link home page
link la revue
link les numéros
link web école
links

Ma ci sono discipline di serie B?

Un breve excursus per orientarsi e per riflettere sull’evidenza che non ci sono discipline di serie B: sono tutte “mondi di possibilità” che permettono la formazione e l’estrinsecazione delle potenzialità del soggetto.

La delineazione e l’effettuazione di percorsi formativi (curricula) comporta sempre delle scelte. Tra tutte le possibilità, alcune sono disponibili e praticabili, altre no.
È inevitabile: le potenzialità del soggetto e le opportunità culturali di formazione s’incontrano in forme e modi sempre locali, parziali, relativi. È solo in un delirio d’onnipotenza che si può pensare in termini “assoluti” anziché relativi e di possibilità. La domanda, quindi, non può essere affrontata in un’illusoria prospettiva di democrazia epistemologica enciclopedica ma discutendo sulla base di quali criteri ed in quali condizioni si operano le inevitabili scelte che il curriculum (studiorum et vitae) comporta.
Che direzione/senso dare oggi ai percorsi formativi? quali contenuti proporre e in quale ordine? Puntare sulla rilevanza della “tradizione” come “spalle di giganti su cui appoggiarci”? o sull'attualità (per esempio: inglese, internet e impresa come fondamentali della formazione)? o sul futuro (per esempio: sviluppo sostenibile del pianeta)? sul sapere e/o saper fare e/o saper essere e/o saper convivere? sulle competenze specialistiche e/o su quelle generali? quale “mix” realizzare di queste componenti? Quali insegnamenti privilegiare?
Nell'ultimo decennio hanno visto la luce ed avuto grande eco diversi documenti che hanno affrontato il tema a livello macro evidenziando un ventaglio di posizioni che è utile considerare.
Il libro bianco della Commissione della Unione Europea (1995) “Insegnare e apprendere. Verso la società cognitiva” (cosiddetto Rapporto Cresson) ha sottolineato l'esigenza di un ri-orientamento dei “curricula studiorum” dei cittadini europei secondo alcune direzioni prioritarie:
• l'apprendimento (e di conseguenza l'insegnamento) continuo lungo tutto il corso della vita;
• il valore della conoscenza per la competizione economica mondiale;
• il saper fare come manifestazione di sapere e quindi la formazione di competenze oltre e più che il trasferimento o passaggio di conoscenze.
Nella seconda metà degli anni ’90 il Rapporto Delors (1997), tradotto in italiano con il significativo titolo Nell'educazione un tesoro, elaborato nell'ambito dell'UNESCO dalla “Commissione internazionale
dell’educazione per il XXI secolo” e quindi con una prospettiva planetaria, ha proposto come pilastri fondamentali della formazione: sapere, saper fare, saper essere e - soprattutto - saper convivere; operando una riconsiderazione dei “curricula studiorum” in prospettiva interculturale, per la costruzione di una convivenza umana in termini di sviluppo sostenibile.
Questi orientamenti curricolari sono alla base dei progetti dei corsi di educazione interculturale, alla pace, allo sviluppo sostenibile e guardano all'uomo “cittadino planetario” più che al “cittadino europeo”.
In questa prospettiva umanistica la comprensione (che presuppone conoscenza) di culture, storie, tradizioni e religioni diverse fa parte dei contenuti curricolari fondamentali, accanto alle conoscenze e competenze tecnologiche.

Nei sistemi scolastici di cultura e lingua anglosassone si è passati dal massimo di autonomia curricolare lasciato alle singole scuole e comunità, alla ricerca e definizione a livello nazionale di “standard” di conoscenze e competenze che le scuole devono perseguire (Sergiovanni, 2000).
Il conseguimento di tali standard è verificato per mezzo di prove somministrate da un apposito servizio di valutazione che rende pubblici i risultati e quindi possibile il confronto fra alunni, scuole e insegnanti in termini di efficacia ed efficienza dell'attività formativa. Le competenze linguistiche, matematiche e scientifiche sono quelle per cui il sistema è ormai consolidato anche per la comparazione a livello internazionale.
In questa prospettiva il senso e significato sociale attribuito/riconosciuto alla scuola sta nei risultati di apprendimento strumentale che essa consegue. Quest'impostazione macro-curricolare è alla base di quello che i critici definiscono insegnamento-apprendimento difensivo (McNeil, 2000) cioè mirato esclusivamente - o almeno principalmente - a conseguire buoni punteggi nei test, mentre tutto il resto (discipline e attività non considerate nei test, relazioni interpersonali, contenuti formativi diversi da quelli dei test, interessi e diversità personali, ecc.) diviene secondario o strumentale.

In tutt'altra direzione si sviluppano, invece, le proposte che Edgar Morin (1998) ha elaborato nell'ambito dell'incarico - affidatogli dal governo francese - di guidare la Commissione incaricata di rivedere i curricoli formativi nazionali. Secondo Morin i percorsi formativi devono essere orientati all'attivazione di una “forma mentis” in grado di affrontare le sfide della complessità grazie alla famigliarizzazione con alcuni “principi” fondamentali del “sapere della complessità”.
Morin propone un cambiamento di prospettiva che comporta “una riforma non programmatica ma paradigmatica, che concerne la nostra attitudine a organizzare la conoscenza… per un pensiero (e un insegnamento) che interconnetta”.

La posizione di Howard Gardner riannoda i fili delle varie stagioni dell'educazione progressiva americana del ’900 (Dewey, Bruner, ecc.) e propone un percorso formativo basato su “esperienze cruciali”, alle diverse età ed in diversi campi culturali in modo da far emergere e poi sostenere la piena realizzazione delle diverse intelligenze individuali. Egli, infatti, individua una pluralità di “intelligenze” ovvero modalità di conoscere e rapportarsi con il mondo: mediante il linguaggio, l’analisi logico-matematica, la rappresentazione spaziale, il pensiero musicale, l’uso del corpo, la comprensione dei sentimenti propri e degli altri. Il curricolo essenziale, di base, per tutti esemplificato da Gardner ruota intorno a tre idee guida di fondo: vero, bello, buono.
Idee che possono essere proposte e comprese affrontando a scuola temi chiave quali la ricerca scientifica a partire da Galileo, la musica di Mozart, l'olocausto. Accanto a questo curricolo comune, Gardner suggerisce una forte differenziazione che sia in grado
di valorizzare le diverse intelligenze personali.
In questa prospettiva, l'incontro/immersione con temi culturalmente rilevanti offre l'opportunità di accompagnare i soggetti – contemporaneamente - nella “comprensione” di questioni umanisticamente fondamentali e nell'emersione-affinamento delle diverse intelligenze soggettive, con percorsi per lo più fortemente differenziati.
Pochi contenuti fondamentali per tutti ed itinerari rispondenti alle differenze individuali configurano un curricolo che, a giudizio di Gardner, va comunque legittimamente valutato con un sistema di testing nazionale. Per questo, possiamo considerare la sua una posizione anche di mediazione a cui fanno riferimento (più o meno consapevolmente ed esplicitamente) le proposte di “alleggerimento” e “valutazione” dei contenuti curricolari per tutti e la forte e precoce “personalizzazione” dei percorsi formativi che si ottiene con molte attività diversificate, opzionali e facoltative per ciascuno.

In Italia, l'impianto curricolare della scuola si è configurato in seguito a continui “aggiustamenti” in itinere determinati dalla revisione dei vari segmenti avvenuta in tempi diversi sull'impianto organico della Riforma Gentile del 1923. Nel secondo dopoguerra, infatti, l'idea di una scuola democratica, ambiente e fattore di educazione della cittadinanza attiva, è stata perseguita con interventi e innovazioni settoriali. Nella seconda metà degli anni ’90 - anche sulla base delle sollecitazioni derivanti dai documenti internazionali citati - è stata posta tra le priorità dell'agenda politica la riforma organica complessiva del percorso formativo scolastico, secondo un disegno unitario, coerente e adeguato a far fronte alle sfide della globalizzazione.
In breve, nel nostro Paese è da tempo in corso una reimpostazione complessiva del “curriculum studiorum” per le giovani generazioni basata sul riconoscimento del suo carattere iniziale in una prospettiva di formazione continua, impegnata a garantire il conseguimento e la valutazione-certificazione delle competenze di base per l'esercizio della cittadinanza nella società della conoscenza digitale globale nonché il riconoscimento e la valorizzazione delle diversità individuali e comunitarie.
Nel perseguire quest’intento nell’arena della discussione e della decisione (politico-istituzionale e professionale-personale) si confrontano/scontrano strategie e prospettive diverse.

Come garantire a tutti, simultaneamente, competenze di base comuni e valorizzazione dei talenti individuali? Tramontata l’esclusiva dello stato nazionale, impegnato a diffondere e trasmettere la lingua e la cultura nazionale attraverso la scolarizzazione obbligatoria di massa ed i programmi d'insegnamento, nell'epoca della globalizzazione mediatica, dell'integrazione internazionale e interculturale, della rinascita e rivendicazione delle identità locali e comunitarie, chi decide e valuta cosa in ordine ai curricola formativi?
Alla soluzione rappresentata da programmi d'insegnamento nazionali e da percorsi formativi uniformi nell'ambito della scuola obbligatoria, si contrappone la proposta di “curricula” articolati in più componenti e “personalizzati”. L'articolazione comprende:
• “quote” di competenza statale-nazionale relative sia ai “basics” (conoscenze disciplinari essenziali e riconosciute a livello internazionale), tali da consentire la verifica e il confronto rispetto a standard di valutazione e certificazione europei, sia alla cultura nazionale;
• “quote” di competenza regionale-locale/comunitaria ed, infine;
• “quote” lasciate alle scelte di scuola e individuali dei docenti, delle famiglie, degli alunni.
Ma nella definizione dell'ammontare di tali quote e dei contenuti delle stesse emergono anche rilevanti differenze d'impostazione, tra chi privilegia l'una o l'altra nel comporre il “mix” ritenuto ottimale.
Inoltre, la definizione di standard di riferimento per l’attività delle scuole e dei professionisti che vi operano risponde alla domanda, di senso comune, che sia assicurato a tutti gli alunni il diritto ad avere il medesimo livello di servizio formativo. La definizione di standard di riferimento per le attività formative dà origine a quegli effetti di “insegnamento-apprendimento difensivo” di cui abbiamo detto e che relega in “serie B” tutte le discipline ed attività non sottoposte a test.

Come orientarsi? Da un punto di vista personalistico e democratico non ci sono discipline di serie B, tutte sono “mondi di possibilità” che permettono la formazione e l’estrinsecazione delle potenzialità del soggetto. L'educazione, l'istruzione e la formazione sono possibili e sensate perché fondate sul riconoscimento della dignità e delle potenzialità di tutte le persone; non sarebbero tali se mancasse questo fondamento; si configurano come attualizzazione di tali potenzialità più che come “accrescimento” del soggetto educato o come compensazioni di lacune e limiti.
Anche alcuni orientamenti delle neuroscienze propendono verso interpretazioni che enfatizzano le potenzialità e considerano la relazione sociale-educativa il fattore che può promuoverle o soffocarle. Pertanto, in sintesi:
• il senso della scuola non può essere ridotto alla sua funzione strumentale trasmissiva, consolidatasi negli stati nazionali moderni e che ora si espande nello scenario della società conoscitiva e/o della cittadinanza planetaria;
• la scuola (ri)trova senso, di per sé, configurandosi come ambiente (sussidiario, ma indispensabile, cioè non esclusivo) di vita, di relazioni e di apprendimento di tipo strutturato, formale, intenzionale, professionale. Offre l'opportunità di percorsi (curricoli) di attualizzazione del potenziale/diritto formativo di ciascuno, grazie all’incontro con le discipline, nel contesto della complessità sociale, culturale, tecnologica;
• in ogni età della vita (soprattutto infantile e giovanile, ma anche nella formazione continua) la scuola sfida, in quanto contesto di confronto culturale intergenerazionale, la zona di sviluppo potenziale di ciascuno, consentendo - insieme a quanto avviene in altri luoghi formativi e ai percorsi soggettivi ad ognuno di costruire e ricostruire (ma anche
de-costruire, continuamente ma non linearmente) la propria direzione (orientamento) al di là di ogni profilo pre-definito. L’incontro di tutti con le varie forme dell’umanità/cultura (discipline) è un diritto che una scuola di base democratica deve garantire, anche come opportunità per individuare e coltivare la propria specifica intelligenza e per valorizzare i talenti.

Paolo Calidoni
Già insegnante e dirigente tecnico.
È professore universitario ordinario di didattica.
Coordina la rivista Mondo zero3 ed è autore di numerosi saggi e volumi.


Riferimenti Bibliografici
COMMISSION DES COMMUNAUTÉS EUROPÉENNES (1995), Enseigner et apprendre. Vers la société cognitive, Bruxelles.
DELORS J. (tr.it. 1997), Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo, Armando, Roma.
GARDNER H. (tr.it. 1987), Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano.
GARDNER H. (tr.it. 1999), Sapere per comprendere. Discipline di studio e discipline della mente, Feltrinelli, Milano.
MCNEIL M.L. (2000), Contradictions of School Reform – Educational Costs of Standardized Testing, Rouledge, New York & London.
MORIN E. (tr.it. 2000), La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero, Cortina, Milano.
SERGIOVANNI T. J. (2000), The Lifeworld of Leadership - Creating Culture, Community, and Personal Meaning in Our Schools, Jossey-Bass, San Francisco, 2000.

 

couriel