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A meno che...

Alcune interessanti proposte affinché il desiderio di far musica continui a realizzarsi in spazi adeguati nella scuola.

Le riforme in Italia risultano essere semplici maquillages quanto più i proclami che le accompagnano sono altisonanti e inneggiano alla rivoluzione epocale.
Abbiamo ragione di pensare che la riforma scolastica imminente ed esposta secondo un’articolata e contraddittoria dinamica di spinte in avanti e controspinte a ritroso, conferme e smentite, letture e rettifiche non cambierà il volto della scuola italiana, ma neppure ostacolerà il vento di rinnovamento che soffia indifferente alle carte e alle disposizioni ministeriali.
Certo, relegare le educazioni nella nicchia delle materie aggiuntive al curricolo certifica definitivamente l’accessorietà che tali discipline hanno sempre rappresentato agli occhi dei genitori, durante il ricevimento parenti in sistematico transito davanti all’insegnante di tecnica o artistica senza degnarsi di un cenno di considerazione, e dei ragazzi, convinti che quelle ore equivalgano ad una sorta di ricreazione organizzata.
La responsabilità non è da attribuirsi solo al legislatore, ma anche a quel docente di educazione musicale che ha perpetrato nel tempo, imperterrito, la sua azione di tortura sonoro-pneumo-digitale dei ragazzi costringendoli a menar mani e fiato in quel tubo di plastica “dolce” e dissonante diffondendo nei corridoi le elegiache note della sigla del mulino bianco, in un ecumenico, triste unisono.
O forse peggio, che ha inanellato una serie di perle aneddottiche desunte da agiografie storico musicali riguardanti la quantità di figli di Bach (sezione guinness), le ragioni dell’epiteto di “prete rosso” a Vivaldi (sezione moda), la furia vendicativa di Gesualdo da Venosa contro l’amante della moglie (sezione giallo).
Questo invece di intrecciare relazioni con gli insegnanti di materie “più serie” ponendosi con credibilità culturale e autorevolezza nei loro confronti, impostando progetti interdisciplinari che aggiungano il sonoro alla storia, che con una danza d’iniziazione a suon di djembé si affianchino ai grafici sulle materie prime di un paese del terzo mondo in geografia, che intonino un tantra tibetano quando si parla di religione buddista.
E ancora insegnando al titolare di matematica un gioco musicale per imparare le tabelline, aiutando l’insegnante di italiano a favorire nei ragazzi l’esplorazione di tutte le possibilità intonative ed espressivo-vocali ispirate da una poesia solitamente cantilenata con monotona indifferenza o a recitare e mettere in scena, in luogo di leggere, una tragedia: in questo modo persino l’Adelchi è sopportabile.
Eppure la forza della musica è incontenibile: sono stato recentemente al Disma Music Show di Rimini dove ho visto masse di adolescenti ammirati attorno a percussioni etiche rare, a dimostrazioni di virtuosi chitarristi elettrici, a complessi strumentali moderni e non; ho assistito a un concerto di migliaia di giovanissimi musicisti in un’apoteosi di comunione sonora forse un po’ hollywoodiana, ma sicuramente per loro indimenticabile.
Non temo la complementarietà della musica rispetto alle altre discipline perché l’uomo cerca l’espressione di sé attraverso la manipolazione di uno strumento, del proprio corpo o della voce anche solo sintonizzandosi affettivamente con la voce del cantante preferito durante un ascolto senza che sia coartato da alcunché.
Non riesco ad immaginare un processo di desertificazione del campo “educazioni”, né prevedo fronde di ex insegnanti costituiti in cooperativa per aprire catene di bed and breakfast: credo però che sia indispensabile mobilitare forze e partorire idee affinché il desiderio di far musica trovi gli spazi adeguati nella scuola.
Non serve a questo scopo trasformare la vecchia aula musica in un centro autogestito, neppure si deve necessariamente parlare o fare rock, semplicemente occorre individuare e incoraggiare quanto di formativo esiste nel praticare i generi musicali e le forme più disparate nei modi più diversi, così che maturi un solido apparato critico e il ragazzo sappia scegliere come e cosa ascoltare e suonare coscientemente, e ancora si forgi un’abilità nell’interpretare, rivisitare, modellare più volte la materia, e la musica può rappresentare un esempio estendibile su qualunque disciplina.
Nella riforma la musica segue due canali di cui uno particolarmente fumoso.
Il primo conserva le scuole medie ex sperimentali che prevedono l’insegnamento di uno strumento oltre le materie curricolari: sono circa 650 e rappresentano ancora oggi l’unica vera novità nel panorama dell’istruzione musicale dai tempi di Gentile; al seguito di questo segmento dovranno attivarsi i licei musicali. Il secondo canale indica genericamente la necessità di impartire istruzione musicale in tutti gli altri licei previsti dalla riforma, ma non precisa né chi sarà deputato a occuparsene né in quali termini: se come materia a sé stante o inclusa in una delle materie umanistiche come storia o letteratura.


Nelle elementari l’educazione alla musica e al suono resterà come ora un’appendice scomoda per i docenti, un break di svago per gli allievi.
A meno che…
Non ci si capaciti che la vera rivoluzione è silenziosa e rappresentata dall’autonomia scolastica.
Parliamo della Valle d’Aosta. Gli insegnanti di educazione musicale delle scuole medie sono sensibilizzati alle didattiche più moderne, sanno lavorare in équipe e saprebbero progettare modelli integrati di istruzione musicale comprendente anche attività pratiche con strumenti musicali. Non poche maestre di scuola elementare hanno seguito corsi di aggiornamento, avviato confronti con amici musicisti, sono musiciste esse stesse, credono che la coscienza del percepire suoni, la capacità di impiegare il corpo per produrne di propri, la maturazione del gusto e della forma artistica sia essenziale per la maturazione equilibrata dell’uomo. Le future insegnanti licenziate dall’Università della Valle d’Aosta si propongono libere da inibizioni verso la manipolazione di questa materia e ricche di un bagaglio sufficiente per operare nel campo in piena autonomia e con impegno alla ricerca.
Esiste poi la Fondazione Istituto Musicale, che detiene il primato come ente fucina di musicisti attivi, ha al suo interno una sezione che si sta attrezzando per l’alta formazione e un’anima specializzata nella didattica di base.
Se mi trovassi dalla parte dell’amministratore locale, cosciente delle specificità che il nostro territorio racchiude, mi muoverei più sul fronte dell’autodeterminazione che della riforma tout court.
Abbiamo tentato di attivare una scuola media ad indirizzo musicale ad Aosta, ma il progetto è fallito per mancanza del numero minimo di iscritti e, si badi bene, non si tratta di una scelta pre-professionalizzante, accusabile come capestro stretto dalle famiglie, è un’opzione che avrebbe potuto aiutare il preadolescente ad orientarsi nel mare magnum degli interessi e delle attività possibili. Difficilmente, a maggior ragione, sarebbe salutato da una folla acclamante l’avvio di un liceo musicale, quello decisamente più vincolante.
La mia proposta è che:

1. almeno tre istituzioni verticalizzate di bassa, media e alta Valle stipulino un protocollo d’intesa con la Fondazione Istituto Musicale affinché:

a. siano offerte e garantite nel tempo attività di avviamento alla pratica di almeno quattro differenti strumenti nel plesso scolastico con insegnanti specializzati nella didattica di base;
b. siano approntati piani di interazione con i docenti detentori di cattedra di educazione musicale ideando produzioni e incontri di divulgazione e sensibilizzazione alla musica attiva per tutti gli allievi.

2. Sia messo a punto un sistema di certificazione e riconoscimento reciproco di crediti formativi tra FIM e istituzioni scolastiche d’istruzione superiore che consenta di considerare gli studi musicali come parte integrante dell’offerta formativa di ciascuna scuola per un limitato numero di allievi.

3. Università e Fondazione Istituto Musicale si federino all’uopo di programmare un sistemico e permanente piano di aggiornamento e istruzione sulla musica e in generale i linguaggi non verbali a vantaggio di educatori dei nidi, insegnanti di scuola materna ed elementare.

La flessibilità di una rete di questo genere non ghettizzerebbe in scuole specialistiche i musicisti nascituri, genererebbe opportunità di interazioni tra differenti aree di interesse e non costringerebbe a fare i conti con il poco pingue bacino di utenza dal quale attingiamo.
Un’ultima proposta. Una giornata di studi sul futuro dell’istruzione musicale in Valle d’Aosta che raccolga attorno a un tavolo professionisti, insegnanti e dirigenti di tutte le scuole, amatori, cori, bande gruppi folkloristici, biblioteche e centri giovani, sovrintendenza e assessori competenti: i tempi sono maturi perché le tante anime che convivono attorno a quest’arte trovino ragioni per armonizzarsi e fortificarsi vicendevolmente: il dibattito sulla riforma potrebbe costituire un’imperdibile occasione.

 

Gianni Nuti
È dottore di ricerca in psicologia della musica;
docente di chitarra presso l’"Istituto musicale pareggiato della Valle d’Aosta";
professore a contratto in Metodologie dell’Educazione Musicale presso il corso di Scienze dell’Educazione dell’Università della Valle d’Aosta.
Dal 1999 è presidente della sezione territoriale di Aosta della SIEM, Società Italiana per l’Educazione Musicale.

 

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