ricondurli all'atto 
                  comunicativo di riferimento. Per ciascun gesto sono stati calcolati la frequenza d'uso e i rapporti con espressioni verbali 
                  o rumori di accompagnamento. Lo studio del materiale ha messo 
                  in luce che i bambini hanno utilizzato numerosi gesti inconsapevoli, 
                  indicativi di stati d'animo come la diffidenza, l'imbarazzo, 
                  la ricerca di consenso, ma anche atti intenzionali per sottolineare 
                  il disgusto o l'approvazione per i cibi che venivano loro proposti. 
                  Essi hanno dimostrato di saper utilizzare un ampio inventario 
                  di gesti compensativi per riempire vuoti discorsivi oppure per 
                  manifestare con maggiore enfasi le loro impressioni o ancora 
                  per sopperire a carenze lessicali che non consentivano loro 
                  di esprimere verbalmente le loro sensazioni in modo efficace. 
                  Benché il campione fosse troppo ridotto per trarre conclusioni 
                  generalizzabili, sembra di poter affermare che i gesti a maggior 
                  frequenza siano condivisi da tutti i bambini, compresi i parlanti 
                  stranieri inseriti nel gruppo.
 Presentiamo, qui di seguito, l'inventario degli atti comunicativi 
                  che si sono presentati con maggior frequenza.
 
                   
                    | Atto comunicativo | Descrizione | Rapporto con espressioni 
                        verbali o rumori di accompagnamento |   
                    | Attesa | Appoggiare entrambe le mani sul tavolo con i palmi verso 
                      il basso 
 | Il gesto sostituisce l’espressione verbale 
 |   
                    | Appoggiare il mento sul pollice o sul palmo della mano 
 |   
                    | Attesa imbarazzata | Giocare con e/o intrecciare le dita | Il gesto sostituisce l’espressione verbale |   
                    | Infilare le dita in bocca o strofinarle sui denti |   
                    | Attesa impaziente | Tamburellare con le dita sul tavolo |   
                    | Richiesta | Allungare la mano tesa col palmo verso l'alto | Il gesto sostituisce o precede l'espressione verbale ("me 
                      ne dai?") |   
                    | Rifiuto | Far oscillare rapidamente la mano parallelamente alla 
                      testa | Il gesto sostituisce o accompagna l'espressione verbale 
                      ("non voglio") |   
                    | Rifiuto, diffidenza | Aggrottare le sopracciglia | Il gesto sostituisce o accompagna l'espressione verbale 
                      ("non voglio") |   
                    | Consenso | Muovere il viso su e giù | Il gesto sostituisce l'espressione verbale o la accompagna 
                      ("si", "va bene", "è buono") |   
                    | Approvazione | Serrare le labbra | Il gesto è associato a emissione di 
                      mugolii (“mmmh”) e sostituisce o precede l’espressione 
                      verbale (“buono!”, “mi piace!”)
 |   
                    | Ruotare l’indice a vite sulla guancia |   
                    | Disapprovazione | Sputare; fare smorfie tirando la lingua fuori dalla bocca
 | Il gesto è associato a rumori di accompagnamento 
                      e precede l'espressione verbale ("che schifo!", 
                      "non mi piace!") |   
                    | Strizzare gli occhi e arricciare il naso |   
                    | Scuotere il viso da destra a sinistra | Il gesto sostituisce l'espressione verbale o la accompagna 
                      ("no", "non mi piace") |   
                    | Sorpresa | Alzare le sopracciglia; spalancare gli occhi | Il gesto accompagna l'espressione verbale ("cos'è?") |   
                    | Perplessità | Alzare una o entrambe le spalle | Il gesto sostituisce l'espressione verbale |   
                    | Incertezza | Scuotere leggermente la testa da una spalla all'altra | Il gesto sostituisce l'espressione verbale o la accompagna 
                      ("sto pensando...", "non sono sicuro") |  
                    | Ricerca di consenso | Cercare lo sguardo dei compagni | Il gesto sostituisce l'espressione verbale |  Riferimenti bibliograficiDIADORI P., Senza parole. 100 gesti degli italiani, Bonacci 
                  Editore, Roma 1990;
 MAGNO CALDOGNETTO E., POGGI I., Conoscenza dei gesti simbolici. 
                  Differenze di sesso e di età, in MARCATO G. (a cura di), 
                  Donna e linguaggio, Padova, Claup, 1995.
 TABOSSI P., Il linguaggio, Bologna, Il Mulino, 2002.
 TELMON T., Tra il dire e il fare. Aspetti sociocomunicativi 
                  della competenza gestuale, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 
                  1998.
 |  
 Conclusioni: per un'educazione linguistica riflessiva La rassegna di proposte qui presentata si propone di essere esemplificativa 
          di una modalità didattica che tenga conto, in primo luogo, delle 
          varietà e potenzialità della lingua con l'obiettivo di 
          rendere consapevoli gli apprendenti di come essa funzioni praticamente, 
          a partire dagli usi della vita quotidiana. Riflettere sui significati, 
          sulle realizzazioni ‘in situazione’ corrisponde a riconoscere 
          agli usi linguistici concreti - e non soltanto a quelli considerati 
          desiderabili - il ruolo pragmatico che effettivamente rivestono all'interno 
          della comunicazione. In secondo luogo, si tratta di un approccio volto a evidenziare che 
          gli apprendimenti linguistici (lingua madre e lingue straniere) si potenziano 
          reciprocamente: confrontare sistemi diversi corrisponde a consolidare 
          le capacità di astrazione e di pensiero formale, sperimentando 
          contenuti e visioni del mondo, modi di pensare e di agire diversi da 
          quelli della comunità di appartenenza.
 Si tratta, inoltre, di una didattica consapevole del carattere trasversale 
          degli apprendimenti linguistici, ovvero della funzione veicolare che 
          la lingua assume rispetto a qualsivoglia argomento o disciplina: a scuola 
          il mezzo linguistico riveste un'importanza fondamentale, in quanto ogni 
          passaggio di contenuto passa - esclusivamente o quasi - attraverso di 
          esso. Occuparsi di lingua parlando di alimentazione, riflettere su modi, 
          strutture e significati del linguaggio verbale anche nell'ora di Scienze 
          o Geografia significa svincolarsi dall'idea che l'educazione linguistica 
          coincida con il mero addestramento all'imitazione di norme e regole 
          astratte cristallizzate nei testi scolastici.
 Un approccio all'educazione linguistica di questo tipo comporta indubbiamente 
          per l'insegnante - e non soltanto per quello di Italiano - uno sforzo 
          di qualità e quantità in fatto di conoscenze di ordine 
          teorico. Nel suo bagaglio devono entrare specifici saperi su lingue 
          e linguaggio (saperi socio-linguistici, psico-linguistici, storico-linguistici 
          e glottologici) sui quali, non per nulla, i nuovi percorsi di formazione 
          universitaria degli insegnanti pongono un accento particolare.
 L'elemento-chiave caratterizzante un'educazione linguistica riflessiva, 
          tuttavia, non risiede tanto nel rimando a presupposti teorici o ideologici, 
          quanto nel fatto che la progettazione didattica risulta profondamente 
          centrata su situazioni concrete e reali, e i risultati vanno direttamente 
          e immediatamente ad informare tali situazioni concrete e reali che hanno 
          costituito il punto di partenza. La teoria, pertanto, non costituisce 
          un presupposto e neanche un punto di arrivo, ma trova una sua collocazione 
          nel momento di riflessione sulla prassi in termini di supporto per l'elaborazione 
          delle ipotesi didattiche, l'interpretazione dei fenomeni, l'introduzione 
          di cambiamenti o innovazioni, l'individuazione di soluzioni da inserire 
          nelle singole, concrete realtà, in un circolo virtuoso dalla 
          pratica alla teoria alla pratica, disponibile a una critica e costante 
          riflessione, ridefinizione, ridiscussione. In questa dimensione, resta 
          valido il principio sottostante i lavori qui presentati: de linguis 
          disputandum est.
 Luisa Revelli Note(1) I significati della voce latina erano solo in parte coincidenti 
          con gli attuali, ragione per cui, per ragazzi che possiedano già 
          strumenti adeguati, l'individuazione di coincidenze e differenze dello 
          spazio semantico occupato dai due lessemi all'interno dei relativi campi 
          può costituire un punto di partenza stimolante.
 (2) Il termine indoeuropeo allude a un gruppo di lingue storicamente 
          attestate di ceppo europeo e asiatico che hanno in comune corrispondenze 
          di natura morfologica, fonologica e lessicale tali da supporre la derivazione 
          da una lingua comune.
 (3) Nel latino parlato la differenza tra vocali toniche lunghe e brevi 
          fu sostituita da una differenza di apertura, cioè di timbro. 
          Questo fenomeno condusse gradualmente alla nascita del sistema italiano, 
          che conosce sette vocali (i, é, è, a, ò, ó, 
          u). Di norma, la U si ridusse regolarmente a O chiusa.
 (4) Il manifestarsi di questo tipo di produzioni, classificabili come 
          “errori intelligenti”, fornisce occasioni per dare ragione 
          e consapevolezza dei processi impliciti dell'acquisizione linguistica, 
          oltre che per dotare gli allievi di strumenti utili all'ampliamento 
          del loro serbatoio lessicale.
   
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