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Una lettura sociolinguistica delle interviste

Anche se non sistematici, in quanto derivanti da forme di intervista libera e non strutturata, i dati e le riflessioni personali che emergono dalla serie di interviste delle pagine precedenti contengono indubbiamente per un linguista spunti di interesse notevoli, che meritano un tentativo di disamina alla luce di qualche considerazione di carattere prevalentemente sociolinguistico.
Data l'impostazione delle interviste, svolte in chiave soggettiva e autobiografica, gli aspetti da ricercare non riguarderanno tanto la costituzione effettiva del repertorio (quante e quali lingue lo compongono, quando e in che contesti sono utilizzate, in che misura sono effettivamente conosciute), quanto la rappresentazione interna che di questo repertorio i parlanti si danno; una rappresentazione in cui intervengono valori connessi a campi quali il prestigio sociale delle lingue coinvolte, lo statuto storico e culturale che esse possiedono, il loro legame con il vissuto individuale.
Per partire con qualche nozione generale e di contesto, e tralasciando gli aspetti storici della questione linguistica valdostana, che sono ben conosciuti, diremo che la situazione particolare del repertorio contemporaneo valdostano deriva in parte da una “alterità” linguistica storicamente radicata rispetto al dominio italo-romanzo (la varietà linguistica locale, cioè l'insieme dei patois francoprovenzali parlati storicamente nella regione, fa parte del dominio linguistico gallo-romanzo, con il francese e l'occitano), in parte dalle dinamiche di cambiamento intervenute dopo il 1861, alcune delle quali (diffusione in tutti gli strati sociali dell'italiano e repressione della dialettofonia originale, scolarizzazione di massa, forte mobilità intranazionale) la Valle d'Aosta condivide con tutto il territorio nazionale, altre delle quali (repressione e sostituzione della varietà ufficiale originaria, il francese, con l'italiano, e successiva reintroduzione della medesima nel quadro statutario del bilinguismo; a livello di varietà “basse”, penetrazione significativa in età post-unitaria della varietà dialettale confinante, il piemontese, a partire dalla Bassa Valle) risultano invece specifiche della regione.
Attualmente, il repertorio linguistico valdostano appare composto da quattro codici linguistici principali, che enuncerò nell'ordine determinato dalle percentuali ricavabili dalla domanda Quali conosce tra le seguenti lingue e dialetti? proposta dal questionario sociolinguistico promosso dalla Fondazione Chanoux nel 2000(1), la più recente indagine di questo tipo: italiano (conosciuto dal 96% della popolazione valdostana), francese (75%), patois (56%), piemontese (27%).
Partendo da questi quattro codici principali ed esaminando il dettaglio proposto dalle interviste, un dato macroscopico salta a mio avviso immediatamente agli occhi, ed è il poco spazio occupato, in termini relativi, dall'italiano. Questo avviene sia nelle domande volte a delineare l'autobiografia linguistica degli intervistati (Quali lingue conosci? - Quelles langues connais-tu?), dove l'italiano viene quasi sempre omesso nelle interviste svolte in italiano e non riceve mai giudizi di valore, sia in quelle di tipo proiettivo (La lingua del desiderio? - La langue du désir?), dove non compare mai. Questo procedere nascosto, diremmo “sotto traccia”, dell'italiano nel corpo delle interviste, interpretabile di primo acchito come il segno di una debolezza del codice, rappresenta invece verosimilmente il segno maggiore della sua forza in sede pragmatica, ovvero il riconoscimento implicito del carattere di dominanza che la lingua nazionale possiede dal punto di vista della comunicazione quotidiana, al punto di non venir neppure percepita come componente del repertorio.
Questo testimonia indubbiamente la profondità dell'italianizzazione della Valle, che è anche qualitativamente di livello alto. L'italiano mediamente parlato in Valle d'Aosta, infatti, se messo a confronto con quello di altre aree della Nazione, si connota come un italiano di buon livello, piuttosto ricco e debolmente connotato a livello regionale, e questo anche al livello generazionale generalmente più critico rispetto al raggiungimento dello standard, ovvero quello degli anziani di scolarizzazione bassa e medio-bassa. Una conseguenza, questa, di due fatti, entrambi ben conosciuti dagli studi relativi all'apprendimento linguistico: in primo luogo, la distanza linguistica marcata fra il sistema linguistico di partenza (il patois) e quello d'arrivo (l'italiano), fattore che inibisce positivamente il rischio di interferenze fra i due sistemi; in secondo luogo, le caratteristiche storiche del processo di penetrazione dell'italiano in Valle d'Aosta, che, almeno nella sua fase storica iniziale, si è svolto primariamente nell'ambito della scuola, sede statutariamente deputata alla salvaguardia della norma linguistica e alla sua trasmissione controllata.
Lingua dell'ambito amministrativo e dell'ufficialità (e quindi varietà "alta", da un punto di vista sociolinguistico), ma soprattutto della scuola, del lavoro e delle situazioni sociali sovralocali, l'italiano riveste spesso anche il ruolo di codice della conversazione formale (contatto con estranei) e in taluni casi di codice famigliare, in particolare nelle situazioni di sostanziale monolinguismo (area urbana di Aosta) e nei casi in cui il bisogno d'integrazione è più evidente, come per gli immigrati.
Altrettanto e forse più articolata risulta la posizione del francese, la cui presenza sul territorio è veramente il fattore determinante della particolarità, nel quadro italiano, del repertorio linguistico valdostano. Se infatti nel repertorio medio delle varie regioni d'Italia sono ben documentate le situazioni di bilinguismo con diglossia, dove l'italiano svolge le funzioni di codice “alto” (connesso rispetto all'uso con le situazioni a vario titolo formali) e il dialetto quelle di codice “basso” (comunicazione familiare e sociale-informale), e quelle di bilinguismo con dilalia, dove entrambi i codici vengono utilizzati per la comunicazione informale, pur essendo riservato al primo l'ambito della formalità, la presenza di una seconda varietà "alta" concorrente con la lingua nazionale colloca il repertorio valdostano in una situazione definibile come plurilinguismo.

Carica di un prestigio legato all'identità storica e culturale della Valle d'Aosta, e quindi strumento primario delle rivendicazioni di “alterità” che connotano l'autorappresentazione della comunità valdostana come "corpo" politico, la lingua francese occupa nel repertorio regionale uno spazio del tutto particolare. Rispetto all'uso, e cercando di semplificare il discorso entro linee generali, la sua collocazione primaria sembra dalle interviste essere quella di varietà “alta” all'interno di un quadro prettamente diglottico, con un estensione del dominio d'uso che va da quello ristretto alla lingua di lavoro o amministrativa (nei casi in cui è l'italiano a ricoprire anche i gradini "bassi" del repertorio), fino a quello più ampio che include anche la conversazione formale, facilmente nei casi in cui il patois svolge il ruolo di varietà bassa. La situazione dilalica, invece, sembra delimitata a quei casi in cui l'uso del francese come lingua famigliare è determinato da motivazioni che pertengono a contatti di tipo personale con il mondo francofono, legati all'emigrazione e all'immigrazione di ritorno.(2)
Rispetto al prestigio, il giudizio di merito sul francese è elevato in tutti i casi, e si collega a ragioni di utilità (come strumento di comunicazione con le aree europee circonvicine), letterarie ed estetiche (il francese come lingua di una cultura importante, o come lingua poetica, qui a davantage de possibilité de ressentir un peu l'infini), ma anche di geo-politica mondiale, collegabili ad un riconoscimento del francese come strumento di opposizione all'omologazione anglofona portata dalla cosiddetta “globalizzazione”. Gli elementi critici si rilevano invece in una lieve insofferenza per gli obblighi derivanti dal penchant “amministrativo” dello statuto bilingue, rispetto ad esempio alla necessità di sostenere continuamente esami che dimostrano la conoscenza
della lingua; e soprattutto si leggono in controluce nella testimonianza portata da uno degli intervistati, laddove si stigmatizza l'atteggiamento ingiustamente critico da parte di alcuni valdostani nei confronti dell'insegnamento bilingue (“C'est un avantage, ce n'est pas un inconvénient!”).
A una polarizzazione fra utilità e salvaguardia della diversità e dell'identità linguistica sembrano potersi ricondurre anche le considerazioni degli intervistati relativamente all'apprendimento di altre lingue: all'importanza dell'inglese come lingua di comunicazione sovranazionale, funzionale nello specifico valdostano al turismo, fa infatti da contraltare la valorizzazione di quelle lingue accomunate all'italiano, al francese e al francoprovenzale dalla comune origine latina (prima fra tutte lo spagnolo), e di quelle minoritarie la cui conservazione si lega strettamente alla conservazione di un'identità culturale specifica, come il catalano e le lingue tibetane, processo in cui si riconosce facilmente un meccanismo proiettivo che parte dall'esperienza di lingua minoritaria propria del francoprovenzale di Val d'Aosta.
Venendo infine alle varietà “basse”, lasciate in questa nota ultime per il posto privilegiato e speciale che esse occupano nel cuore di ogni linguista, rileveremo subito come il piemontese, indicato dai dati dell'inchiesta del 2000 come ben presente nel repertorio linguistico regionale, non sia invece menzionato nelle interviste. Anche se ciò può in parte derivare dall'ambito specifico di provenienza degli intervistati, nessuno dei quali proviene dalla Bassa Valle, è però anche vero che gli stessi dati del 2000, se osservati in prospettiva diacronica attraverso le generazioni, evidenziavano una marcata recessione nell'uso di questa varietà dialettale d'importazione, legata principalmente ai flussi commerciali di piccolo e medio raggio di un periodo socio-economico (quello dell'industrializzazione della Valle a partire dal Piemonte) che da tempo ha ormai visto la sua fine.
Al contrario, i patois francoprovenzali mostrano, sia nell'inchiesta della Fondazione Chanoux che nelle interviste qui raccolte, una vitalità ancora molto forte. Conosciuta da più della metà della popolazione, è identificata dagli intervistati patoisants (6 su 10) come lingua “del cuore”, nei suoi due aspetti di lingua della comunicazione familiare e di lingua della tradizione contadina, aspetti tipicamente caratterizzanti le varietà “basse” del repertorio. In altri passaggi del questionario, tuttavia, emergono aspetti che tendono ad ampliare verso l'alto i suoi domini d'uso, riconoscendo come il patois risulti ancora, in molte micro-realtà territoriali, uno strumento irrinunciabile di comunicazione sociale extra-famigliare (anche a livelli di media formalità, come nello svolgimento dell'attività politica dei Comuni e di certi assessorati della Regione) e il veicolo principale del senso d'appartenenza alla comunità, nonché il simbolo stesso della “diversità”, ossia dell'identità, della Valle d'Aosta. Di qui l'apprezzamento per le iniziative che ne tutelano e ne promuovono l'uso e la volontà di evitare il fenomeno, purtroppo abbastanza frequente in prospettiva storica, della morte della lingua, anche attraverso un rinnovamento del patois che apra ai neologismi e, superando i limiti intrinseci alle varietà linguistiche dialettali, lo renda adatto ad affrontare qualsiasi argomento.
All'interno di un discorso più ampio sul plurilinguismo, tuttavia, è mia opinione che l'importanza del patois nella realtà valdostana vada oltre il riconoscimento del suo valore identitario. Da un certo punto di vista, infatti, non è sbagliato sostenere che nel patois abbia sede la radice stessa del plurilinguismo valdostano, maturato all'ombra del secolare rapporto diglottico (prima col latino, poi col francese, infine con l'italiano) che questa varietà minoritaria, esclusivamente parlata e priva di una tradizione antica letteraria o anche solo scritta, ha intrattenuto con lingue nazionali o sovranazionali. Un plurilinguismo che muove dalla convinzione, più volte e da più voci espressa (anche se con accenti diversi) nelle interviste, che “il faut surtout apprendre à aimer les langues, car elles permettent d'ouvrir pas mal de portes.”

Gianmario Raimondi


Note
(1) I risultati e i commenti degli specialisti sono pubblicati in AA.VV., Une Vallée d’Aoste bilingue dans une Europe plurilingue - Una Valle d’Aosta bilingue in un’Europa plurilingue, Fondation Émile Chanoux, Aosta, 2003.
(2) In assenza di documentazione dalle interviste, tralasciamo qui il caso di assunzione intenzionale del francese come codice di comunicazione famigliare, per motivi inerenti al prestigio attribuito alla lingua e per le ragioni identitarie citate sopra. L’uso del francese in ambito famigliare è comunque considerato esplicitamente come eccezionale, nel quadro regionale, da una delle persone intervistate.

 

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