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Operare in modo integrato

Le politiche regionali che riguardano le persone disabili puntano ad evitare la parcellizzazione degli interventi, allo scopo di salvaguardare una lettura unitaria e globale dell’individuo. La presa in carico multiprofessionale delle situazioni di disagio contribuisce ad ipotizzare, per la persona e la sua famiglia, un progetto di vita attento alla qualità dell'integrazione sociale.

Quando si parla o si scrive di tematiche concernenti il "sociale", l'aggettivo, declinato al singolare o al plurale, viene preceduto da sostantivi diversi che denotano la conoscenza, o la non conoscenza della materia, da parte di chi parla o di chi scrive.
Termini come assistenza sociale, servizi sociali, servizio sociale, politiche sociali hanno lo stesso significato oppure indicano oggetti diversi?
Non si tratta di pure questioni semantiche, ma di concezioni giuridiche e tecnico-professionali che attraversano la storia di questo tipo di servizi pubblici.
La Costituzione repubblicana sancisce, all'art. 38, che ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale e che a questo e agli altri compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
Dunque, l'assistenza sociale, la cui competenza attiene allo Stato, è connessa al mantenimento, potremmo dire materiale, di persone che siano, al tempo stesso, povere e impossibilitate, per ragioni di salute o legate all'età, a lavorare. Le pensioni di invalidità rientrano in questo paradigma.
La Costituzione, inoltre, all'art. 117, aveva previsto, prima della modifica del 2001, tra le materie per le quali le regioni a statuto ordinario avevano competenza legislativa concorrente, ossia nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, la beneficenza pubblica. Questo parrebbe un termine ancora più riduttivo di assistenza sociale, limitandosi alla erogazione di piccole somme di denaro o di beni di prima necessità agli indigenti.
In realtà, lo stesso legislatore costituzionale del 1948, proprio nell'approvare lo Statuto speciale per la Valle d'Aosta, ha appaiato l'assistenza alla beneficenza.
Il concetto di assistenza sociale si può, quindi, storicamente quasi identificare con quello di assistenza economica effettuata tramite, anche se non sempre, gli assistenti sociali, ovvero quello che con termine più attuale si definisce servizio sociale.
Una definizione dei contenuti della beneficenza pubblica (rectius: assistenza sociale) la troviamo nel primo provvedimento di trasferimento di funzioni alle regioni a statuto ordinario, avvenuto nel 1972. Detto trasferimento concerneva le funzioni riguardanti, tra l'altro, le rette di minori presso istituti e di anziani presso case di riposo, l'assistenza estiva e invernale in favore di minori, l'assistenza in natura ai bisognosi e gli interventi in favore dei profughi italiani.
In occasione di un secondo trasferimento di funzioni, nel 1977, appare per la prima volta la locuzione "servizi sociali". In essi sono da ricomprendersi, secondo il legislatore dell'epoca, oltre alla beneficenza pubblica, la polizia locale, l'assistenza sanitaria e ospedaliera, l'istruzione artigiana e professionale, l'assistenza scolastica, i musei e le biblioteche di enti locali. Viene però anche data una compiuta definizione di beneficenza pubblica che si avvicina molto alla moderna definizione di servizi sociali.
Finalmente, con l'ultimo provvedimento di trasferimento di funzioni alle regioni, nel 1998, si arriva alla definizione normativa di servizi sociali, confermata dalla
l. 328/2000, intendendosi tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.
Il legislatore regionale della Valle d'Aosta, dal canto suo, ha per la prima volta definito il concetto di servizi sociali in occasione dell'approvazione del Piano socio-sanitario regionale 2002/2004 (l.r. 18/2001), considerando tali tutte le attività, escluse quelle svolte dal Servizio sanitario regionale, relative alla predisposizione e alla erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche volte a garantire la qualità della vita, le pari opportunità, la non discriminazione, i diritti di cittadinanza e destinate a rimuovere e a superare le situazioni di bisogno che la persona incontra nel corso della sua vita.
Le politiche sociali, infine, altro non sono che la branca delle politiche pubbliche (public policies) attraverso la quale i pubblici poteri (Stato, regioni, province, comuni) agiscono nel settore dei servizi sociali.

IL CONTESTO GIURIDICO

La legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) si pone al culmine di un processo che ha avuto inizio nel biennio 1990-1992 con l'emanazione di una corposa serie di provvedimenti legislativi di carattere nazionale che hanno ridisegnato il rapporto pubblico-privato e quello tra i diversi enti territoriali, ridefinendo responsabilità e competenze, nella gestione dei servizi pubblici.
La portata innovativa della legge sta soprattutto nell'avere sancito il carattere di universalità del sistema integrato di interventi e servizi sociali che i pubblici poteri sopra menzionati, che nel loro insieme costituiscono "la Repubblica", sono tenuti a realizzare.
Ciò significa che tutti i cittadini hanno diritto di usufruire delle prestazioni e dei servizi sociali, essendo le condizioni di povertà e di inabilità motivo di accesso prioritario, non più esclusivo, al sistema integrato di interventi e servizi sociali.
La riforma costituzionale del 2001, nel ridisegnare le competenze legislative dello Stato e delle regioni, ha assegnato a queste la competenza esclusiva in materia di servizi sociali. Questo vuol dire che la l. 328/2000 non ha più alcun rilievo? Non è così per quel che riguarda i princìpi generali della legge che si rifanno ai princìpi fondamentali della Costituzione in tema di diritti inviolabili dell'uomo e di uguaglianza. Inoltre, lo Stato ha la competenza circa la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, confermando proprio quanto disposto dalla l. 328/2000.
La legislazione regionale in materia di politiche sociali appare in perfetta coerenza con quella nazionale quando non avviene addirittura una diretta applicazione della normativa statale, come nel caso della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).
Un discorso specifico va fatto per la l.r. 12 gennaio 1999, n. 3 (Norme per favorire la vita di relazione delle persone disabili) che non è, come si può già evincere dal titolo, una normativa meramente riferita all'abbattimento delle barriere architettoniche ma ha caratteristiche ben più complesse. Infatti, la finalità precipua è il favorire la vita di relazione delle persone disabili (e anziane) anche attraverso la rimozione degli ostacoli di tipo culturale che ne impediscono l'integrazione sociale nell'ottica dell'accessibilità totale, considerando gli interventi finanziari previsti dalla legge come strumento e non come fine.

IL PROGETTO DI VITA

Nel corso degli ultimi anni, tra i diversi soggetti istituzionalmente interessati, si è evidenziata l'esigenza di lavorare in modo sinergico per elaborare percorsi educativi e formativi integrati tra scuola, formazione e tempo libero per la persona disabile, con la "regia" dell'équipe socio-sanitaria territoriale.
Il Progetto di Vita è una definizione concettuale di cui è possibile trovare traccia in singoli documenti relativi a specifiche fasi, attività (sociali, occupazionali, cognitive, ecc.) o a contesti istituzionali socio-educativi, il più rappresentativo dei quali è il PEI (Piano Educativo Individualizzato), estrinsecazione delle statuizioni della l. 104/92, previsto per tutto il percorso scolastico dell'alunno disabile.
La famiglia e l'équipe accompagnano tutta la vita della persona disabile, ne sono i punti di riferimento più importanti: aiutano nelle scelte e garantiscono una continuità al progetto. La persona disabile, già nella prima infanzia ha diritto ad un percorso specifico attrezzato, attraverso l'inserimento sostenuto da uno specifico progetto in asilo-nido, per garantirle una crescita umana e sociale quanto più equilibrata e concreta possibile. Dall'età di 3 anni e sino ai 14 vi è il percorso all'interno della scuola che prevede risorse e strumenti specifici. Dai 14 ai 18 anni si attua la scelta di un percorso nella scuola di secondo livello oppure nella formazione professionale, elaborando progetti di Percorsi Misti oppure Integrati. Per la persona disabile diventa di assoluta importanza il percorso di orientamento che vede coinvolta la scuola (in modo particolare in seconda e terza media) e la formazione professionale. Il progetto di vita si completa inoltre con l'indispensabile "progetto salute" (possibili interventi terapeutici e/o riabilitativi) e con il "progetto tempo libero" sempre più importante per evitare che il tempo libero si possa trasformare in arido e avvilente "tempo vuoto".
Per Percorso Misto (scuola/scuola) si intende un progetto strutturato, definito in ambito scolastico, con titolarità della scuola, che prevede il coinvolgimento di altre istituzioni scolastiche e di altri soggetti e risorse presenti sul territorio. Il documento di riferimento è il PEI.
Il Percorso Misto si realizza, dunque, essenzialmente internamente alla scuola, con una forte valenza educativa e disciplinare.
Per Percorso Integrato (scuola/formazione professionale) si intende un progetto strutturato, definito nell'ambito dell'istruzione o della formazione professionale. La titolarità può essere della scuola o degli enti di formazione professionale accreditati. Nel caso di titolarità del percorso da parte della scuola il documento di riferimento rimane il PEI. Il Percorso Integrato prevede il coinvolgimento degli enti preposti alla formazione professionale, della scuola, degli enti locali, e degli operatori socio-sanitari.
Il Progetto di vita pone attenzione anche alla fase del tempo libero, considerandolo parte integrante del progetto. In tal senso, il disabile e la sua famiglia possono avvalersi di quelle attività fisiche, ludiche, di socializzazione e di occupazione del tempo libero organizzate dalle Amministrazioni Comunali, dalle Pro Loco, dalle associazioni, dalle biblioteche, dalle ludoteche, dal Progetto Giovani. In tal senso, la Regione ha stipulato specifiche convenzioni, in particolare per:
• l'accompagnamento, integrazione e assistenza alle persone disabili (d.G.R. 5113/2003), rispondendo alla domanda di integrazione e partecipazione alla vita sociale tramite l'accompagnamento di persone disabili in ambiti al di fuori della propria abitazione, di assistenza tramite l'aiuto alla persona con interventi nella propria abitazione e di sostegno ai genitori tramite il coinvolgimento dei minori a domicilio o all'esterno in passeggiate, visite a biblioteche, ludoteche, mostre e altre attività di socializzazione;
• la riabilitazione equestre (d.G.R. 5111/2003), ovvero un'attività che mira, per mezzo dell'equitazione, a consentire l'integrazione sociale, sviluppando una maggiore partecipazione a tutto il programma di attività realizzata anche con soggetti normodotati e permettendo alle persone disabili di trarre benefici e miglioramenti delle proprie capacità latenti per il raggiungimento di una propria autonomia a mezzo del cavallo. Questa attività è rivolta a persone disabili di minore o maggiore età ammessi, rispettivamente, previa visita del neuropsichiatra infantile o di un medico del Servizio sanitario.

CONCLUSIONI

In definitiva, possiamo dire che le politiche regionali per la disabilità, parte importante delle politiche sociali, puntano ad evitare la parcellizzazione degli interventi e la salvaguardia di una lettura unitaria e globale della persona disabile al fine di ipotizzare, per la persona e la sua famiglia, un progetto di vita caratterizzato dall'integrazione sociale. Ciò si ottiene operando in modo integrato a livello istituzionale (Regione, Azienda USL, Enti Locali) e gestionale (servizi sociali e sanitari, istituzioni scolastiche, strutture comunali e di comunità montana) ma soprattutto a livello professionale, coinvolgendo, in particolare, operatori socio-sanitari e insegnanti, non solo di sostegno, provvedendo alla realizzazione di percorsi comuni di formazione per acquisire modalità di lavoro comuni (lavoro per progetti) che abbiano come obiettivo la presa in carico multiprofessionale delle situazioni di disagio.

Giuseppe Villani
Direttore delle politiche sociali presso l'Assessorato alla Sanità, Salute e Politiche Sociali della Regione autonoma Valle d'Aosta

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