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Il tempo (i tempi) nella scuola

Questo testo è il risultato di un esercizio autoprescritto, consistente nel descrivere il tempo nella scuola, riconducendolo a due coppie di termini antitetici e ad un tentativo di sintesi. Con in coda qualche interrogativo su tempo e riforma.

Prima coppia: il tempo narrato e il tempo dato

L’oggetto “tempo” affiora nei discorsi degli insegnanti come un bene perennemente in fuga:

  • per mancanza di tempo non ho potuto finire il programma...
  • come faccio a interrogarli a fondo? ci vuole tanto di quel tempo...
  • abbiamo discusso il problema in classe, proprio non se ne poteva fare a meno; certo che abbiamo perso un sacco di tempo...
  • 50 minuti? Una volta che hai sistemato i ragazzi, il tempo è già finito...
  • ha ancora l’insufficienza... ma due ore la settimana sono un tempo così limitato per un recupero...

Il tempo narrato, intrinsecamente inafferrabile e perennemente evanescente, fronteggia l’“altro”: il tempo scandito dalla normativa, oggetto statico e limpido nella sua univocità quantitativa:

  • anni di corso (tre, cinque, due più due più uno...);
  • giorni per anno (almeno duecento!);
  • ore di lezione per disciplina, per settimane, per mesi, per ogni anno scolastico;
  • 40 ore di collegio docenti;
  • fino a 40 ore di consiglio di classe...

Insegni matematica nella scuola media valdostana? Beh, allora anche quest’anno ti toccano 396 moduli da 50 minuti su due classi, che equivalgono a 19800 minuti di lezione frontale; e poi ci devi aggiungere 264 moduli di compresenza e programmazione, per un totale di 13200 minuti... È vero che ci può essere qualche interferenza (uscite delle classi, influenze stagionali, qualche fuori programma della tua collega di lettere troppo amante dell’effimero...), ma suvvia, fai una piccola stima e sottrai una piccola percentuale di ore, ed il tempo che hai è così chiaro...

Seconda coppia: il tempo pagato e il tempo gratis

Oltre il tempo dato e obbligato, c’è il tempo aggiuntivo. Ormai nella scuola siamo tutti esperti navigatori di attività aggiuntive, forfetarie e no. Il fondo incentivante, introdotto a fine anni ottanta, recentemente incrociato con i contratti decentrati di istituto, risponde al sacrosanto ed indiscutibile intento di remunerare ciò che va oltre l’attività individuale e di classe. Ha i suoi tormentoni (distribuzione a pioggia? distribuzione differenziata? a chi di più e perché? la quantità dichiarata corrisponde alla qualità? come finalizzare davvero questa risorsa economica ad un effettivo miglioramento della scuola ovvero degli apprendimenti?) e le sue patologie (non faccio nulla che non sia minuziosamente monetizzato e cronometrato, perché non lo ritengo professionalmente dignitoso).
Ma il tempo pagato è un contenitore insufficiente, condannato ontologicamente a non bastare. Questo suo peccato originale lo pone in conflitto perenne con l’"altro", il tempo non quantificabile, quello che è diventato gratis perché l’"altro" è pagato, quello tranquillamente dichiarato nei contratti. Ci sono insomma attività che l’insegnante deve garantire, tout court, indipendentemente dal tempo necessario: la preparazione delle lezioni, la correzioni dei compiti, i contatti con le famiglie, gli esami, gli scrutini... Anche l’aggiornamento, in fondo, è finito qui, se andiamo a vedere...
Si può sostenere, senza moralismi, che il tempo gratis (per essere tecnici: la funzione docente) sta a indicare che c’è, in questa delicata professione, qualcosa di non monetizzabile, di non riconducibile alla quantità, qualcosa che si dissolve di fronte a qualsiasi tentativo di misurazione. Questo côté è da rivendicare con orgoglio, perché insegnare è una questione non solo di testa (leggi: misura, quantità), ma anche di cuore (leggi: amore per la disciplina che si insegna, apertura empatica verso gli studenti, fierezza delle caratteristiche irriducibili della propria mission...).
Per questo le fantasie di normalizzazione impiegatizia (ci vorrebbe il cartellino da timbrare, così si vedrebbe quanto lavoriamo) disegnano scenari peggiori della situazione attuale.

Tentativo di sintesi: il tempo gestito

La cultura organizzativa derivata dall’ambiente aziendale e maturata in questi anni nella scuola, a dimostrazione del fatto che le contaminazioni possono dare buoni frutti, ci suggerisce un altro tempo: il tempo gestito.
Gestire il tempo vuol dire dargli organizzazione e forma, vuol dire conoscere a fondo il vincolo del tempo dato per farne una risorsa razionale, creando un quadro operativo solido, trasparente, rassicurante.
Sempre la cultura organizzativa indica un importante strumento di orientamento: la scelta. Non tutto si deve fare, non tutto si deve insegnare. Nel tempo - poco o tanto - dato, va tenacemente tenuto fermo il senso di ciò che è essenziale. Occorre imparare a selezionare: dobbiamo sapere, etimologicamente, de-cidere.
Il tempo gestito è la mediazione tra l’istintiva tendenza ad infinito, tipica dell’azione educativa (scrivere in modo perfetto, esprimersi senza errori...) ed un approccio tecnico e pragmatico (data una situazione di partenza con certe caratteristiche, avendo a disposizione certe e limitate risorse, individuo alcuni e definiti obiettivi).
Si tratta di un realismo indispensabile per evitare le frustrazioni evitabili: darsi mete praticabili e misurabili gratifica, perché permette ogni tanto di sentirsi arrivati ad un traguardo, ed è un realismo utile anche per accettare la contraddizione, non superabile, insita nel fatto che i risultati dell’insegnamento e dell’apprendimento non sono sempre - per fortuna - immediatamente misurabili; perché è acclarato che ci sono nella scuola componenti determinanti fatte di emozioni, di sentimenti, di irrazionalità (non c’è apprendimento in un clima negativo) ed acquisizioni riconoscibili solo nei tempi lunghi (lo sa, prof, che sono diventato un accanito lettore perché in prima media mi sono innamorato del libro che lei ci leggeva ad alta voce l’ultima ora del sabato?
Lo sa che lo sto leggendo alla mia bambina?).
Tempo gestito significa anche pensare che per fortuna il tempo è limitato: non è saggio volere più tempo - moriremmo per estenuazione, e ne morirebbero anche gli allievi - è meglio cercare un impiego diverso del tempo che si ha, accettando lucidamente gli inevitabili limiti della propria azione didattica.
Va qui detto che molti degli aspetti connessi alla gestione del tempo ed alla cultura del tempo gestito attengono direttamente alla responsabilità del dirigente scolastico:

  • per la sua posizione istituzionale (è il dirigente che risponde della gestione delle risorse, tempo incluso);
  • per la sua posizione strategica (mentre gli insegnanti sono in prima linea nelle classi, il capo di istituto può approfittare di una visione più distaccata e complessiva);
  • per le implicazioni culturali costitutive del ruolo, che è appunto un ruolo di decisore, di figura che opera scelte, orientandosi ed orientando verso opzioni che ne escludono altre.

Tempi, tempo e riforma

Il tempo può essere un’interessante cartina di tornasole per osservare la riforma Moratti. Intanto la si può leggere confrontandone i tempi intenzionali con i tempi reali. Lì si scopre qualche difficoltà... C’è la legge 53, ma non si vedono ancora i decreti applicativi. Il più volte preannunciato decreto sulla scuola dell’infanzia e sulla scuola elementare sembra avere bisogno, per vedere la luce, di più tempo di quello ufficialmente dichiarato ed incontrare quindi serie difficoltà a connettersi col tempo delle scuole (ovvero con quello che serve ai collegi docenti per prepararsi e per tradurre operativamente le nuove indicazioni normative).
Inoltre la riforma sembra prevedere una drastica riduzione del tempo scuola.
Proveniamo da anni che hanno proceduto per aggiunzione (di materie e di ore) fino a raggiungere soglie probabilmente non più fisiologiche per un sano ritmo di apprendimento e di vita dei ragazzi, ma ci si può chiedere ora con una certa preoccupazione quale servizio potrà rendere al paese, nel tempo, una scuola più povera di tempo, se il taglio di spazi temporali obbedisce soltanto a ragioni di contenimento della spesa.
E, per quanto riguarda casa nostra, quali soluzioni saprà elaborare la nostra regione in funzione del suo particolare assetto educativo, che annovera attualmente organizzazioni specifiche anche sul piano del tempo degli allievi e degli insegnanti?

Graziella Porté
Dirigente scolastico presso l’Istituzione Scolastica Comprensiva Aosta n. 5.

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