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A Porto Alegre, la festa della democrazia

Le sensazioni
Non è facile riuscire a trasmettere, a chi si trova nel nostro continente, il clima, gli umori, i temi di questa 2a edizione del Forum sociale mondiale durata quasi una settimana (dal 31 gennaio al 5 febbraio 2002) con 51.300 partecipanti, 15.230 delegati provenienti da 131 paesi.
L’agenda è da capogiro: 128 conferenze, 200 seminari, 700 laboratori, più di mille dibattiti in 5 giorni, la sensazione permanente che sfugga quasi tutto...
La stanchezza tuttavia non pesa perché il clima che si respira è di festa. E quanto sia importante assorbire un’aria di festa e quanto difficile descriverla lo si potrebbe chiedere, se fosse ancora vivo, ad Ernest Hemingway. Vi si celebra
la democrazia e questo probabilmente è il senso, che ora dovrei cercare di trasmettere, delle interminabili giornate trascorse là perché Porto Alegre è simbolo, ma anche pratica, laboratorio reale della democrazia “partecipativa” (il “bilancio partecipativo” è un’esperienza che tocca migliaia di comuni in Brasile).
Samir Amin, egiziano, professore di economia all’Università di Dakar, di Porto Alegre ha messo in evidenza la convergenza nella diversità: “C’est un rendez-vous exceptionnel: il rassemble la diversité autour d’une idée commune: contribuer à construire l’alternative”. Il Forum sociale mondiale di Porto Alegre contribuisce a
diffondere la fiducia e la speranza. Conoscere persone indignate, che esprimono con gioia la voglia di sognare un altro mondo “possibile”, dà fiducia nel futuro perché a Porto Alegre si è affermata con vigore la capacità di sognare il mondo. Una capacità di sognare la politica come volontà e arte di rendere possibile l’impossibile. Una capacità di vivere e decidere insieme in un processo in continua evoluzione, attraverso principi comuni e valori condivisi: equità, democrazia diretta, rispetto della comunità, solidarietà, sostenibilità, sussidarietà.


Il Forum sociale, luogo di incontri
Il Forum è un’occasione anche l’occasione per incontrare persone “straordinarie”. Il mio primo incontro è stato con una donna:
Adelaide, detta Heidi, Giuliani. Era lì per l’inaugurazione del campeggio per i giovani dedicato alla memoria di suo figlio: Carlo Giuliani, dopo il 20 luglio 2001, non più un nome qualunque. Un ragazzo di 23 anni ucciso durante una manifestazione non è un martire. È un moltiplicatore di inedite energie, di capacità, per le generazioni finora senza parola, di ricominciare a sentirsi parte di qualcosa di grande e di potenzialmente illimitato. “Non chiedere mai a una madre com’è suo figlio, dirà: è meraviglioso” sono le parole con cui mi ha lasciata. Parole affettuose e commoventi di una donna piccola di statura, ma già grande per l’intenzione di continuare una battaglia durissima: quella in nome della verità e della giustizia. La stessa che le Madres de Plaza de Mayo, le madri dei desaparecidos presenti al Forum realizzano da 25 anni.
Porto Alegre, luogo di
incontri internazionali, una enorme babele di colori, lingue, popoli. L’incontro con Noam Chomsky, il prestigioso linguista e sociologo nordamericano dell’Università di Boston, nel corso di una affollatissima conferenza stampa (6.000 persone!) è sorprendente. Ne ha per tutti l’americano più antiamericano che ci sia. Il grande studioso non ha dubbi: “o saremo capaci di costruire un mondo senza guerre o presto non ci sarà più il mondo”. L’opposizione alla guerra diventa così uno degli elementi costitutivi del “movimento dei movimenti” (per saperne di più consultare il sito www.retealternative.org ).
Porto Alegre è stato anche un gigantesco processo di autoapprendimento collettivo.
Frei Betto, un frate domenicano brasiliano, incarcerato a lungo per i suoi principi di pace, giustizia, libertà, ha tenuto con Michael Lowy una conferenza sui “valori di una società solidale”. In un momento in cui il mondo è controllato dai paesi più ricchi e potenti, dai signori della guerra che diffondono la cultura della paura, dell’insicurezza e della lotta totale al “nemico mondiale”; in un mondo dove tutto è ridotto a merce e tutto viene misurato in termini prevalentemente monetari e finanziari, è legittima l’aspirazione ad una nuova civiltà basata su valori qualitativi, etici e politici, sociali e culturali, non riconducibili a processi di mercantilizzazione universale. I valori che hanno ispirato la rivoluzione francese (libertà, uguaglianza e fraternità) e che si trovano alla base di tutti i movimenti di emancipazione sociale della storia moderna, sono oggi inseparabili dai principi di democrazia e di rispetto dell’ambiente. Frei Betto e Michael Lowy si augurano che questi valori soggettivi ed etici facciano crescere donne e uomini più solidali e meno consumisti. Entrambi hanno sollecitato l’inversione di rotta, se si è compreso fino in fondo che questo tempo è a rischio, occorre riconvertire, ripensare il mondo e il modo in cui lo viviamo a partire dalla questione educativa.


L’educazione
Riflettere sull’educazione in questo mondo violentato dal terrorismo, privato o statale, significa porre al centro del dibattito lo sviluppo di una cultura di pace fondata sulla giustizia sociale, sulla solidarietà e sul rispetto dell’autodeterminazione dei popoli”.
Questo è stato l’invito del Forum sull’educazione organizzato nello scorso mese di ottobre. Forum che si è concluso con l’individuazione di alcuni elementi essenziali per una svolta necessaria nelle politiche educative in America Latina e nel mondo:
1. rivedere le raccomandazioni della Commissione Delors promossa dall’Unesco (Nell’educazione un tesoro, 1996) integrando ai quattro pilastri dell’educazione suggeriti (educare ad essere, a fare, a conoscere, a convivere) un quinto pilastro:
imparare a cambiare;
2. lottare perché risorse adeguate continuino ad essere investite nel sistema educativo pubblico e perché si esca dalle dicotomie introdotte dalla Banca Mondiale (strumenti didattici/insegnanti; formazione iniziale/in servizio; educazione di base/secondaria e superiore);
3. recuperare una visione sistemica che consideri l’insieme degli attori, dell’educazione (formale, non formale, informale) e che, valorizzando le identità educative delle comunità, faccia emergere una nuova modalità di trasformazione dei processi educativi senza cadere nella dicotomia per la quale i cambiamenti avvengono o dall’alto o dal basso: pensare e agire globalmente e localmente.


Nuovi scenari, nuove modalità di partecipazione
Sbalorditivo è stato infine il lavorio infinito delle reti e delle associazioni, che non prendevano la parola, per così dire, ma la agivano. Si è capito che non è più tempo di dedicarsi alle tattiche, alle alleanze, alle dichiarazioni. I nuovi leaders sono inclusivi, coerenti, hanno parole pacate, costruiscono le relazioni anziché imporle, sono rispettosi dei padri, ma non succubi.
Decine di migliaia di persone ammirevoli hanno creato infinite occasioni di dibattito e scambio, su tutti i temi, con tutti i continenti, in una forma di comunicazione tutta orizzontale, che procede per accumuli e progressivo allargamento e che si rifiuta a un unico contenitore. A Porto Alegre naufraga la dittatura del pensiero unico e irrompe la certezza che il sogno sognato da tanti si può trasformare in realtà.

Agnese Molinaro

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