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Il PEI: oltre la formalità

In Valle d’Aosta, il lavoro approfondito di un’équipe interistituzionale ha permesso di elaborare il nuovo PEI, che si presenta, ora, come uno strumento sufficientemente flessibile, snello e, per molti aspetti, innovativo. Meriterebbe il confronto con altre realtà, per valutare se quanto prodotto, sia effettivamente condivisibile ed applicabile in altre regioni.

La sperimentazione del “Progetto PEI: oltre la formalità”, iniziata nell’anno scolastico 1999/00, nasce per superare i limiti rilevati nell’utilizzo del Piano Educativo Individualizzato per l’integrazione degli alunni disabili:
- il profilo dinamico funzionale percepito come una formalità e con scarsa traduzione applicativa ed operativa nel progetto educativo;
- il PEI visto come strumento fine a se stesso e non come documento attivo di progettazione in grado di coinvolgere, oltre la scuola, anche il territorio;
- la difficoltà di coinvolgere attivamente la famiglia nel piano educativo;
- il ruolo marginale dell’alunno disabile stesso;
- il parziale coinvolgimento degli insegnanti curricolari nella stesura e realizzazione del progetto;
- la staticità del documento e la poca funzionalità dell’impostazione grafica.
Il Gruppo di Progetto, istituito formalmente dal Gruppo di Lavoro Interistituzionale Regionale (GLIR), individua nella prima fase, le scuole, gli operatori sociosanitari e le famiglie disponibili a partecipare all’iniziativa, che costituiscono otto “équipe PEI”; ne vengono individuate due, per ciascun ordine e grado di scuola. Si contattano inoltre gli asili nido della regione che accettano di aderire alla sperimentazione.
Ognuna delle dieci équipe elabora quindi un prototipo di Piano Educativo Individualizzato, che, nel corso di due giornate di studio, organizzate nella primavera 2000, viene analizzato, discusso e confrontato al fine di far emergere gli elementi irrinunciabili su cui costruire il nuovo PEI che viene utilizzato in modo discrezionale, con il supporto di un Gruppo di Monitoraggio e Tutoraggio, nell’anno scolastico 2001/02.
Al termine della sperimentazione, conclusasi nella primavera del 2002, si può trarre una valutazione complessiva indubbiamente positiva, per il fatto che, il nuovo Piano Educativo Individualizzato, è dall’anno scolastico 2002/03 formalmente utilizzato dalle scuole di ogni ordine e grado e dagli asili nido della regione Valle d’Aosta.
Per quanto riguarda il mondo della scuola tale formalizzazione è avvenuta mediante una lettera della Sovrintendente agli Studi ai Dirigenti Scolastici, del 10 settembre 2002.
Tale riconoscimento istituzionale, può essere pertanto considerato un indicatore di successo del lavoro svolto dagli operatori scolastici, socio-sanitari e dalle famiglie, attori dell’esperienza.
Il primo elemento innovativo della sperimentazione è stato il coinvolgimento e la partecipazione degli asili nido regionali. Questi infatti, pur non avendo obblighi normativi riguardo all’impiego di uno strumento come il PEI, hanno ritenuto importante sperimentarne l’utilizzo, e in seguito adottarlo.
Il non coinvolgimento di questo importante livello della scolarità nella definizione di un progetto specifico per il bambino disabile, è apparso al Gruppo di Progetto della sperimentazione fin dall’inizio come una contraddizione, se non con gli aspetti formali della legislazione, con lo spirito della stessa. La contraddizione è più rilevante se si pensa che è ormai un concetto diffuso la convinzione che i primi anni del bambino sono determinanti per il suo futuro.
Anche i vissuti all’interno del nido sono qualificanti per la direzione che avrà in prospettiva il Progetto di Vita che via via si modificherà nel tempo. È possibile pensare quindi che questo, in termini istituzionali allargati, cominci almeno con l’inserimento proprio al nido.
La famiglia del resto, nella sua ansia di rappresentarsi il futuro del proprio figlio, ha bisogno di trovare da subito degli educatori e degli operatori socio-sanitari che comincino a riflettere in termini di prospettive, di progetti e strategie.
Pertanto, l’impiego di uno strumento unico e condiviso, può contribuire a garantire continuità e coordinamento tra gli interventi dei vari operatori e delle diverse agenzie educative e riabilitative che intervengono nel percorso di sviluppo dell’individuo.
Un secondo elemento qualificante del nuovo PEI è rappresentato dal coinvolgimento attivo richiesto alla famiglia. Mentre nel vecchio documento, il ruolo di quest’ultima era in molti casi secondario, nonostante che la legge 104/92 la riconoscesse come un attore paritario, ora invece i genitori sono invitati fin dall’inizio, con uno spazio a loro dedicato, ad esprimere le proprie aspettative, le proprie opinioni ed integrare, con le conoscenze specifiche sul bambino, l’elaborazione del progetto.
Anche il coinvolgimento dell’alunno, nella sezione specifica del nuovo documento, denominata “Progetto di vita da parte dell’alunno”, costituisce una novità rilevante: in precedenza si “progettava per” l’alunno in situazione di handicap, oggi si “progetta con” il soggetto interessato, tenendo presente che i suoi apporti al progetto saranno caratterizzati dalle sue capacità nelle diverse tappe di vita e dai limiti del suo handicap.
Questi due ultimi elementi innovativi - partecipazione della famiglia e coinvolgimento dell’alunno - seppur già previsti dalla L. 104/92, costituiscono senz’ombra di dubbio dei punti di forza del nuovo PEI, in quanto si ha un’esplicitazione concreta e non solo di principio, delle modalità di lavoro: sono previsti e codificati gli spazi e tempi d’intervento.
Come affermano D. Ianes e F. Celi nel loro Piano educativo individualizzato: “Il progetto di vita relativo ai singoli minori in situazione di handicap deve (…) tenere conto delle potenzialità, delle aspirazioni e dei desideri di ognuno, coinvolgendo lui e i suoi familiari nella definizione delle linee di fondo (…) e prendere in considerazione non soltanto la situazione contingente, ma sapersi muovere in una dimensione dinamica, in una prospettiva che sappia guardare al futuro”.
Questa aspirazione non è di facile realizzazione per diverse ragioni. Tra queste le modalità di lavoro, forse consolidate da parte di alcuni operatori, che pongono delle resistenze, spesso inconsapevoli a dare rilievo alle opinioni della famiglia e del soggetto interessato: appare per loro più facile, e difensivo sotto il profilo psicologico, trattare le problematiche inerenti l’handicap in termini ‘specialistici’ e ‘tecnicistici’.
Il rischio è che il nuovo documento, in alcuni casi, non promuova effettivamente quanto è nelle sue aspettative, per alcuni aspetti idealizzate. Occorre tenere conto che il livello di partecipazione al progetto deve essere di tutti, ma non con ruoli indifferenziati e confusi. Ognuno, infatti ha indubbiamente un contributo da offrire, ma il ruolo ed il coinvolgimento è certamente, per alcuni drammaticamente, differente. Nella pratica operativa passata si è potuto cogliere quanto le dinamiche di lavoro, peraltro spesso difficili in tutti i gruppi, possono complicarsi per i fisiologici meccanismi difensivi, individuali e di gruppo. Spesso si possono registrare timori di colpevolizzazione, paure di giudizio, alleanze tra alcuni elementi contro altri, ecc.
Di questi aspetti le équipe socio-sanitarie devono tenere particolarmente conto e aiutare i gruppi di lavoro ad elaborarli e superarli.
Forse a questi meccanismi si può ascrivere il fenomeno della delega degli aspetti educativi che la famiglia tende ad attuare nei confronti degli “esperti”, non considerandosi interlocutrice privilegiata e portatrice di conoscenze uniche, invece preziose per gli operatori sia scolastici che sociosanitari.
Il progetto di vita, al contrario, deve essere ideato a più mani, deve modificarsi nel tempo e l’azione educativa che ne sta alla base, deve essere intesa come un processo di comunicazione, avente lo scopo di agire su una parte del tutto, con funzioni di osservazione, attivazione, cura e cooperazione relativamente alle circostanze contingenti. L’azione svolta dalla comunità educante (genitori, docenti, operatori socio-sanitari) deve quindi proporsi come aggregato relazionale propositivo ed operativo, che viene attivato attraverso i diversi comportamenti, atteggiamenti, interessi e competenze degli attori partecipanti al Progetto e che pertanto tende a generare, per sua natura, squilibri, conflitti, attese di cambiamenti, sia prevedibili che imprevedibili. Questo fenomeno deve dunque fungere da stimolo positivo, sia per gli operatori sia per l’individuo stesso ed è per questo che si rende indispensabile una continua integrazione degli interventi.
Il nuovo documento PEI impegna anche gli insegnanti curricolari a dare un contributo più significativo attraverso la compilazione di una scheda specifica:
i docenti dovranno cercare di integrare la programmazione individualizzata dell’alunno disabile, con quella della classe, mentre in precedenza, il raccordo fra queste era, in molte situazioni, delegato interamente agli insegnanti di sostegno.
Sono stati proprio questi ultimi che, nel corso della sperimentazione, hanno ideato le griglie di cui sopra, proprio perché, soprattutto nelle scuole medie inferiori e superiori, la delega nei loro confronti del ragazzo disabile, è ancora diffusa.
Appare chiaro che non saranno delle griglie - peraltro non rispondenti ad un bisogno generalizzato - a responsabilizzare alcuni insegnanti di classe circa l’integrazione e l’apprendimento dell’alunno inserito nella sezione, ma, il fatto di dover dedicare del tempo a fare delle ipotesi progettuali e programmatiche, potrebbe concorrere ad un loro maggiore coinvolgimento.
Il cammino da compiere, in particolare nella scuola superiore è probabilmente ancora lungo, soprattutto per una cultura dell’integrazione non ancora assimilata; questa però, potrà confrontarsi con le esperienze compiute da chi, ormai da anni, opera con l’handicap, per poter condividere i problemi che senza dubbio la presenza di un alunno con delle difficoltà propone al gruppo degli insegnanti, degli allievi, alla classe, alla scuola, ma questi problemi possono anche divenire l’occasione per una interdisciplinarietà maggiore e per una programmazione più attenta.
Per quanto concerne gli operatori delle équipe di territorio, oltre a ciò che prevedeva il vecchio PEI, ora viene richiesto di stendere per iscritto il “progetto riabilitativo” nell’ottica di rendere maggiormente visibili alle famiglie, agli insegnanti e agli altri operatori, gli interventi di loro specifica competenza. Questo lavoro supplementare, che costituisce un aggravio a quello precedente, è stato proposto, durante le due giornate di studio sul nuovo PEI, dai rappresentanti degli stessi operatori sociosanitari.
È evidente che il coinvolgimento di tutti questi attori: famiglia, soggetto disabile, insegnanti, operatori sociosanitari, rappresenta senz’altro una ricchezza ed una maggiore dinamicità, tuttavia, la complessità che ne deriva, comporta non poche difficoltà da un punto di vista operativo, nella condivisione di linguaggi comuni e nell’integrazione delle competenze necessarie alla stesura di un progetto unitario.
In ultimo, per ciò che concerne gli aspetti ‘strutturali’ più innovativi del PEI, si possono ricordare la veste informatica, che consente una stesura più agevole, rispetto a quella esclusivamente cartacea; la modularità che sostituisce la linearità del vecchio PEI, scandita dalle tre riunioni previste per legge; la maggior snellezza del documento; la guida alla compilazione, prima inesistente; la trasformazione del Profilo Dinamico Funzionale, dove, per ogni obiettivo, vengono definiti gli interventi previsti, le strategie da attuare, i soggetti coinvolti e gli strumenti di verifica e valutazione da utilizzare; l’inserimento della diagnosi funzionale prima non presente nel documento; le sezioni dedicate alle convenzioni con altri soggetti istituzionali e non, per inserire gli eventuali percorsi misti attivati, e alle attività extra scolastiche, a testimonianza che il PEI, come già ipotizzato dal legislatore, è stato effettivamente strutturato come uno strumento prospettico ed integrante.
Il punto di partenza per il PEI è la scuola, la direzione nel futuro, è il mondo, magari quello del lavoro, in una dimensione in cui il soggetto disabile si esprima con soddisfazione per sé e gli altri con cui andrà a convivere.
Il nuovo documento, anche se non può garantire di per sé un cambiamento qualificante nel modo di lavorare per e con l’handicap, può certamente dare un buon contributo per la promozione della cultura dell’integrazione.
In conclusione, pur essendo coscienti dei limiti insiti nella sperimentazione, riassumibili nell’utilizzo di un metodo di lavoro complessivo non rigorosamente scientifico, i risultati emersi dai monitoraggi, la supervisione di tutte le fasi del lavoro da parte di un esperto, l’ottica interistituzionale e l’integrazione delle competenze fra i membri dei gruppi, rappresentano la garanzia per la validità del nuovo PEI, che appare uno strumento completo, sufficientemente flessibile, snello e, per molti aspetti, innovativo.
A questo punto sarebbe interessante il confronto con altre realtà per permettere uno scambio e valutare se quanto prodotto in Valle d’Aosta, sia effettivamente condivisibile ed eventualmente esportabile ed applicabile in altre regioni.

 

Viviana Baruzzi
Insegnante di sostegno specializzata dal 1988.
Laurea in Pedagogia Speciale.
Attualmente in servizio come insegnante di classe presso l'Istituzione scolastica "Aosta 2"

Donatella Righero
Insegnante di sostegno specializzata dal 1994.*
Attualmente in servizio come insegnante di sostegno presso l'Istituzione scolastica "Mont Emilius 3"

 

Nota
*Ha contribuito a fondare la FADIS (Federazione delle Associazioni dei Docenti per l'Integrazione Scolastica) nel 1997; si tratta di un'associazione nazionale di cui fa ancora parte.

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