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Lo Statuto: un'occasione di partecipazione?

Ormai da alcuni anni, in particolare con l’introduzione dello Statuto degli studenti e delle studentesse (d.P.R. 249/98), si parla spesso del ruolo dello studente, dei suoi diritti e dei suoi doveri.
Questi argomenti, è inutile negarlo, creano un certo fastidio a docenti e dirigenti scolastici e sono sottovalutati da molti studenti. Perché un ragazzo dovrebbe avere il diritto di esprimersi e in un qualche modo di poter influenzare scelte di competenza dei docenti, relative a “programmazione, definizione degli obiettivi didattici, organizzazione della scuola, criteri valutazione, scelta dei libri di testo e materiale didattico”? In sostanza, perché lo studente dovrebbe modificare il suo ruolo, da passivo ad attivo, per contribuire alla costruzione della scuola?
Frasi tipiche da “sala insegnanti” sono ad esempio: “Ormai abbiamo completamente le mani legate”, “Perché nessuno sta più nel suo ruolo e gli alunni non fanno gli alunni e noi insegnanti non possiamo fare gli insegnanti?”
In effetti, la riforma della scuola e in particolare l’autonomia scolastica e lo Statuto hanno smosso profondamente un ambiente per troppi anni statico.
E’ quindi ovvio, direi perfino legittimo, che ci si ponga queste domande.
È naturale che di fronte ad un radicale cambiamento culturale, si possano incontrare resistenze, più o meno forti. Importante è però non cercare di imporre le novità, lasciando indietro e emarginando chi non ne ha ancora percepito l’importanza, ma impegnarsi per arrivare ad una coscienza comune dell’importanza e della ineluttabilità del cambiamento.
La risposta a questi interrogativi sta nella concezione che si ha della scuola.
Si può pensare alla scuola semplicemente come un ente erogatore di un servizio.
In questo caso è chiaro che lo studente e le famiglie si devono limitare a fruire dei servizi messi loro a disposizione, senza aver la possibilità di intervenire nel procedimento di formazione del “prodotto” insegnamento.
Al contrario lo Statuto ha introdotto il concetto di scuola come “
comunità”.
La scuola è una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio...”.
Risiede proprio nel concetto di comunità la grande novità. Dalla definizione data dallo Statuto può emergere una nuova idea di scuola che rende necessario un cambiamento di ruolo alle componenti scolastiche. Il concetto di comunità esprime l’idea di un gruppo di persone che convive per il raggiungimento di un obiettivo comune.
Chi fa parte della comunità non può che essere cittadino della comunità stessa, il che implica un’assunzione di responsabilità e di doveri ma anche un’acquisizione di diritti. Gli studenti che appartengono, quindi, ad una comunità, ispirata a valori democratici, possono, attraverso un percorso culturale e sociale personalizzato, costruire la propria identità.
Una scuola non per tutti gli studenti quindi ma per ognuno di essi. Lo studente non può essere escluso dal processo di costruzione di una comunità, che per forza di cose, per essere sentita come propria, deve essere vissuta da co-protagonista. La partecipazione attiva degli studenti non dovrebbe essere vista come una concessione, dunque, ma come una caratteristica naturale ed intrinseca della struttura e dell’organizzazione scolastica. Troppo spesso i problemi della scuola sono stati invece visti quasi esclusivamente dal punto di vista degli insegnanti e delle loro (pur giuste) rivendicazioni sindacali.
Solo se si accetta un’idea di scuola come comunità si potrà garantire una reale formazione alla
cittadinanza.
Si potrà, cioè, trasmettere valori democratici invogliando gli studenti a seguire un percorso formativo in vista di una effettiva realizzazione personale, non con atteggiamenti personalistici ma collaborativi e rispettosi del bene comune. Non in un quadro di scontro tra le componenti scolastiche ma di rispettiva legittimazione, pur nella diversità dei ruoli.
Il triennio 97/99 è stato un periodo di trasformazioni. Oltre alle norme sull’autonomia scolastica e sulla partecipazione studentesca, altri tasselli hanno dato vita ad un mosaico riformistico complesso, in parte bloccato dall’abrogazione dalla legge costitutiva della riforma dei cicli. Nelle novità introdotte dal Ministro Luigi Berlinguer:
l’innalzamento dell’obbligo scolastico, la definizione dell’obbligo formativo e il nuovo esame di Stato.
È all’interno di questo panorama che si è inserita la mia vita di studente. Mi sono calato pienamente in questo contesto di cambiamento, cercando di sfruttare al massimo le possibilità che mi venivano concesse. Sono stato eletto due volte rappresentante d’istituto al Liceo Scientifico di Aosta e una volta rappresentante alla Consulta studentesca, dove ho ricoperto il ruolo di vice presidente. L’anno successivo ho continuato la collaborazione con la Consulta impegnandomi nell’effettuare un sondaggio, a studenti e insegnanti delle scuole superiori, relativo alla vita all’interno del mondo scolastico e in particolare alla conoscenza e all’applicazione dello Statuto e dei regolamenti d’istituto. Ritengo di essere stato fortunato ad aver vissuto tale periodo, perché mi ha fatto maturare permettendomi di esercitare il diritto ad una cittadinanza attiva. Alcuni miei professori mi hanno incoraggiato e sostenuto nei momenti più delicati.
Ho cercato di trasmettere la passione per la politica (intesa come impegno nei confronti della società) ai miei coetanei, spronandoli a mantenere alto il livello d’impegno nonostante le grandi difficoltà e gli scarsi risultati.
Un impegno, si voleva, non solo istituzionale ma anche associativo. La risposta più comune all’invito al coinvolgimento era che: tanto, nonostante tutti gli sforzi, nulla poteva cambiare. È quello che detiene il “potere” che ha il coltello dalla parte del manico.
Sicuramente questa risposta può essere considerata un alibi per nascondere indifferenza e mancanza di volontà di mettersi in gioco. Ma tanti ragazzi, anche impegnati in altri campi della loro vita sociale, erano sinceri. Ritengo che finché non ci sarà consapevolezza delle potenzialità dei mezzi che ognuno di noi ha a disposizione, difficilmente qualcosa potrà cambiare.
Ciò che manca realmente a scuola è una vera educazione alla legalità: intesa come formazione alla cittadinanza.
È fondamentale cercare di fare comprendere il senso delle regole, che sono alla base della tenuta di un sistema democratico. Spesso si ha una visione distorta del senso delle regole, che non sono più il mezzo per una giusta e pacifica convivenza delle parti, ma uno strumento nelle mani di chi le conosce meglio e di chi le può gestire da una posizione di maggior potere.
E quanti sono i casi in cui le distorsioni delle regole avvengono per mano di chi dovrebbe dare il buon esempio (dirigenti, insegnanti, amministratori, datori di lavoro, ecc.). E come si può pretendere poi che i ragazzi crescano con un’idea positiva del valore delle regole che invece vedono infrangere?

Solo grazie al lavoro equilibrato di insegnanti e dirigenti, alla loro passione e al loro impegno, che costituiscono un modello per i ragazzi, ciò potrà avvenire. L’impatto con il sistema scuola è determinante per l’acquisizione del concetto di legalità. Non bisogna infatti dimenticare che la scuola è il primo esempio di istituzione nel quale il ragazzo è inserito. Se si sentirà in una posizione di impotenza, in cui vince sempre chi detiene il potere, crescerà con questa idea di Stato e di istituzione.
È per questo che ritengo fondamentale che l’educazione alla legalità sia al centro dell’insegnamento e sia un obiettivo prioritario della scuola.
Ho trovato interessanti altre risposte: nella pressoché totalità dei questionari sottoposti a quasi duemila studenti delle scuole superiori, alla domanda: “
Sei interessato a diventare rappresentante d’istituto?
Spaventa la responsabilità di assumersi un incarico considerato importante, impegnativo e fuori dalla portata delle possibilità di ciascuno.
Una buona parte degli intervistati ritiene infatti di non essere in grado di ricoprire tale incarico. Tutto ciò dovrebbe fare riflettere, e molto.
È significativo che la maggioranza dei ragazzi nutra scarsa considerazione delle proprie potenzialità, che sia una conseguenza di come è strutturata la scuola? Compito della scuola è occuparsi della formazione dei ragazzi. Se la stragrande maggioranza degli studenti di scuola superiore si sente così insicura, la scuola sicuramente non ha contribuito a fondare la loro autostima.
Educazione alla legalità vuol anche dire fare acquisire
coscienza delle proprie potenzialità. Mi ha stupito verificare che alcuni principi che ritenevo scontati, sono stati introdotti nella vita scolastica solo con lo statuto del 1998.
Faccio qualche esempio. Lo Statuto afferma un principio che sembra pacifico:
la responsabilità è personale. Ma quante volte accade ancora oggi che insegnanti utilizzino la nota di classe o obblighino un’intera classe a risarcire un danno se il responsabile rimane ignoto?
La sanzione deve avere finalità educativa, tendere al rafforzamento del senso di responsabilità ed al ripristino di rapporti corretti, deve essere ispirata alla riparazione del danno e deve essere sempre offerta la possibilità all’alunno di convertire la sanzione in attività a favore della comunità scolastica. Non è con l’autoritarismo che si insegna, ma con
l’autorevolezza.
Scrive Berlinguer: “La società e i giovani si aspettano dalla scuola un impianto educativo che conservi rigore e autorevolezza, regole e principi, ma colga insieme la nuova dimensione della libertà, il crollo del vecchio principio di autorità, dell’ipse dixit. Una delle cose che meno comprende [una certa parte della società], e che più la fa soffrire, è l’esplosione della libertà come il più corposo e irrefrenabile dei bisogni nuovi, giovani, di oggi. E non la comprende perché non ha assorbito il concetto che la libertà anche per i docenti coincide con impegno e responsabilità e non è solo ordinare e disporre. E quindi costa di più, a tutti noi.

Roberto Chenal

Il questionario agli studenti
   SI % NO %
Sei a conoscenza dell’esistenza dello Statuto degli studenti e delle studentesse? 46 54
Se sì, l’hai mai letto? 5 95
Sei a conoscenza dell’esistenza del regolamento d’istituto? 60 40
Se sì, l’hai mai letto? 31 69
Ritieni di essere trattato con rispetto dagli insegnanti? 78 22
Ritieni che gli insegnanti ti riescano a trasmettere messaggi culturali ed educativi adeguati? 63 37
Ti candideresti a rappresentante d’istituto? 10 90

 

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