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Scuola - équipe, una relazione complessa

La Legge Quadro 104 del 1992 individua nell’équipe un soggetto attivo, un punto di forza, un corresponsabile, con la scuola, del progetto di vita del bambino. Un’indicazione forte che, secondo me, purtroppo, non sempre corrisponde alla realtà, perché i componenti l’équipe socio-sanitaria, presenti fisicamente alle riunioni con gli insegnanti, spesso non entrano nel merito del “caso bambino” visto come scolaro.
Mi è capitato di pensare, in occasione di qualche incontro, che alcuni operatori non conoscessero neppure il bambino in questione, ma si basassero sulle informazioni che gli insegnanti fornivano loro.
Questa modalità propria di molte équipes, che ho incontrato, delude sia il senso della Legge Quadro nata per definire ruoli e relative competenze nel campo dell’handicap, sia gli insegnanti di sostegno, che, come me, vorrebbero invece trovare nell’équipe, un aiuto reale, per le attività che si progettano sul e in funzione del bambino.
Accade invece che nei tre incontri annuali: inizio, metà e fine anno, ci si ritrovi intorno ad un tavolo a parlare di un bambino che è conosciuto e definito nei molteplici aspetti relazionali e socio-cognitivi dagli insegnanti e sconosciuto o conosciuto solo attraverso le relazioni “istituzionali”, per quanto riguarda in particolare il suo comportamento all’interno dell’istituzione scuola, all’équipe. Mi spiego meglio.
Può accadere che un operatore conosca le modalità comportamentali e cognitive del bambino solo in base ai documenti rilasciati dagli uffici dell’Assessorato alla Sanità o dalle informazioni tratte dal PEI e non lo conosca invece fisicamente perché non ha mai svolto un’osservazione mirata e diretta in classe. Questo per me e per molti altri colleghi insegnanti è fonte di insoddisfazione, si crea, all’interno del gruppo appoggio, un rapporto univoco: noi insegnanti tentiamo di comunicare con un’équipe di persone (psicologo, logopedista, assistente sociale…), che sappiamo attrezzate a gestire il disagio, ma solo raramente incontriamo specialisti che offrono consulenze spendibili all’interno delle attività didattiche. Spesso l’ora del “gruppo appoggio” diventa un momento di pura formalità, un atto dovuto.
Tuttavia, in questi quindici anni, ho trovato anche degli operatori dell’équipe veramente motivati, attenti al bambino e disponibili a trovare e provare delle nuove strade suggerendo strategie operative da attuarsi nella quotidianità.
Penso, ad esempio, a quando collaboravo con l’équipe di cui faceva parte, in qualità di psicologo, il Dott. Giuseppe Cafforio (1995). Seguendo una sua ipotesi di lavoro, che prevedeva l’uso dell’AMP (autocostruzione della metafora progressiva), le insegnanti curricolari lo psicologo ed io, insegnante di sostegno, ci riunivamo a scuola anche al di fuori delle ore stabilite istituzionalmente per analizzare alcune produzioni, in forma di narrazione libera del bambino, che era invitato a raccontare la storia di un personaggio a lui gradito. Nel mio caso, L. raccontava la storia di un coniglio che si chiamava Nerino che attraversava varie difficoltà. Analizzando queste narrazioni, il Dott. Cafforio, suggeriva alle insegnanti nuovi stimoli (personaggi e luoghi) e modalità originali per poter continuare le storie e far in modo che il bambino, raccontasse se stesso, anche le sue paure più nascoste, senza avere la sensazione di essere toccato nel profondo.
Le narrazioni degli alunni erano presentate ed analizzate collegialmente dall’équipe e dagli insegnanti in sede di riunione con il gruppo appoggio. Era motivante partecipare a quelle sedute perché si costruiva davvero insieme, l’apporto di ognuno era fondamentale. Le metafore prodotte potevano risultare rappresentative della percezione interna che il bambino aveva di sé, degli altri, della vita e del rapporto tra questi elementi. La finalità del metodo sperimentale era di aiutare il bambino ad esprimere, attraverso la forma simbolica o scritta, la propria ‘impasse’ emotiva, per poi, successivamente, sia in minima parte, elaborarla all’interno della relazione con l’insegnante e dell’attività didattica.
Mi manca questo aspetto di totale condivisione di un caso. Mi manca la sensazione di partecipare attivamente ad un progetto comune.

 

Lucia Signorato
Insegnante di sostegno dal 1989, in servizio presso la scuola elementare
di Charvensod Capoluogo dell’Istituzione scolastica “Mont Émilius 3”.

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