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Apprendere "dal vivo" la democrazia: l'esperienza dei Consigli comunali dei ragazzi

Tramite l’esperienza dei consigli comunali dei ragazzi, l’autore da’ al termine “partecipazione” i significati di possibilità di rendere concreti i diritti di parola, di essere informati, di esercitare il proprio diritto di cittadinanza attraverso il protagonismo diretto e l’assunzione di responsabilità.

Una recente ricerca condotta dall’ARCI (2000) sulla partecipazione dei bambini in famiglia, scuola e nelle associazioni ha provato ad approfondire il tema della partecipazione dei bambini e degli adolescenti alla vita sociale.
Una valutazione complessiva dei risultati evidenzia e delinea il profilo di un ragazzo che partecipa per lo più ad attività extra-scolastiche di tipo ricreativo. Nei ragazzi è presente un grado piuttosto basso di consapevolezza della partecipazione soprattutto per quanto riguarda attività più responsabilizzanti, mentre risulta maggiore il coinvolgimento per quanto riguarda le decisioni prese in famiglia.
Per quanto riguarda la scuola vi è consapevolezza dei possibili modi di partecipare: “fare delle proposte” e “votare” rappresentano azioni di partecipazione attiva e propositiva, in cui ragazzi e ragazze possono essere protagonisti dei processi di scelta. Ma, pur conoscendo una possibile
forma di partecipazione, non sono praticate dalla maggior parte dei ragazzi e delle ragazze intervistate perché ciò richiederebbe un’assunzione di responsabilità che non tutti sono disposti ad assumersi.
Il lavoro svolto ha portato gli educatori che hanno lavorato direttamente con i ragazzi a fare le seguenti considerazioni: la scuola, che dovrebbe essere il luogo privilegiato dove maturare l’idea di partecipazione e di cittadinanza, non svolge questo ruolo adeguatamente. I ragazzi la vivono come una tappa obbligata piuttosto che come un’opportunità formativa in senso completo e d’integrazione.
La mancanza di strutture dove potersi incontrare e decidere liberamente - o con l’assistenza di adulti facilitatori - le attività di proprio interesse, marca ancora di più il senso di non appartenenza alla città e quindi alla comunità.

Ho ritenuto opportuno partire dalla presentazione dei risultati di questa ricerca per sviluppare la riflessione sulle forme della partecipazione dei bambini e degli adolescenti.
Partecipare è un verbo che assume rilievo e qualifica il suo significato in rapporto all’attività ed alla funzione “alla quale si prende parte”.
Sin da piccoli i bambini, sia in famiglia che in ambienti che stimolano la socializzazione orizzontale (come il nido e la scuola materna, la ludoteca, il parco giochi o più semplicemente il cortile sotto casa), desiderano ed esprimono direttamente la richiesta di partecipare a gioie, esperienze, emozioni di altri bambini e di altri adulti. Desiderio che si manifesta - nel senso che essi comprendono e manifestano compartecipazione - anche in situazioni caratterizzate da emozioni e situazioni dolorose e non solo piacevoli.
Per il bambino tutto ciò è partecipazione, intendendo per partecipazione il “prendere parte” o il “far prendere parte a qualcosa (sentimento, emozione, esperienza, apprendimento, ecc.)”.
Con il crescere dell’età diventa possibile nella famiglia e nel gruppo sociale di riferimento anche un altro tipo di partecipazione: essere protagonisti nel contribuire a prendere delle decisioni.
In famiglia ciò può concretizzarsi nell’essere coinvolti in decisioni per loro soggettivamente “importanti” quali il cambiare casa, dove andare in vacanza, come organizzare una festa, quale regalo fare ad un amico, far entrare in casa un gatto o un cane, ecc.
Il gruppo sociale dei bambini può essere identificato nel proprio piccolo “gruppo” di riferimento, sia esso legato allo spazio nelle vicinanze della casa piuttosto che nell’oratorio o in strada.
In questi ambienti il bambino può partecipare contribuendo a prendere decisioni sul gioco da fare insieme, sulla festa da organizzare, su come recuperare ed utilizzare un oggetto, sul colore da dare ai propri giochi o all’ambiente in cui ci si trova.
Per il bambino tutto ciò è partecipazione, intendendo in questo caso una partecipazione sociale, legata all’essere coinvolti pienamente nei contesti ritenuti significativi per i legami che in essi il bambino ha costruito.
Sempre con il crescere dell’età, diventa possibile per il bambino ed il ragazzo vivere una terza dimensione della partecipazione, quella legata alla gestione sociale della scuola, di organizzazioni alle quali appartiene, del territorio, sino ad arrivare alla partecipazione politica in senso stretto.

In altri termini il bambino può giungere, anzi la società si auspica che, a caratterizzare la propria presenza nella società (e nei luoghi organizzati) in modo tale da essere non solo “oggetto” ma “soggetto” in qualche misura corresponsabile e condeterminante di tutte le decisioni sociali che lo coinvolgono.
Questi esempi sono sufficienti per rendere conto della “imprendibilità” del concetto di partecipazione, che “sfugge” costantemente. Nella definizione di partecipazione entrano in gioco, infatti, molteplici punti di vista sociologico, psicologico, pedagogico, economico, giuridico... e ciascuno apporta qualcosa di specifico alla definizione.
Il dibattito scientifico sul significato di questo termine è ancora aperto; ogni definizione presenta margini d’incertezza che nel contempo costituiscono spazi di sperimentazione possibile.
Per proseguire la riflessione propongo quale significato del termine “partecipazione” la possibilità di rendere concreti i diritti di parola, di essere informati, di cittadinanza attraverso il protagonismo diretto e l’assunzione di responsabilità.

Livelli di partecipazione: la scala di R. Hart
Affrontare queste tematiche richiede anche di confrontarsi con le elaborazioni scientifiche a livello internazionale sempre più consistenti: a questo proposito si può rilevare come il Libro Bianco sulla condizione giovanile prodotto da pochi giorni dall’Unione Europea dopo un periodo di circa due anni di consultazione dei giovani di tutti i paesi ha il tema della partecipazione al primo posto della scala di priorità.
Una delle riflessioni più interessanti sulla partecipazione è quella di Roger Hart, architetto e psicologo americano, che ha sperimentato modalità di partecipazione in cui erano coinvolti i bambini in azioni progettuali, verificando il grado di partecipazione/non partecipazione, a seconda del modo in cui gli adulti riuscivano a coinvolgerli. Dalla constatazione che esistono diverse modalità in cui bambini e ragazzi vengono coinvolti in processi partecipativi è nata l’idea di una Scala della partecipazione.
La prima parte della scala contiene tutte le situazioni in cui bambini e ragazzi vengono “utilizzati” dagli adulti; nella seconda, invece, è possibile rintracciare tutti quei processi in cui il bambino e il ragazzo vengono coinvolti a partire dalla semplice consultazione e informazione fino alla concreta progettazione di azioni curata direttamente dai ragazzi senza alcun intervento dell’adulto.
a)
Manipolazione: i bambini partecipano ad un concorso di disegni senza conoscere i criteri dei giudici.
b)
Decorazione: i bambini cantano e ballano con t-shirt illustrative di una causa senza sapere cosa sta accadendo e senza avere diritto di parola nell’organizzazione dell’evento.
c)
Partecipazione di facciata e simbolica: i bambini sono usati nelle conferenze senza spiegare i criteri in base ai quali è avvenuta la selezione tra i compagni di scuola.
d)
Investiti di un ruolo ed informati: i bambini e i ragazzi sono informati sulle intenzioni del progetto e si impegnano volontariamente dopo averlo conosciuto e capito.
e)
Consultati ed informati: i bambini diventano consulenti nei progetti elaborati e gestiti dagli adulti.
f)
Condivisione operativa: i progetti sono iniziati dagli adulti, le decisioni sono prese con la condivisione dei bambini.
g)
Progettazione in proprio da parte dei bambini/ragazzi: i progetti sono concepiti e realizzati dai bambini quando giocano liberamente.
h)
Progetti pensati e gestiti dai giovani nei quali vengono coinvolti gli adulti: i ragazzi definiscono gli obiettivi del progetto e le decisioni operative vengono prese e messe in atto con gli adulti.

L’esperienza dei Consigli comunali dei ragazzi
Nel manuale per l’attuazione della L. 285/97 uno spazio particolare è stato dedicato ai Consigli comunali dei ragazzi, come una delle azioni possibili e praticabili da parte di amministrazioni comunali per attivare nuove forme di partecipazione permanenti delle ragazze e dei ragazzi alla vita della comunità locale. In effetti, grazie alla legge è stato possibile attivare quasi un centinaio di Consigli dei ragazzi nell’arco degli ultimi due anni.
I Consigli dei ragazzi, che possono operare a livello comunale o di quartiere, rappresentano un’innovativa modalità di partecipazione dei ragazzi alla vita della collettività sociale in cui vivono, permettendogli di contribuire alle scelte e alle decisioni dalle quali finora sono stati esclusi. Tramite i Consigli viene offerta ai ragazzi la possibilità di confrontarsi, di gestire la conflittualità nella ricerca di soluzioni che non soddisfino le esigenze dei singoli ma quelle di tutta la collettività di cui si è parte, rendendo in tal modo effettiva la pratica della partecipazione attraverso l’espressione delle proprie idee, esigenze e dei propri desideri, nell’esercizio consapevole dei propri diritti.
La nascita di un Consiglio dei ragazzi si sviluppa all’interno di un sistema di progettualità alla cui definizione contribuiscono il comune, la scuola, i genitori e le agenzie educative territoriali, soggetti che responsabilmente garantiscono la possibilità di realizzare vera partecipazione dei ragazzi, attraverso la consapevole considerazione nei confronti di questa esperienza.
Per potere realizzare progetti, per assumere un’autonomia di scelta e di azione il Consiglio comunale dei ragazzi dovrebbe potere disporre di risorse economiche da utilizzare direttamente, riconoscendogli inoltre la possibilità di esprimere un ruolo propositivo nei confronti delle decisioni del Consiglio comunale degli adulti in merito ai temi che interessano i ragazzi.
In preparazione del quarto incontro dei Consigli comunali dei ragazzi del Piemonte è stata svolta un’indagine su oltre 40 esistenti per delinearne fisionomia e caratteristiche.
Nelle esperienze piemontesi emerge come l’età dei bambini consiglieri si concentra nella fascia dagli undici ai tredici anni, ma ugualmente rilevante è la presenza di bambini di 9-10 anni, degli ultimi anni della scuola elementare.
Il funzionamento interno dei consigli prevede la costituzione di gruppi o commissioni di lavoro.
Gli operatori che partecipano allo sviluppo del CCR, dopo la sua costituzione svolgono un ruolo differenziato: si va dalla funzione principale, assicurare efficaci collegamenti tra consiglio - scuola e comune ad altre non sempre presenti, quali ad esempio, l’aiuto metodologico, l’essere soggetto mediatore nelle riunioni e l’offrire suggerimenti e proposte.
I temi delle riunioni dei consigli sono individuati e scelti quasi sempre dai bambini: quando ciò avviene nella maggiore parte tale scelta viene compiuta insieme all’operatore di supporto.
Le decisioni che vengono prese nelle riunioni del consiglio in tutti i casi vengono assunte in modo palese ma vengono utilizzate prassi decisionali diverse: quella prevalente è la maggioranza relativa.
Il CCR è un’iniziativa “contenitore”, nel senso che può contenere molteplici interessi ed obiettivi anche afferenti ad ambiti diversi dell’azione sociale con bambini ed adolescenti.
Nonostante questa polverizzazione di finalizzazioni due obiettivi emergono come particolarmente importanti e condivisi:
contribuire alla formazione di senso di cittadinanza attiva e accrescere nei bambini il senso di appartenenza al proprio contesto.
A livello di tematiche affrontate nel corso dell’ultimo anno di attività la tematica maggiormente affrontata risulta essere l’ambiente, seguita dal divertimento, dalla vita scolastica, dall’informazione, dall’urbanistica e attrezzature urbane, dalla socialità. Sempre in riferimento all’ultimo anno le iniziative concrete sviluppate sono diverse. Quella più diffusa risulta essere il miglioramento delle aree verdi e dei parchi gioco seguita da iniziative volte ad aumentare la socializzazione dei bambini, da iniziative di sensibilizzazione del paese sul CCR, da iniziative relative a problemi sociali presenti nel paese.
A livello di attività concrete occorre anche considerare che più della metà dei CCR dedica una parte del proprio tempo per sviluppare azioni finalizzate all’autofinanziamento, attraverso iniziative quali la produzione e vendita di prodotti, l’organizzazione di spettacoli e feste, oppure nell’organizzazione di mercatini dell’usato o nella ricerca di sponsorizzazioni.
Infine relativamente alle iniziative collegate all’informazione va registrato che quasi tutti i CCR sono impegnati nella produzione di un notiziario o giornalino del CCR, mentre risulta ancora scarsa l’utilizzazione di Internet (creazione di un sito del CCR).
Secondo gli adulti (amministratori, insegnanti, operatori, ecc.) chiamati a valutare le esperienze i CCR sono serviti perché hanno permesso al mondo adulto di ascoltare i bambini ed i ragazzi, di conoscere i loro desideri e di dialogare con loro.
In questo modo si è promosso apprendimento della democrazia e si sono ridotte le distanze tra istituzioni e bambini.
Anche la valutazione dei ragazzi dei CCR sentiti si muove analogamente a quella degli adulti.
L’esperienza viene ritenuta globalmente utile e soddisfacente al punto di pensare di consigliare un proprio amico di parteciparvi.
L’analisi dettagliata dell’utilità percepita, da parte dei bambini, permette di cogliere come:
- ai ragazzi è chiaro che il CCR è qualcosa di diverso dalla scuola; in riferimento all’ambiente scuola i bambini giudicano positivo l’essere riusciti a capire come concretizzare i propri diritti ma, nonostante ciò, gli insegnanti sembra non ascoltino e non dare segni di conoscere meglio i diritti dei bambini;
- la partecipazione al CCR ha permesso di migliorare il dialogo in famiglia;
- nell’insieme l’esperienza del CCR è stata piacevole e divertente per la buona capacità di stare bene insieme e, grazie ad esso, è stato possibile conoscere qualcosa di nuovo del proprio paese ed avere nuovi amici (pur se non era uno degli interessi di partenza);
- i bambini che hanno partecipato ai CCR ritengono di conoscere meglio i propri diritti ed i problemi del paese e sanno come informarsi, ed esprimono la sensazione di essere riusciti a cambiare qualcosa nel paese;
- i bambini ritengono che nel CCR non vi sia stato qualcuno più importante degli altri, ma, invece, di avere imparato a stare in gruppo, a confrontarsi e discutere senza litigare troppo nelle riunioni, a fare i conti con la realtà, che non permette di realizzare tutti i desideri;
- infine, il CCR ha aumentato la stima di sé e la contentezza di sé, nella direzione di una maggiore consapevolezza e costruttività verso ciò che circonda la propria persona, e nella direzione di sentirsi/percepirsi più autonomo.
La scuola è uno dei luoghi privilegiati dell’incontro tra le giovani generazioni e gli adulti. La legislazione scolastica definisce diversi organi di rappresentanza locale e nazionale all’interno dei vari gradi del sistema scolastico e universitario.

Percorsi di partecipazione
E’ possibile immaginare sei modalità di sviluppo della partecipazione di bambini ed adolescenti: per ciascuna di esse è immaginabile un ruolo delle istituzioni di promozione e facilitazione allo sviluppo ed alla sperimentazione.

La partecipazione come rivendicazione
Una prima modalità concreta di esprimere “partecipazione” è di tipo “rivendicativo”: viene messa in atto per rivendicare, reclamare il rispetto di ciò che è ritenuto un proprio diritto o per impedire azioni che potrebbero danneggiare i propri diritti.
Si tratta di un’azione partecipativa che è tesa a far fare o a impedire di fare qualcosa a qualcun altro.
Questa è la modalità più probabile di partecipazione spontanea che si basa su una fondamentale esigenza di difesa della propria identità, dei propri interessi, del proprio gruppo e non sempre è accompagnata da una sostanziale assunzione di responsabilità.
Concretamente questa modalità può tradursi in:
- raccolta di firme per sostenere iniziative o campagne sociali;
- presentazione di petizioni popolari per ottenere benefici di varia natura;
- manifestazioni a favore o contro scelte politiche;
- presentazione di proposte di leggi regionali o proposte di deliberazioni comunali.

La partecipazione come consultazione
Una delle modalità attraverso la quale è possibile promuovere la partecipazione è favorire lo sviluppo di situazioni di consultazioni, ovviamente, in questo caso di bambini ed adolescenti per:
- raccogliere informazioni ed indicazioni su aspettative, interessi, desideri, bisogni percepiti al fine di predisporre iniziative rivolte a bambini ed adolescenti;
- raccogliere opinioni e pareri su una determinata iniziativa che si ha in mente di sviluppare prima dell’avvio della stessa, per verificarne la rispondenza e le possibilità di accoglimento;
- raccogliere commenti e valutazioni sull’operato dell’amministrazione.
Tutto ciò può tradursi in forme di consultazione, periodiche o occasionali e mirate, in forme dirette o indirette (interpellando direttamente i bambini oppure i loro genitori o gli insegnanti o le organizzazioni di adulti che di loro si occupano) o che prevedono una ripresa della comunicazione per verificare gli esiti della consultazione oppure senza appuntamenti successivi alla consultazione. In concreto è possibile immaginare:
- la costituzione di consulte, forum, tavoli permanenti di consultazione e dialogo tra adulti e bambini ed adolescenti;
- la predisposizione di situazioni di consultazioni su specifici argomenti una tantum;
- la somministrazione di strumenti di rilevazione (questionari, interviste) per raccogliere idee e suggerimenti nonché commenti e valutazioni, ecc.

La partecipazione come gestione diretta
Gestire direttamente è una delle possibilità di partecipare, non l’unica. Ciò vuole dire essere attenti alla necessità che bambini ed adolescenti hanno di capire “facendo” e sperimentando direttamente, provando e riprovando anche a partire dagli errori commessi.
In questo senso occorre molto coraggio negli adulti, nell’essere disposti ad accogliere e accettare comunque i risultati di iniziative di questo tipo che mai hanno esito scontato o automatico. Anzi, come già evidenziato, si tratta di percorsi ricchi di errori, di passi falsi, di contraddizioni, anche di non adeguato uso della libertà e del potere di “fare” e di “dire”.
Purtroppo in questo campo non vi è la possibilità di sperimentare ed apprendere in situazione di “laboratorio”, neutro dove l’errore può esistere perché in fondo non nuoce a nessuno. Apprendere a partecipare alla vita sociale è possibile in presa diretta, e ciò implica necessariamente contemplare errori e distorsioni nel processo di apprendimento da parte di bambini ed adolescenti.
In concreto coinvolgere i bambini e gli adolescenti in situazioni di gestione può volere dire:
- attivare comitati di gestione di servizi e di iniziative rivolti a loro;
- favorire lo sviluppo di campagne di informazione, di azione, di presenza nel territorio per denunciare, promuovere, informare;
- promuovere esperienze di consulte e consigli non solamente consultivi ma anche gestionali, assegnando un budget da gestire in autonomia e da rendicontare sul modo come è stato utilizzato.

La partecipazione come corresponsabilità
Oggi le istituzioni sono sempre più interessate alle forme di partecipazione che prevedono una condivisione di responsabilità, sia pure nella chiarezza e differenziazione dei ruoli.
L’esigenza di coinvolgere i cittadini nella ricerca delle risposte sostiene un modello partecipativo di tipo collaborativo - negoziale. Sottolineare l’importanza che bambini ed istituzioni collaborino alla ricerca di soluzioni efficaci ai problemi della collettività, significa sottolineare un’idea di partecipazione che pone al centro l’intreccio di senso di responsabilità e di potere.
Concretamente ciò può portare a:
- costituzione di comitati di gestione misti, composti da adulti, bambini ed adolescenti insieme, che imparano a ragionare, confrontarsi e prendere decisioni in modo collegiale;
- costituzione di coordinamenti di indirizzo e governo di progetti e di iniziative rivolte a bambini o al contesto territoriale nel suo complesso;
- attivazione di percorsi finalizzati alla stipula di patti territoriali per l’infanzia e l’adolescenza;
- attivazione di progetti socialmente rilevanti da condurre insieme: adulti, bambini ed adolescenti.
Tutto ciò sembra scarsamente impegnativo a prima vista, invece muoversi in questa direzione significa per il mondo degli adulti modificare molto dei propri schemi mentali e degli atteggiamenti tipici che vengono rivolti ai bambini: occorre cooperare senza trattare i bambini da “bambini”, assumendo toni irridenti e scherzosi o falsamente democratici o didattici.
I bambini hanno bisogno di sperimentare il contraddittorio per imparare a comprendere le diversità di opinioni e le strategie di negoziazione, di soluzione di conflitti. Quello che gli adulti possono fare di molto serio ed impegnativo è sperimentare modalità inusuali di risoluzione dei conflitti, a partire dall’accettazione di fondo del conflitto come componente delle relazioni interindividuali e sociali.

La partecipazione come critica e controllo
Controllare e verificare, cioè esercitare una funzione di presidio sulla qualità delle iniziative e sulla qualità delle procedure è una delle modalità partecipative che meno è desiderata. Alla base vi è sostanzialmente l’idea che l’azione in quanto tale è comunque positiva.
In realtà i casi di avvelenamento nelle mense scolastiche, di soprusi ed abusi negli ospedali e nei servizi pubblici in genere, di non applicazione o scarsa applicazione delle norme, affermano che tutte le azioni intraprese dalle istituzioni
in quanto espressione di organizzazioni che non sono infallibili e di persone che restano tali, con i loro difetti e le loro competenze, sono soggette ad errori, omissioni, inadeguatezze, ecc.
L’esercizio di una funzione di controllo è quindi essenziale sia interna all’organizzazione che eroga servizi o prestazioni o che sviluppa progetti ed iniziative, sia esterna, a carico dei soggetti che costituiscono i destinatari potenziali dell’iniziativa, servizio, ecc.
Provocatoriamente, come vi sono iniziative in cui si incentiva nei bambini l’adozione di un monumento o di una piazza così si potrebbe incentivare l’adozione di un servizio pubblico, favorendo una maggiore consapevolezza di ciò che implica l’erogazione di quel servizio, l’organizzazione di persone e mezzi, l’utilizzo di denaro pubblico ecc.
Concretamente ciò potrebbe volere dire:
- costituzione di comitati autonomi di controllo e verifica da parte di bambini ed adolescenti del progetto loro rivolto da parte dell’amministrazione;
- costituzione di comitati di verifica misti, sull’esempio dei comitati mense nelle scuole per l’infanzia con la partecipazione dei genitori;
- incontri periodici di verifica e confronto sulla qualità del servizio erogato;
- costituzione di uffici per l’accoglimento di reclami o proteste.

La partecipazione come espressione di un orientamento politico
In questi anni troppe volte le politiche giovanili hanno finito per ridursi a offerta di servizi ricreativi - culturali a cui i giovani potevano accedere nell’ottica di spettacoli a fruizione passiva.
Reagire alla passività e apatia che ne sono spesso derivate riporta alla necessità di creare e fare spazio ai concreti interessi dei singoli gruppi giovanili e alla possibilità di potersi organizzare per soddisfarli creativamente.
Da più parti si considera l’età di sedici anni come un’età sufficientemente adeguata per cominciare a compiere atti particolarmente complessi e carichi di responsabilità. Si pensi alla possibilità di sposarsi o, come molti sostengono, all’opportunità di conseguire la patente di guida.
Permettere agli adolescenti con più di sedici anni di votare determina due conseguenze:
- essi sono chiamati ad interessarsi, conoscere, comprendere orientamenti, proposte, progetti, schieramenti e posizioni politiche. Da ciò ne consegue la necessità di acquisire un minimo lessico politico sufficiente per giungere ad esprimere una propria opinione politica;
- le forze politiche sono chiamate a considerare gli adolescenti come cittadini con cui è necessario entrare in contatto per acquisire il loro consenso. Da ciò ne consegue certamente la necessità di identificare e costruire un linguaggio adeguato ai destinatari, comprensibile ed utile a far giungere loro ma, soprattutto, ne consegue la necessità di elaborare proposte e progetti a livello nazionale e amministrativo locale che si rivolgano agli adolescenti.

Il Consiglio comunale dei ragazzi a Cigliano
Il consiglio comunale dei ragazzi permette ai giovanissimi un’attiva partecipazione ai meccanismi per l’elezione degli organi amministrativi e fornisce una presa di coscienza in diretta delle problematiche inerenti il territorio in cui vivono.
Favorisce lo sviluppo dell’abilità di ricerca, di soluzioni pratiche ai problemi che finalmente vengono visti dall’altra parte, dalla parte cioè di chi deve trovare i rimedi.
Migliora le capacità organizzative e progettuali su elementi pragmatici e non astratti, come invece spesso succede ancora a scuola.
L’istituzione dei CCR favorisce l’apertura della scuola al territorio e viceversa; gli Enti locali entrano finalmente nell’istituzione scuola ai più ancora ignota o comunque poco considerata.
I CCR, a detta dei ragazzi protagonisti, sono, a Cigliano, efficacemente serviti da elemento unificatore trasversale fra età e classi diverse; la socializzazione, la collaborazione effettiva, il coinvolgimento totale hanno avuto nei CCR il loro denominatore comune.
Tutto ciò ha permesso ai nostri alunni di cercare, ipotizzare e attuare soluzioni innovative per il loro tempo libero e la loro crescita culturale.
Prof. ssa Dilva Giobellina

Roberto Maurizio
Educatore-formatore, collaboratore del Centro nazionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza di Firenze.

Riferimenti bibliografici
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